onde

N.23 Settembre 2021

RUBRICA

L’onda autoritaria che passa… e ritorna

Dal cinema a Netflix: davanti alla macchina da presa esprimenti su e con i giovani che si misurano (ancora) con la minaccia totalitaria

È diventato una sorta di cult film negli ambienti educativi, qualche anno fa, un film tedesco di Dennis Gansel, L’onda (Die Welle, 2008). La vicenda si svolge nel liceo umanistico di un’anonima città tedesca dove un professore (Jürgen Vogel), incaricato di condurre un seminario sull’autocrazia, mette in atto un esperimento con i ragazzi volto a uniformare i loro comportamenti per dar vita a un gruppo coeso, obbediente a un leader e orientato verso un fine comune. Nell’arco di pochi giorni il gruppo, che si auto-definisce appunto L’onda, coinvolge a tal punto i giovani da portarli ad esiti imprevedibili e non voluti, determinando la crisi dello stesso docente.

L’obiettivo pedagogico del film, che esplora la natura dei totalitarismi, è esplicito fin dall’inizio, quando il professore chiede ai ragazzi: «Voi dite che in Germania una dittatura non sarebbe più possibile?». Una domanda che può apparire superflua in un Paese democratico e unificato, che si è lasciato alle spalle gli orrori del nazismo e dove tutt’al più è l’aria grigia e spenta (come suggerisce la tonalità cromatica prevalente) a fornire il clima in cui si svolge la vita tranquilla di una comunità di persone benestanti. Eppure, la comparsa nel 2019 di uno spin off del film dal titolo Noi siamo l’onda, una miniserie in sei puntate per Netflix di cui il Gansel è stato tra i produttori, suggerisce come la questione dell’autocrazia sia un “tarlo” sempre presente in ogni cultura.

Il primo a interrogarsi sui modi di far comprendere ai giovani l’esperienza del nazismo e le sue strategie volte a creare un senso di appartenenza tra le masse, tacitando i rigurgiti della coscienza individuale dei singoli, era stato Ron Jones nel 1967, con un esperimento che coinvolgeva i suoi studenti del corso di storia alla Cubberley High School di Palo Alto. Ripreso da Tod Strasser, autore di un fortunato romanzo per ragazzi del 1981, oltre che da pièce teatrali e speciali televisivi, l’esperimento nel tempo ha dato luogo a un’onda lunga di racconti che – come abbiamo visto – arrivano al presente. Un altro celebre esperimento di psicologia sociale che ha conosciuto diverse trasposizioni audiovisive è quello dell’effetto Lucifero, identificato da Philip Zimbardo per descrivere il modo in cui il contesto influisce sull’aggressività, per esempio nelle carceri. Oltre alle versioni letterarie e teatrali, vi sono film come The Experiment – Cercasi cavie umaneDas Experiment, di Olivier Hirschbiegel, 2001 e il remake The Experiment del 2010 diretto da Paul Scheuring.
Certo, i misteri della mente generano sempre attrazione e curiosità; ma questa lunga serie di racconti – a cui andrebbero aggiunte inchieste televisive, pièce teatrali, ecc. – mostra soprattutto un fatto: ogni generazione dà una forma propria ai grandi temi che attraversano la storia (in questo caso il potere dispotico e il consenso delle masse), ed elabora racconti nei modi più direttamente riconoscibili e comprensibili per chi li fruisce. Ne consegue che interrogarsi sui racconti, sui film e gli immaginari, soprattutto quando trattano gli stessi temi, consente di leggere in filigrana il tempo che li produce, quasi a ripercorrere, all’indietro, il moto generativo di un’onda.
Un esempio. Nel film del 2008, l’origine dell’esperimento e quindi del potere è rappresentata da un adulto, un professore anarcoide e un po’ frustrato che alla fine capisce il suo stesso errore e cerca di limitare le possibili conseguenze nefaste. Il manifesto del film lo riprende di spalle, mentre apostrofa i ragazzi che gli stanno ritti e ordinati di fronte, in un’inquadratura che ricorda parate militari e un regime pseudo fascista, a rappresentare una forma autoritaria e verticistica della forza pubblica.

Il livello di democrazia di cui gode
il cittadino medio nel mondo nel 2020
è sceso ai livelli riscontrati
per l’ultima volta intorno al 1990»

RAPPORTO V-DEM 2020

Nella serie, il potere dell’onda è invece tutto interno alla generazione dei giovani: nasce da un ragazzo affascinante, sicuro di sé e fuori dagli schemi, con un passato pesante alle spalle, e continua a fluttuare all’interno di un piccolo gruppo che proclama, come recita il titolo, «Noi siamo l’onda». Un potere che, in quanto dal basso e “plurale”, sembra meno soggetto al rischio di derive assolutiste. Ma anche i mezzi di propagazione dell’onda cambiano a distanza di dieci anni: dal giornalino scolastico e i media generalisti per il film L’onda (dove i cellulari hanno un ruolo ancora secondario), alla rete internet nella serie Noi siamo l’onda: grazie alla pubblicazione in rete delle azioni di guerriglia urbana il movimento conosce un’espansione internazionale, e suscita una presa di coscienza che induce a una propagazione di azioni di resistenza e di protesta nei confronti di poteri “altri”.
Non mancano i lati deboli in entrambi gli audiovisivi, come una polarizzazione forte dei caratteri, una sceneggiatura non sempre sostenuta che si inerpica attraverso una pluralità di generi di cui riprende i cliché. E tuttavia una chiave di lettura che oltrepassa la pura dimensione estetica – e spiega, in ultima analisi, il motivo di quest’onda che ritorna – è nel rapporto V-Dem, che approfondisce lo stato di salute della democrazia nel mondo. «Il livello di democrazia di cui gode il cittadino medio nel mondo nel 2020 è sceso ai livelli riscontrati per l’ultima volta intorno al 1990»: l’autocrazia elettorale è il tipo di governo più comune, mentre solo il 14% della popolazione mondiale vive in Paesi governati da una democrazia liberale (http://www.v-dem.net/en/)
Le immagini di Hong Kong e di Kabul spiegano perché L’onda, nelle sue diverse trame e forme testuali, non passa di moda.