caos

N.47 febbraio 2024

dagli archivi di Riflessi

Rumore.

di Barbara Ravazzola, insegnante scuola dell’infanzia

Esordisco dando i numeri: 51: i miei anni di vita; 1990: anno di inizio del mio insegnamento; 29: anni dedicati all’attività di maestra nella stessa scuola, quasi metà della mia vita; 40: la media di bambini che ogni anno entrano nella nostra realtà scolastica; 80: i nuovi genitori; 160: i nuovi nonni.
Bene, immaginate (senza contare zii, zie, tate…) ogni anno per ventinove anni, circa trecento nuovi incontri, per un totale di ottomilasettecento nuove conoscenze.
Un lavoro così dinamico, vivace, sorprendente, così nuovo ogni giorno, da superare quella noiosa fatica che si insinua nella quotidianità di una routine.
E così ogni giorno mi alzo, mi preparo, colazione, di corsa fuori nel silenzio di una Cremona ancora sonnecchiante e appena varco la soglia di quel luogo che da ventinove anni mi accoglie come una seconda casa, è come se entrassi nell’armadio di Narnia.
Alla mattina, intorno alle 7.30, lì è festa!
Quel corridoio è il regno di sua maestà l’allegria. Non importa il carico da novanta di fatiche che la vita ti impone: il rumore dei bambini che ti aspettano ti contagia, ti sorprende, ti consola, ti rapisce. Ti sveglia dal torpore del sonno, della stanchezza e della monotonia.
E se ogni giorno è nuovo e la realtà sempre sorprendente, è quella la costante: il rumore, rumore di bambini, il rumore della vita. Quella vita così spontanea, che si impone anche con qualche lacrima da consolare, che fiduciosa si abbandona al tuo abbraccio e ti conferma, anche prepotentemente chiassosa, che nulla vale tanto quanto l’amore che si dà e si riceve.

di Paolo Parisi, otorinolaringoiatra

Che cos’è il rumore? È qualcosa di fastidioso il rumore? Risponderemmo tutti “sì” solo per il fatto che è insito nella parola stessa e risulta comune associare il rumore a sensazioni negative.
Tanti rumori infastidiscono: quello del traffico, il vociare della folla, i rumori continui della notte, il rumore della sofferenza in una corsia d’ospedale.
Esistono però rumori sottili, silenziosi che penetrano ciascuno di noi toccando i tasti più profondi dell’anima; sono quelli a cui non si pone attenzione: quelli calmi, regolari, come le onde del mare nelle notti d’estate.
La prima volta che ho conosciuto il mio amico Andrea c’era molto rumore: il cane abbaiava, i nipotini giocavano, la tv, il frullatore… Nella confusione Andrea rimaneva fermo, un’anima pura in un corpo inerme. Andrea aveva una malattia ereditaria dei motoneuroni ed era condannato alla paralisi totale; accanto a lui una madre guerriera che mi guardava con la dignità di chi convive ogni giorno con la sofferenza e ti sbatte in faccia la forza e l’energia della fede. Nessun lamento, nessuna commiserazione, mai un grido contro il destino, ma sempre una grande energia interiore, la preghiera come cibo, la croce come simbolo.
Occuparmi della tracheotomia di Andrea mi rendeva una persona migliore, sentire una donna con la croce di legno al collo che mi diceva: «Pregherò per lei» mi rendeva una persona migliore.
Andrea se n’è andato in silenzio in un giorno d’estate, ma quando penso a lui ricordo i suoi grandi occhi azzurri, l’immagine di Maria posta a fianco del tracheostoma, il rumore delle onde del mare nelle notti d’estate..

di Mattia Tedesco, musicista

Musica = rumore. Non è una definizione molto romantica, ma posso assicurarvi che per molti è proprio così. Abitualmente definiamo il rumore come un segnale di disturbo, ma anche come sinonimo di “suono”, sempre però con una qualche accezione negativa: il rumore è sgradevole e fastidioso. «Smettila con quella chitarra che stai facendo solo rumore»; «Non senti che rumore stai facendo con quella batteria? Suona più piano!». Frasi come queste non incoraggiano certo chi si impegna per imparare l’uso di uno strumento e prova a perfezionarsi. Eppure ogni musicista che conosco se le è sentite rivolgere almeno una volta nella vita.
Sembra però che ad essere “rumoroso” sia sempre uno strumento moderno: ne sanno qualcosa tutti quelli che imbracciano una chitarra elettrica o tengono il ritmo alla batteria. Vi è mai capitato di sentir definire un “rumore” il suono di un violino o di un flauto… per fare due esempi? Mai.
Io di mestiere suono la chitarra elettrica e da sempre sono uno degli “imputati” al processo dell’opinione pubblica contro il rumore per i seguenti capi di accusa: volume alto, suoni distorti, abuso di effettistica…
Però non vi auguro di trovarvi nella stessa stanza con un violinista principiante…Sono certo che preferireste il suono delle unghie sulla lavagna. O, perché no, un bel riff di chitarra elettrica.