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N.41 Maggio/Giugno 2023

SCUOLA

Nella scuola all’aria aperta si impara guardando le nuvole

La scuola dell'infanzia di Stagno Lombardo è entrata nella rete nazionale "Scuole all'aperto". Nel kit della outdoor education gambaletti di gomma, una lente di ingrandimento e piccoli scrigni dove custodire i tesori scoperti tra le foglie...

I bambini e le insegnanti della scuola dell'infanzia di Stagno Lombardo in uscita durante una giornata di sole

Oggi piove parecchio, non possiamo uscire». I bambini l’avevano già capito.
Dai vetri dello scuolabus avevano visto scendere rivoli d’acqua, rincorrersi per le guarnizioni nere dei finestrini, proseguire dividendosi lungo le fiancate gialle, gettarsi sull’asfalto bagnato.
Ma, anche se non si può uscire, la natura stessa è entrata nella scuola dell’infanzia di Stagno Lombardo. Ci osserva dalle scatole di cartone ricolme di foglie e ghiande, dai coloratissimi disegni di alberi che scendono dal soffitto, dalle decorazioni di rami e foglie che addobbano le pareti delle aule.
«Anche grazie alla fortunata posizione della nostra scuola, situata nella golena del Po, da diversi anni esploriamo la natura con i bambini» ci racconta con entusiasmo la maestra Katia Gobbi «ma il nostro impegno è aumentato negli ultimi anni, in particolare da quando siamo diventati parte della rete nazionale Scuole all’Aperto».
Come si traduce, nella pratica, l’outdoor education? «Essendo un paesino di campagna, le nostre uscite si svolgono sempre nel contesto naturale. Sono esperienze organizzate e, nello stesso momento, non rigidamente predefinite».

Katia si alza ed estrae alcuni oggetti da un armadio; posiziona il materiale sul tavolino di fronte a noi e ci racconta. «Di fisso c’è il kit dell’esploratore, contenuto nello zaino di ogni alunno».
A fianco della borraccia, c’è una piccola scatola di cartone. «Serve per raccogliere i tesori che la natura ci offre; sono piccoli scrigni dove posare un petalo, un sassolino con una forma particolare o un esoscheletro». Oltre alla lente di ingrandimento notiamo un foglio di cartone con un piccolo foro triangolare. Dal pertugio ci fissa l’occhio di Katia che, sorridendo, spiega: «Si chiama “finder” e serve per osservare la natura fissandosi su alcuni punti particolari». Un principio simile, immaginiamo, giustificherà la presenza di alcune cornici di cartone. «Esatto – prosegue la maestra –si appoggiano a terra e servono per selezionare nel campo, nel prato o nel bodrio, una piccola porzione da esaminare».
Quando vanno in uscita, i bambini sono pronti a raggiungere verso quello che viene definito “punto base”, cioè un luogo che già conoscono e hanno esplorato, per esempio la cascina Lago Scuro. Una volta arrivati sul posto «le maestre non dicono fate questo, osservate quest’altro», ma gli alunni sono liberi, con gli strumenti in loro possesso, di muoversi, ricercare, e, soprattutto raccogliere preziosi materiali. Archiviati nelle scatoline o caricati su due carrettini di legno, tronchi, castagne o nidi abbandonati vengono portati a scuola «per stimolare nuovi apprendimenti e scoperte in un processo in cui il sapere individuale diventa sapere collettivo».

E se fa freddo? Uscite ugualmente? Katia ci mostra un armadietto: «I bambini sono tutti attrezzati con tutina impermeabile e stivaletti di gomma. Usciamo in qualsiasi stagione, anche con nebbia o neve, basta che non piova a dirotto. In questo modo possono osservare come cambiano le stagioni. Per esempio il campo vicino alla grande quercia, uno dei nostri punti base, lo vedono quado è arato, quando viene seminato, quando l’erba medica cresce e quando viene raccolta e imballata».
Osservando una serie di rami appoggiati alla parete del cortile, e basandoci sui nostri ricordi di infanzia e poi di genitori con bambini alla scuola elementare, ci vengono immediatamente alla mente le urla delle maestre quando notano, durante l’intervallo, qualche temerario azzardarsi a giocare con i bastoni. Katia sorride e, paziente, ci spiega: «Noi consentiamo di usarli, ma devono seguire alcune regole: osservare se lo spazio circostante è libero e verificare che non sia più lungo di un braccio. Il bastone è un oggetto simbolico molto importante, rappresenta la corazza del bambino, gli dà il potere e la forza di vincere le proprie paure».

«L’amore per la natura
è innato nei bambini
Noi abbiamo la responsabilità
di fare in modo che non appassisca»


Poi, intuendo da dove nasce la nostra domanda, prosegue: «Dedichiamo molto tempo ai genitori per conquistare la loro fiducia e spiegare loro, attraverso la documentazione fotografica e video che ogni volta raccogliamo, come si svolgono le uscite in natura. Spieghiamo che è scientificamente provato che, più i bambini stanno all’aperto, meno si ammalano e che la sperimentazione del rischio è fondamentale. I piccoli, sotto l’occhio attento dell’adulto, e talvolta con il suo aiuto diretto, possono affrontare e vincere piccole paure, come saltare da un tronco oppure oscillare appesi ad un ramo».

Katia ci saluta, mentre si affaccia all’aula Romina Maffezzoni. Prosegue il discorso della collega spiegandoci che, prima di ogni uscita, effettuano degli attenti sopralluoghi. «Inoltre è fondamentale conoscere bene il gruppo dei bambini: in natura non fanno tutti la stessa cosa. Quando arriviamo in un luogo c’è chi corre, chi si arrampica, chi si ferma ad osservare gli insetti. Il nostro compito è tollerare il rischio, fidarci di loro, stare al fianco dei bambini e rispondere ai numerosi interrogativi con domande aperte che stimolino nuove ricerche e scoperte».


Lanciando un’occhiata al cortile della scuola, cosparso di tronchi, cortecce e liane, Romina ci spiega: «La biofilia, cioè l’amore per la natura, è innato nei bambini. Noi abbiamo la responsabilità di fare in modo che non appassisca. Loro comprendono immediatamente se sei una persona sensibile e se ti piace stare con loro nella natura. E i tempi devono adattarsi a questa didattica: può essere che un pomeriggio rimaniamo semplicemente coricati nell’erba ad osservare le nuvole che si rincorrono nel cielo».
Mentre ci dirigiamo verso l’uscita della scuola, incrociamo “nonno orso”. In realtà si chiama Giovanni ma, i bambini, preferiscono chiamarlo con il buffo soprannome. È un pensionato pieno di energia, contagiato dall’entusiasmo dei bambini a cui risponde con dolcezza e pazienza. «Io sono del paese, le maestre invece vengono da fuori, così faccio da guida quando c’è da esplorare uno spiaggione o un bodrio», ci racconta orgoglioso.
Con l’immagine di un gruppo vociante di bambini che, insieme a “nonno orso”, portano le mele avanzate dalla mensa all’asinello della vicina cascina, prendiamo coscienza che per questi piccoli la natura non è un luogo da visitare durante una gita. È casa.