sensi

N.46 Gennaio 2024

filosofia

Per non arrendersi al senso unico

Se pluralismo e la diversità diventano solo maschere di un conformismo qualunquista di cui siamo vittime e carnefici

L’indicazione “senso unico” costringe tutti a muoversi incolonnati come accade ad un gregge dove ogni pecora si muove allineata in una fila unidirezionale. Sociologicamente “il senso unico” é definito come conformismo, ovvero costante riproduzione dell’uguale. Come il cane abbaia alla pecora che tenta di deviare e la sospinge a riallinearsi, così il conformismo aggredisce chi provi a rifiutare l’omologazione da esso imposta. Si potrebbe pensare che l’odierna era dell’individualismo, della ricerca dell’originalità a tutti i costi, abbia sconfitto il conformismo. Di fatto, però, la ripetuta proclamazione del pluralismo e del valore della differenza è uno slogan che cela una menzogna. Quando il dissenso è mal tollerato, a volte perfino censurato, quando il diverso è oggetto di derisione e irrisione, quando diffusa è l’afasia degli intellettuali, il pluralismo e la diversità diventano le maschere di un conformismo qualunquista di cui siamo vittime e carnefici.

Il conformista, come recita una straordinaria canzone di Gaber, “ha tutte le risposte belle chiare nella testa”, nessun dubbio e nessuna inquietudine può frenare la sua frenesia di sentenziare su tutti e tutto. “Si muove senza consistenza”oscillando indifferentemente da un’opinione all’altra.

Tanti sono i volti dell’odierno conformismo: l’ostentazione del consumo, la spettacolarizzazione della propria personalità, il culto della performance, la socialità relegata ai social. Ma quella indicata da Gaber,  ovvero il qualunquismo, mi appare la più minacciosa per la nostra salute. Percepirsi onniscienti porta a eliminare dalla propria vita il dubbio, la meraviglia, lo thauma da cui trae origine la speculazione. La sua assenza genera stupidità ovvero la capacità di provare quel pathos da cui scaturisce il pensiero.

La meditazione, la contemplazione, la riflessione, momenti interconnessi del pensare, richiedono silenzio ma soprattutto quiete. Entrambi oggi sono negati dalla velocità imposta dal mercato. Il capitalismo che trasforma non solo noi ma anche il tempo in merce ha vinto. Somigliamo “a pietre che rotolano – come scrive Nietzsche – con la stupidità del meccanismo”. “Tonti e tardi” funzioniamo solo secondo i principi stimolo/reazione, bisogno/appagamento, problema/soluzione, programmati come automi.

L’inazione è considerata un perder tempo. La stessa festa, che dovrebbe essere tale solo perché libera dalle necessità della sopravvivenza tanto che ogni attività dovrebbe cessare, è stata trasformata in merce. Ne dà testimonianza l’affollamento dei centri commerciali proprio nei giorni festivi.

Solo i bambini conoscono la festa, solo loro hanno la forza di non agire, di gustare il tempo dell’immaginazione e della ricreazione. Non c’é utilità nei loro giochi, solo la gratuità creatrice di nuovo che riesce a  trasformare un coperchio in scudo, una scopa in cavallo, una sedia in torre. Forse ,omologati come siamo al culto del fare, stiamo corrompendo anche loro, li costringiamo a giornate dai ritmi incalzanti e frantumate in mille attività. Stiamo negando ai bambini il piacere dell’ozio, dell’inazione contemplativa da cui nasce la poesia, la parola che salva dal non senso.

Solo i bambini conoscono la festa,
solo loro hanno la forza di non agire,
di gustare il tempo dell’immaginazione

In Umano troppo umano Nietzsche scrive che “nel mostruoso acceleramento della vita, spirito e occhio vengono avvezzi a un falso vedere e giudicare, tutti rassomigliano a quei viaggiatori che fanno conoscenza di paesi e popoli dal treno… solo un violento ritorno del genio della meditazione…” libererà dalla schiavitù dell’agire. L’attesa silenziosa, priva d’intenzioni, consente all’uomo di diventare consapevole del luogo in cui si trova e cominciare a pensare, a vedere oltre le apparenze, a ragionare, a discutere pareri divergenti.

Recita uno slogan di una nota trasmissione televisiva :”Tutte le ragioni, tutte le opinioni”. Sottintendono che i due termini siano sinonimi si fa paladino di un pluralismo ridotto a qualunquismo. Opinione e ragione hanno infatti significati diversi. La prima è soggettiva,spesso generata dal sentito dire piuttosto che dai personali gusti, la seconda è fondata su principi logici universali e su fatti verificabili. Il ragionamento mette a confronto dialetticamente opinioni differenti, ne discute la fondatezza, evidenzia le contraddizioni al fine di trovare la verità. Nel cosmo delle opinioni nessuna può avere più valore di un’altra. Solo la forza può imporre quale debba prevalere. Il qualunquismo genera violenza, diventata ormai pervasiva dei nostri comportamenti.

Fermarsi e, in silenzio, contemplare un fiore al suo sbocciare, la foglia che cade, le lacrime e il sorriso sul volto di un bambino, le mani di un vecchio costituiscono una significativa alternativa al senso unico, all’omologazione della stupidità, alla tracotanza del mercato.