partenze

N.37 Gennaio 2023

DIARI

Le partenze di Alex: trovavi la vita dove la vita sembrava mancare

Il ricordo di un'amicizia in un collage di fotografie e nelle pagine del diario di Alex, che con il suo sorriso resta nelle vite di chi rimane dopo la sua ultima partenza, per ricordare che ogni viaggio per cui non siamo pronti è una nuova rotta. Che accende l'amore

artwork di Federica Cattagni

«Voglio andare in vacanza. Ovvio, è quasi estate ed è un pensiero costante nella mente di molti. Per me è diverso. Voglio andare in vacanza come lo vuole un bambino in inverno. Sembra quella cosa così fantastica e allo stesso tempo irraggiungibile. La possibilità di andare in vacanza per me significa prendermi una libertà che al momento non ho. Andare in vacanza significa avere energia per pianificare, forza per viaggiare, passeggiare, prendere un aereo, allontanarmi da quella routine opprimente.
Sentirmi libera nel cuore. Che cos’è alla fine una vacanza? È un momento di distacco dalla vita normale, un arricchirsi, un tempo per sé.
Non vengo da una vita normale e la mia vacanza ha un peso enorme per me. È la mia vacanza, la mia valvola di salvezza. Se riuscirò ad andare in vacanza come dico io, vorrà dire che non avrò preoccupazioni, non avrò pensieri futuri e timori presenti».

Non sapevo da dove partire e ancora una volta hai trovato tu le parole giuste per me. Pensavo di riuscire a reggere, credevo di poterti raccontare restando fermo e schermato, dietro le parole. Invece eccomi qua, a trattenere le lacrime in un respiro strozzato, a ripensare a quanto intensa e importante sia stata la tua presenza nella mia vita.
È partito tutto da un giorno d’autunno, da un corridoio che traduceva in vita la tenera innocenza di noi piccoli marmocchi. Il corridoio è grande, anzi è immenso da quella prospettiva. La corsa è senza una meta, finalizzata ad un’espressione naturale di una fisicità che necessita solo di uno sfogo. Corriamo.
Partiamo per due direzioni opposte che si incontrano, anzi si scontrano a metà strada.
E quando siamo lì, in mezzo al più fantastico dei bivi delle nostre vite, mentre il corridoio intorno a noi comincia a girare nella sua migliore pirouette, tu sorridi.
Dicono che negli occhi ti puoi specchiare, ma da un sorriso non puoi scappare.
Quel sorriso che negli anni mi ha plasmato, mi ha spinto alla continua ricerca di qualcosa o di qualcuno che lo replicasse, che potesse riportarmi a quel momento impresso così saldamente nel cuore. Grazie. Ti sorrido.

6 gennaio 1985, l’inverno oggi è riscaldato dal tuo viso. Il vento comincia a soffiare, porta un amore che ha il sapore di infinito, che ha la consistenza della tua pelle liscia, che profuma di madre.
Estrellita è la tua stella luminosa, il tuo calore, la tua fonte di vita. Estrellita è la tua mamma. E tu sei una vita che danza, Alexandra.
Gli anni passano in un susseguirsi di eventi, di sorrisi senza pensieri e di sorrisi pieni di speranza, perché con te la vita non è mai stata leggera e già da piccola ti ha spinto a dover camminare in punta di piedi.
L’hai affrontata, a ritmo di danza, ascoltandone la melodia, ricercandone il movimento, percependone il lamento. In punta di piedi hai imparato a non soffrire.
E dietro a quella determinazione, a quella caparbietà e a quell’ostinato attaccamento, hai nascosto la paura e la fragilità, hai protetto la tua immensa dolcezza, conservandola per l’intimità di un contatto, di un piede o di un gomito che si sfiorano in un letto di mamma, di due labbra che si incontrano all’ombra di una luna magica, di due braccia che ti stringono in un ultimo pesantissimo abbraccio.

L’abbraccio che stringe
per non lasciare partire,
che rende gli uomini impotenti
e le anime leggere


Quell’abbraccio che stringe per non lasciare partire, quell’abbraccio che rende gli uomini impotenti e le anime leggere in una partenza che non possiamo trattenere.

Partire, in un dolore.
Partire, nella necessità.

Sono qui con tua mamma, sono qui a casa tua. Le foto dei tuoi viaggi scorrono sullo schermo e riaprono ricordi che Estre racconta con parole che hanno il sapore del mare.
Qui tanto parla di te, conserva immagini e sfumature.
Ricordi quando hai vinto la tua prima borsa di studio?
Firenze 2001. Quanto significato in quella partenza, in quel passo di danza classica ripetuto ogni settimana, quando la domenica salpavi per poi rincasare il venerdì sera, più felice, più stanca, più… Alexandra.
Devante, à La Seconde, Derrière.
Firenze, accademia, Cremona.

«Voglio fare la ballerina» hai detto un giorno alla mamma.
E la mamma ti ha ascoltata, ti ha accompagnata lasciandoti andare.
Eri poco più che una ragazzina quando Firenze era inizialmente una piazza vuota di solitudine e una telefonata ad una madre nella quale i sensi di colpa combattevano quotidianamente con il desiderio di regalarti un sogno, di sorreggerti mentre prendevi il volo.
«Sono sola, sto mangiando con i piccioni».

