parole

N.24 Ottobre 2021

SLANG

Se mi triggeri ti blasto

Piccolo manuale di sopravvivenza linguistica per boomers

Da quando l’accademia della crusca ha accolto l’aggettivo “petaloso” tutto è cambiato.
Era il 2016: un bambino di terza elementare ha coniato un neologismo ad hoc per descrivere un fiore. Complice la maestra, la trovata è stata sottoposta al vaglio del gotha della lingua italiana, che ha premiato la creatività del piccolo affermando che sì, era proprio un termine azzeccato.
È come se si fosse aperto un varco spaziotemporale tra lecito e illecito, tra sacro e profano.
Intere generazioni abituate a cercare le parole su dizionari monolitici, hanno visto sgretolarsi come carta il confine d’inchiostro tra giusto e sbagliato, segnato a penna rossa da schiere di maestre e professori.
Eppure i filologi parlano chiaro: l’italiano è una lingua viva, liquida come l’acqua, e come tale si evolve assumendo forme e colori della società in cui viene utilizzata.
Ciò è meraviglioso quando si surfa l’onda del cambiamento, disarmante quando ci si trova travolti e senza parole, incapaci di comprendere quelle che il mondo ci rivolge.

I più conservatori puntano il dito contro i social media, altri incolpano l’invadenza del british language, che come un tarlo pragmatico ha rosicchiato sintassi e sinonimi a favore della semplificazione. Siamo rimasti impassibili ad osservare l’italianissimo aperitivo tramutarsi in happy hour, consapevoli quell’ora sarà un po’ meno felice se include un meeting di lavoro… Perché si sa, davanti a un drink il brainstorming viene meglio. E diciamolo, ci fa sentire un po’ più cool.
Anche in ufficio la vita non è semplice per chi non mastica l’inglese, tra file da forwardare e feedback da restituire ASAP a boss e coworkers. Essere responsive è il minimo sindacale per essere smart.

I prestiti linguistici non solo diventano parte del linguaggio ma formano nuove parole, chimere sintattiche difficili da domare senza un adeguato dizionario da strada.
A volte servirebbe un antistress, una di quelle palline di gomma da squishare così trendy tra i giovanissimi, veri protagonisti di un galoppo generazionale inarrestabile.


Più che una tribù, la generazione Z è una grande famiglia: gli amici sono fra o bro, gli adulti sono “zii”. La persona più cara è BAE (before anyone else), ma ieri come oggi le relazioni romantiche sono un campo minato in cui si rischia di essere friendzonati, perché citando l’irriducibile (ormai preistorico) ritornello degli 883, “la regola dell’amico non sbaglia mai”. Se la conoscete, non cantatela ad alta voce. Rischiate di essere cringe, imbarazzanti. E questo lo dice pure la Crusca.


Se qualcuno vi triggera o vi trovate coinvolti a singolar tenzone in un diverbio virtuale, ricordate che il successo si gioca a colpi di retorica: lo stile non basta, vince chi blasta.
Per celebrare il trionfo si può dabbare (su Youtube ci sono tutorial apposta), se invece volete guadagnarvi un’uscita di basso profilo affidatevi ai meme, sintesi perfetta di mood intraducibili ma universali. In caso di dubbi, prima di usarli assicuratevi un check con un cugino o un nipote under 25, giusto per non essere liquidati con un “ok boomer“, espressione riservata ai nati tra il dopoguerra e la generazione X.
Se non sapete cosa dire, il sempreverde “pollicione in su” (👍 ) salva ogni situazione.

Ma solo in chat, non di persona. Altrimenti l’effetto boomer è assicurato.