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N.37 Gennaio 2023

SERVIZIO

C’è un’ambulanza sempre pronta. Il soccorso si fa in squadra

La preparazione, l'attesa, la prontezza, i conti con la paura e i nervi che saltano, faccia a faccia con il dolore e il gioco di squadra. Gli operatori di Cremona Soccorso raccontano il lavoro di chi è sempre pronto a correre in aiuto di chi ha bisogno

«Non sai mai dove andrai, né come finirà», l’unica certezza è che, non troppo lontano da dove ti trovi, c’è una persona in pericolo.
Quando, nella centrale operativa di Cremona Soccorso, inizia a squillare il segnale acustico collegato al computer delle emergenze, non c’è tempo da perdere. Chi risponde alla chiamata, rapidamente consulta il monitor. Pochi attimi per conoscere il tipo di evento, il luogo e altre informazioni base, «quando ci sono». Poi, l’equipaggio raggiunge velocemente l’ambulanza che, tra i lampi blu delle sirene, in una manciata di secondi esce dal garage e parte per la missione.
«Se sei in turno, aspetti quello squillo con un misto tra ansia e desiderio: vuoi uscire, ma ti chiedi anche cosa vedrai, su quale tipo di situazione andrai ad intervenire», racconta Sabrina Panato. Il trillo metallico del campanello, prima o poi, irrompe nella stanza. «Allora, di colpo, i pensieri che ti affollavano la testa spariscono, hai i tuoi schemi operativi da seguire, fai tutto seguendo procedure provate centinaia di volte. Nella tua mente e nel tuo cuore non c’è spazio per altro». Non è freddezza, ma una professionalità che i soccorritori acquisiscono grazie a costante preparazione sommata a lunga esperienza sul campo.

Sabrina Panato con i consiglieri di Cremona Soccorso Paolo Merli e Amedeo Bonazzoli

Il sorriso e la disponibilità di Sabrina ci guidano nel conoscere il percorso formativo degli operatori e dei volontari di Cremona Soccorso. Partiamo proprio dalla sua storia iniziata nel 2012 quando, studentessa del Liceo Scientifico, decise di ottenere qualche credito formativo frequentando il corso di Primo Soccorso. «Mi sono subito appassionata – ammette – e mi sono immediatamente iscritta alla formazione successiva. Da allora non mi sono più fermata». Oggi, questa ragazza ventottenne dai modi gentili e dal carattere fermo, è nel consiglio di Cremona Soccorso e responsabile, insieme ad Amedeo Bonazzoli, dei quarantacinque dipendenti dell’Ente.
Durante le prime uscite in 118, il novizio affianca la squadra composta da autista, capo equipaggio e soccorritore terzo. «Esci come quarto – racconta Sabrina – con persone esperte e competenti. Le prime volte osservi, poi inizi a provare la pressione, ad utilizzare i vari presìdi, dai più semplici ai più complessi».

Chiediamo di condividere un ricordo legato ai suoi primi interventi.
La ragazza non ha bisogno di pensarci a lungo, le immagini arrivano alla sua mente nitide, come fosse accaduto ieri: «Siamo usciti con un codice verde, cioè di gravità minore, per un blocco intestinale. Così ci era stato riferito dalla chimata al 112. Quando siamo entrati nella casa, ci siamo accorti che la persona era morta dal giorno precedente. C’era stata una incomprensione nella comunicazione data dalla compagna. Succede spesso di uscire convinti di trovare una situazione e poi intervenire su qualcosa di completamente diverso. Questa consapevolezza è ciò che ti fa battere il cuore ogni volta che sali in ambulanza».
Tra le emozioni vissute da un soccorritore, c’è spazio anche per la paura? «Una domenica siamo usciti in codice rosso per “uno sbalzato da moto”. Quando siamo arrivati sul luogo, e abbiamo girato la persona vittima dell’incidente, l’abbiamo subito riconosciuta: era un nostro collega. L’impatto emotivo è stato forte».

Vanessa Pisaroni / ritratti di Giulia Barbieri


Sabrina ci spiega come si fronteggiano situazioni così difficili: «È importante il lavoro di gruppo, durante e dopo l’intervento. Nel momento in cui ci siamo accorti di soccorrere un nostro amico, il capo equipaggio si è trovato in forte difficoltà. Gli altri, intuito ciò che stava accadendo, hanno preso in mano la situazione andando a coprire chi, in quel momento, era in tilt».
Possiamo solo constatare, alla luce del racconto appena ascoltato, quanto sia gravoso il carico emotivo in circostanze in cui c’è in gioco la vita di una persona. «Tra noi c’è sempre un confronto ed un dialogo – risponde rassicurante Sabrina – subito, a partire dal momento in cui, in ambulanza, si rientra a seguito dell’intervento. Spesso se ne continua a parlare in sede tra noi, tra coloro che hanno vissuto direttamente la situazione». Nei casi in cui il confronto con i colleghi non sia sufficiente a superare l’impatto emotivo, all’ingresso è affisso un numero di telefono per poter accedere, anonimamente, ad un supporto psicologico.

Benedetta Frosi / ritratti di Giulia Barbieri


«Quando esci non sai cosa vedrai o chi sarà la persona che andrai a soccorrere. Potrebbe essere un tuo amico, il tuo fidanzato, un parente. E anche se non lo conosci, nel viaggio dal luogo dell’intervento all’ospedale, spesso, la persona ti stringe la mano e ti racconta, in pochi minuti, tutta la sua storia. È un fardello emotivo da gestire perché, dal momento in cui arrivi in ospedale e lo consegni al Pronto Soccorso, di quella persona non saprai più nulla». Per fortuna, tornati in sede, ci sono i colleghi più esperti con cui confrontarsi, condividere fatiche e ferite, davanti ad una tazza di tè. In attesa della prossima partenza.