Il tempo passa e tu continui a crescere, continui a partire. Passi che segnano un cammino, che rientrano ogni sera nel rione di Monticelli a San Frediano, dove Estre ti aveva trovato una stanza presso l’abitazione di una signora e dove Tiziano Terzani, pensa un po’, aveva avuto i natali. Partenze.
A casa gli amici di sempre ti aspettavano per il fine settimana e i compagni di classe ti passavano gli appunti, così che il sabato potessi recarti a scuola a recuperare la settimana scolastica persa. Fatica e sacrificio, già allora non ti spaventavano, determinata come eri a guadagnarti il tuo palco.
Passa un anno e dalla stanza nella casa con la signora, passi a vivere con alcune compagne d’accademia, ma la costante resta sempre una stazione fatta di attese, tra un treno d’andata e uno di ritorno.
I tre anni a Firenze non bastano ed ecco che vinci il concorso per entrare all’accademia di Maurice Béjart, a Losanna e la Svizzera diventa la tua nuova casa temporanea, dove sempre ardentemente prosegui in direzione del tuo destino.
Mamma Estre ti viene a trovare con la macchina carica di roba, perché lì i prezzi sono molto più alti e ti trova ogni volta più cresciuta, più precisa, più inquadrata, come la disciplina che avevi scelto di inseguire.
È solo questione di tempo perché da Losanna il sipario si sposti alla Codarts Dance Academy di Rotterdam, che resterà casa tua per un po’.
Ma più il tempo passa e più sfondare nel mondo della danza classica, diventa complesso. Il palcoscenico resta sempre lì, ad un passo da te, ma questo passo sembra essere incolmabile.
Cominci a domandarti quando ti vedranno, quando finalmente sarai tu la protagonista dello spettacolo, il giorno nel quale avrai finalmente la conferma di essere speciale.
Ancora una volta dai tutta te stessa, ti spingi fino ai confini della tua realtà, finché un giorno questa realtà ti sussurra che è giunto il momento di salutare il palco e di fermarti.
L’Olanda resta comunque il luogo da dove ripartire, da dove ricominciare verso obiettivi diversi, nuove avventure di vita. E quando l’amore ti travolge, arriva sempre attraverso la musica, nel corpo di un uomo tanto grande quanto tenero, nei colori di un ragazzo che sa tranquillizzarti, che sa rassicurarti e farti addormentare tra le proprie braccia.
E mentre sei impegnata a vivere, ad amare e ad essere amata, la medicina ti dice che hai passato l’audizione, che sei stata scelta per il ruolo di protagonista, sul palcoscenico più difficile e devastante che la vita possa palesare.

«E poi ti accorgi che è una merda essere speciale e l’unica cosa che pensi ogni istante è essere normale».

«E poi ti accorgi
che è una merda essere speciale
e l’unica cosa che pensi ogni istante
è essere normale»



In quel periodo ci siamo sentiti molto. Ero tornato nella tua vita qualche anno prima, in quella gita a Rotterdam nella quale ci eravamo rivisti e durante la quale ti feci conoscere la donna che, poco dopo, sarebbe diventata mia moglie. Eri tonata nella mia vita dopo anni di lontananza, dopo anni di contatti sporadici, di frequentazioni fugaci, ogni volta condite dal ricordo di quello scontro, in quel corridoio che ci ha visti nascere.
Ma ti ricordi quella volta in Corsica? Io stavo dormendo in macchina, sulla vecchia Renault 21 di mio padre. Sento bussare al finestrino e chi vedo? Alex e il suo sorriso.
Quante possibilità c’erano che ci incontrassimo su un’isola a chilometri da casa nostra, in un piccolo fruttivendolo a lato della carreggiata di una strada di campagna?

Eri speciale. Lo sei sempre stata. Lo sei.
Per quelli come me, ai quali hai regalato una parte di te. Per tua mamma, che ha saputo essere il tuo più grande ammiratore e ti ha osservata danzare, da ogni inquadratura, da ogni angolazione, da qualsiasi distanza. Per tuo marito che ti ha voluta amare, anche nel cambiamento e nel dolore. Per quella Barcellona che ha rappresentato la partenza verso un nuovo inizio che non sei riuscita a controllare, ma che incredibilmente sei riuscita comunque a vivere.
Perché tu eri così. Trovavi la vita dove la vita sembrava arrancare.

Quel giorno mi hai scritto che avevi ancora alcune cose da sistemare, prima di partire.
La mamma mi ha detto che ti sei occupata di tutto e lo hai fatto perché eri speciale.
Perché non c’è stato un vinto o un vincitore, ma solo una grande lezione, di come la vita possa essere gioia nel dolore e di come tutto questo non potrà mai svanire.

Così quando la primavera ha portato il proprio tepore, quando ti sei sentita troppo stanca per continuare, quando la notte si è unita al giorno e ha confuso le lacrime con i sorrisi, quando gli abbracci sono diventati eterni e le mani si sono sfiorate fermando il tempo nel moto perpetuo delle onde del mare; quando il vento ha smesso di soffiare e il respiro si è disperso tra le note incessanti del più immenso amore, sei partita ancora. Perché tutto era sistemato e hai lasciato, a chi è restato, l’arduo compito di continuare.

Ma ciò che è restato, io lo chiamo amore. E l’amore non ha tempo e non ha dimensione.

scritto con Alexandra Braguti