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N.20 Aprile 2021

FORMAZIONE

Una laurea per abitare (e guidare)
la trasformazione digitale

Parte a Cremona il corso magistrale in Innovazione e imprenditorialità digitale per preparare la generazione che ci guiderà dentro la rivoluzione, dove competenze e idee si contaminano e non si rinuncia a cercare il senso

foto Firmbee Com on Unsplash

Siamo nel pieno di una rivoluzione. E siamo spaventosamente indietro.
Secondo l’ultimo rapporto Desi (Indice di digitalizzazione dell’economia e della società, 2020) l’Italia si aggiudica il 25° posto sui 28 Stati membri dell’Unione Europea davanti solo a Romania, Grecia e Bulgaria. Addirittura ultima alla voce “capitale umano”, quello cioè che riguarda le competenze digitali, con solo l’1% di laureati in discipline legate al settore ICT.
Il dato non può che allarmare, perché la trasformazione digitale è sempre più pervasiva e non aspetta i ritardatari. E questo espone a rischi di arretratezza e mancata competitività non alcuni settori, ma l’intero sistema produttivo – e dunque occupazionale – del Paese.
Da questa considerazione prende le mosse l’idea del nuovo corso di laurea magistrale in Innovazione e imprenditorialità digitale presentato nelle scorse settimane dall’Università cattolica e che aprirà le aule dal prossimo anno accademico nella sede di Cremona. «Finora – spiega il coordinatore del corso, il professor Fabio Antoldi – la questione digitale è stata relegata a una mera competenza tecnica. Ma il mondo dell’impresa oggi richiede figure professionali ibride, in possesso di conoscenze ragionate dei meccanismi e di una capacità non banale di governare e innovare i processi».
Dunque, oltre a maneggiare hardware e formule binarie, il mondo del lavoro chiede ai suoi nuovi ingressi qualità creative, psicologiche, relazionali. «Ecco perché – spiega Antoldi – questo corso magistrale non si rivolge solo a studenti del primo ciclo di Economia o di Informatica, ma anche a quelli delle facoltà di Fisica, Diritto, Politica economica, Scienze umane…».
C’è la risposta ad un bisogno (anzi due – per lo meno: quello di offrire ai giovani adeguate opportunità di lavoro e quello di accompagnare sulla porta delle aziende professionisti in grado di reggere l’urto della “rivoluzione”), ma c’è anche la risposta alla sfida didattica di allestire classi così eterogenee, con giovani ingegneri, psicologi, matematici, fisici… «Il tema è la contaminazione. Sappiamo che si tratta di una sfida, che affronteremo anche con l’istituzione di pre-corsi che prepareranno ad affrontare il lavoro in team».
Lavoro, parola scelta non per caso, perché l’idea che ha preso forma è quella di un corso con una matrice accademica ma con una forte componente pratica… la rivoluzione non aspetta. «Ogni ragazzo avrà un mentore, un manager esperto che lo accompagnerà nel suo percorso e le tante aziende – locali e internazionali – che appoggiano il progetto, porteranno in aula le loro sfide: problemi reali in cui coinvolgere i ragazzi».
Dunque il passo tra università e mondo del lavoro si fa più breve. Questo avviene grazie alla ricerca di un approccio nuovo, più adatto alle necessità dell’impresa, non necessariamente del settore digitale, che si trova con un gap da colmare, ma più congeniale anche alle attitudini e agli schemi di pensiero della generazione nata nel digitale e cresciuta nell’epoca della complessità: «Pensare per team significa coinvolgersi in un progetto, unire le competenze. Dopo tanti anni di formazione verticale e di iper specializzazione ci rendiamo conto che la diversità porta all’innovazione, che è la collisione di idee a generare il cambiamento».

«Dopo tanti anni di iper-specializzazione
ci rendiamo conto
che è la collisione delle idee
a generare il cambiamento»

In fondo parliamo di puntare con decisione su una nuova capacità di relazione all’interno di percorsi che sono tanto personali quanto connessi.
Così, parlando di imprenditorialità digitale ci si mette al riparo da una sorta di “effetto influencer”, quella semplificazione generalizzata per cui il numero di clic si sostituisce ad una solida formazione rendendo una sorta di gara a premi la costruzione di una carriera e magari di un reddito a parecchi zeri (e poca fatica). «Se parliamo di digitale – osserva Antoldi – la prima associazione ci porta a tutto ciò che è informatico, al web, ai social media e alla loro idea che in fondo possa essere così facile influenzare la cultura e le abitudini (anche d’acquisto) delle persone. Ma questo è un pezzettino della trasformazione digitale, che non è solo comunicazione. L’innovazione a cui si guarda nel nostro corso ha più a che fare con la creatività: nuovi prodotti, nuovi servizi, nuove forme di impresa. Un nuovo modo di concepire il lavoro, e dunque il futuro, rispondendo ai bisogni delle persone». Bisogni che vanno perciò riconosciuti e interpretarati. Bisogni che richiedono qualcuno capace di farsene carico dentro il sistema di questa cultura, di questa società e – perché no – di questo mercato.
Una laurea è un cantiere. E – in qualche modo – la responsabilità di una promessa
«Negli anni Cinquanta erano state la passione, la creatività e l’energia dei giovani (oltre alle loro competenze) a rendere possibile il miracolo del nostro Paese, che ha generato una rinascita economica, sociale e morale che ha sorpreso tutto il mondo».
Allora si costruiva sulle macerie della guerra, oggi è stata l’esperienza dell’epidemia – con tutte le differenze del caso, certo – a scuotere la realtà: «Ci auguriamo tutti che questa situazione finisca presto – riflette il professore – ma è chiaro che il lockdown ha sgretolato le certezze e che da qui potrebbero nascere nuove opportunità. Ma solo a patto che si rompano quei cristalli che stavano bloccando la nostra società. I giovani prima del Covid cercavano sbocchi fuori dall’Italia perché “qui non cambia mai nulla”. Non trovavano occasioni per mettersi alla prova. Invece sono loro, oggi, che possono interpretare al meglio questa fase». E di fronte all’onda della trasformazione digitale anche il mondo dell’impresa si è accorto di aver bisogno dei ventenni per restare al passo del mondo: «Da questa generazione ci si può aspettare il cambiamento del modo di pensare. Certo – aggiunge – la leadership politica, economica e produttiva deve fare la sua parte perché questi ragazzi siano la nostra occasione di rinascita».
Immaginata, progettata, costruita: «Ecco perché l’Università Cattolica – assicura Antoldi – anche nella formazione dei nuovi manager digitali non cambia la sua vocazione e propone corsi in cui l’obiettivo sarà quello di far nascere domande. La tecnologia è di per sé neutra, ma pervasiva. Per questo va guardata con sguardo critico: creatività, socialità, media ecology… Non per dare risposte etiche definitive, ma per affrontare la rivoluzione senza eludere le domande di senso».

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