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N.02 Giugno 2019

IN FAMIGLIA

Lui, lei e l’altro. Tre all’improvviso

Cosa succede nella vita della coppia all'arrivo del primo figlio Lei si iscrive ai gruppi social per "mamme con pancione" lui organizza i nuovi planning Poi tutto cambia...

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Fino a quel momento ce l’eravamo cavata piuttosto bene. Litigate pochissime, solo qualche discussione ogni tanto risolta con pazienza e ponderazione. «La casa la vorrei nella Bassa», sentenziavo. «Io sulle verdi e dolci colline bergamasche», chiosava il maschio con cui condivido il frigo.

Finimmo sul lago di Como prima e a Cremona poi, ché la storia insegna che schiodare una cremonese dalla terra natia è impresa ardua. Ce l’eravamo cavata, dicevamo: avevamo scelto insieme i mobili, come disporre i libri sugli scaffali, la marca dell’asciugatrice, il tavolo della sala bello grande per accogliere gli amici, il divano e perfino le luci della cucina. Rimaneva l’eterna diatriba del “chi butta la spazzatura”, ma il tempo ha sentenziato che tocca a chi torna a casa prima la sera o è meno stanco.

Poi accadde qualcosa. Un sospetto, all’inizio. Un rapido check e il risultato fu inequivocabile: incinta. Euforia, abbracci, salti, gioia, lacrime. Panico. E adesso che si fa, con questo “altro”, con questo intruso? Lo si accoglie, questo è certo. Era stato desiderato, quel bambino. Ma intuivamo che in qualche modo la nostra vita insieme non sarebbe mai più stata la stessa.

Lui reagì come solo un uomo sa fare: birra con gli amici, studio e planning della futura economia famigliare e dormite da 12 ore «perché non si sa mai cosa accadrà dopo». Aveva ragione da vendere e ancora non lo sapeva.

Io mi attivai come solo una donna sa fare: vivendo l’attesa come la classica sindrome da guerra imminente. Quella per cui sentendoci profondamente inadeguate riteniamo fondamentale partecipare a 270 gruppi Facebook su “mamme e pancioni” e doveroso attivare sette chat diverse con le amiche sfinendole fino alla morte con domande inutili sugli abbinamenti nome-cognome e fantasticherie sul suo aspetto. Quella per cui inizi a stipare in frigo e cucina vagonate di cibo mentre mamme, suocere e sorelle in visita ritengono vitale lavare ogni angolo della tua casa. Sembra che da un momento all’altro potrebbe non esserci più tempo di fare nulla: dormire, approntare uno straccio di sugo, mandare avanti una lavatrice…

Sull’orlo del baratro bisogna fare tutto in fretta perché lui – l’altro – sta per arrivare e non si è mai preparati abbastanza. Questa è la verità, dopo tre anni di matrimonio e due figli. Non si è preparati a cambiare abitudini perché l’ignoto fa paura, da sempre. Figurarsi se ha la forma di un bebè che intende dipendere in tutto e per tutto da noi per i prossimi diciott’anni (almeno)!

Bisogna trovare una certa dose di coraggio per dirsi che sì, non ci saranno più uscite romantiche a due per un po’, niente più ronfate da maratona o concertoni di Jovanotti con all star ai piedi e spirito da teenager. Ma ci vuole anche l’onestà di ammettere che al netto di quel paio di Vans rovinate dall’amuchina, il muro pieno di improbabili graffiti col pennarello e le quindici lavatrici al giorno causa fisiologiche escrezioni… beh ne vale immensamente la pena.

I bambini tagliano corto
spaccano la prigione dei nostri calcoli
e delle nostre inutili priorità

Vale dal momento esatto in cui senti il battito del cuore durante l’ecografia (e basterebbe che tutti lo ascoltassero, per spazzar via inutili discorsi su cosa è vita e cosa non lo è) perché misteriosamente – così come ci siamo innamorati senza avere nulla in comune – ecco irrompere nelle nostre giornate una cosa nuova, inaspettata, miracolosa. 

Rimane un mistero insondabile come dal nostro volerci bene siano nati due bambini, del perché lei abbia gli occhi di mia suocera e lui le guance da record del nonno Marco e prego il Signore che nessuno dei due erediti il metabolismo della loro mamma perché sarebbero condannati a una vita di diete, stenti e privazioni. Ma siamo immensamente felici perché al mondo ci sono due cuori e due anime in più, che ci sono affidati. Due “altri” che ci insegnano che l’amore si moltiplica e non si divide. Che si trasforma ma non viene meno. Che puoi dormire tre ore per notte ma riuscire comunque a lavorare o pulire un bagno e quando non ci riesci e ti senti sopraffatto da pannolini, gastroenteriti, capricci e banane sputate dal seggiolone non importa perché c’è sempre l’altro a ricordarti cosa davvero vale la pena vivere: non una frustrazione, ma una gratitudine. Gratitudine per quello che poteva non essere e invece c’è. 

I figli sono grandi perché ci insegnano a vincere la tentazione del sopracciglio alzato, quella che ti fa dubitare di tutto e di tutti come a dire che in fondo: ok, tutto molto bello, ma poi è subito tran-tran. 

I bambini tagliano corto, sono semplici ed è dal loro sguardo vivo e curioso di fronte a ogni cosa che possiamo ripartire ogni mattina. Loro spaccano la prigione dei nostri calcoli, delle nostre economie di scala, delle nostre inutili priorità (spaccano anche i vetri e le lavastoviglie, ma questa è un’altra storia). I nostri bambini sono il dono più grande perché ogni giorno impariamo dal loro stupore, che è poi l’unica forma non burocratica per  conoscere il mondo. 

Quella che nasce perché un giorno ci si guarda allo specchio da genitori e ci si riconosce, senza uno straccio di merito o di giustificazione plausibile, voluti bene.