radici

N.29 Marzo 2022

VISITE

Sosta alla Cascina del Cambonino museo vivo della Civiltà contadina

Alla periferia della città c'è un luogo senza tempo, dove non arrivano i rumori della tangenziale e i giocattoli non hanno le batterie, che mantiene vivo un legame con il mondo dei nostri nonni e fa memoria di una storia che ci appartiene

Arriviamo dalla tangenziale seguendo le indicazioni della voce inespressiva del navigatore. Superato il centro commerciale CremonaPo, una volta dominatore incontrastato della grande rotonda, ci infiliamo nel traffico che scorre ininterrotto sulla Castelleonese, e imbocchiamo la corsia che porta al quartiere Cambonino.
L’antica cascina, incastrata tra due campi da calcio e il viale omonimo, appare tra le fronde dei gelsi e dei pioppi. Il grande portone chiuso e la quiete che la circonda le conferiscono l’aspetto e l’aura di un luogo sospeso nel tempo. Se non si trovasse nella periferia della città, sarebbe solo una delle numerose cascine che si incontrano per le strade della campagna cremonese e che fanno tornare alla mente le parole di Guido Ceronetti quando affermava che “andare per campagne, oggi, è come passare per un vecchio quartiere in demolizione.”
Ma la Cascina Cambonino non è abbandonata perché, appena suonato il campanello, si apre immediatamente l’angusto passaggio pedonale. Varchiamo l’uscio e, alzando lo sguardo, rimaniamo stregati dalla quiete del luogo dimenticando che, oltre le antiche mura, c’è la tangenziale con la sua ridda di automobili e ipermercati. Lo sguardo spazia sulla casa padronale, le stalle, il barchessale mentre il silenzio, lentamente, si popola dei rumori della campagna come il cinguettare degli uccelli, il ronzio degli insetti, il fruscio del vento tra le foglie. Ci distoglie dallo stato contemplativo la voce gentile di Anna Mosconi, conservatrice sia del Museo di Storia Naturale che del Museo Civico della Civiltà Contadina. «Nel 1976 questa struttura, una tipica cascina cremonese posta alla periferia della città, è stata scelta come luogo dove conservare il ricordo del passato. Era un periodo in cui, in Italia, nascevano molti musei etnografici per non perdere la memoria di una momento di rapida evoluzione». Evidentemente in un tempo di crescita economica, di profondi cambiamenti nel tessuto produttivo e sociale, tra le pieghe dell’entusiasmo per un futuro considerato gravido di scintillanti promesse, si nascondeva la paura di perdere le proprie radici. «Certo – prosegue nella sua riflessione Anna Mosconi – anche se non tutti avevano il desiderio di mantenere il legame con il passato perché, per molti, rappresentava un tempo doloroso, fatto di rinunce e fatica».
Spesso sono anziani i visitatori che sostano sotto il barchessale e non poche volte, con il ricordo amaro di un periodo difficile della propria vita, emerge una profonda nostalgia: «Si stava meglio quando si stava peggio è una frase che ho ascoltato più volte – confida Anna Mosconi – perché sono persone che riconoscono, in quel mondo duro e faticoso, lo scrigno di profondi valori di umanità e amicizia, oggi forse in parte perduti. Nel 2022 è più facile vedere esaltato l’individuo, il cui ego si gonfia a dismisura, mentre la civiltà contadina poneva al proprio centro la comunità, luogo dove si condividevano gioie e dolori».

Oggi, nel periodo in cui i nonni raramente possono incontrare i nipoti per narrare la vita in campagna, è importantissimo visitare la cascina Cambonino, varcare quel portone per entrare in un mondo apparentemente così lontano da quello che pulsa oltre le mura. «È utile sostare nell’aia, osservare le macchine ferme sotto il barchessale, camminare per le sale perché, in un mondo sempre più globalizzato, è importante tenere salda la propria identità». Senza fanatismi o sterili nostalgie, non bisogna dimenticarsi delle tradizioni, del folklore e di un patrimonio immateriale tanto esteso quanto fragile. «È un passato che ha prodotto pochissimo di scritto perché basato soprattutto sulla trasmissione orale – afferma la curatrice a cui, evidentemente, l’argomento sta molto a cuore – quel poco che abbiamo è il frutto della volontà dei nonni di tramandare alle generazioni successive frammenti del passato».
I bambini, quando vengono a visitare il Museo, rimangono sorpresi nello scoprire che esistevano giocattoli privi di batterie e fatti di un materiale diverso dalla plastica, nati da scarti trasformati grazie a fantasia e ingegno. «Quando arrivano le classi delle elementari, le coinvolgiamo non solo tramite la visita ma pure con laboratori pratici, come quello del bucato. Sono strumenti non solo per conoscere un passato dove spesso si possedevano solo un paio di vestiti, ma anche per ragionare insieme su temi attuali come quello del riciclo, dell’ecologia, del risparmio energetico…».

Per non lasciare che la memoria scolorisca, al Museo fioriscono iniziative come gli appuntamenti di “Dialetti e folklore – Il Filòs ritrovato” (prossimi incontri martedì 5 aprile e 3 maggio, ore 17.00), il Torneo Mondiale di Microfiabe ed il Microfestival di Musica Antica e Teatro. «Quest’ultimo non è solo un tentativo di recuperare l’ educazione ad un vita onesta e spirituale ma, anche, un modo per restituire alla chiesetta della cascina il suo ruolo». Sul finire degli anni ‘70 infatti la struttura del Cambonino fu scelta sia per la vicinanza alla città che ne facilitava l’accesso, sia perché aveva al suo interno un piccolo luogo di culto, l’oratorio della Beata Vergine di Caravaggio. «È il posto che più mantiene vivo il legame con il quartiere, per esempio con il rosario recitato ogni sera durante il mese di maggio» sottolinea la curatrice.
Pur nell’apparente immobilità, la cascina continua a vivere, attraendo numerosi visitatori che nemmeno il covid è riuscito a fermare. «Rispetto alle esperienze nate negli anni ‘70 citate all’inizio del nostro incontro – sottolinea orgogliosa Anna Mosconi – la nostra particolarità è di essere un museo nel museo, cioè le mura stesse raccontano una storia, non sono solo dei contenitori di oggetti. La cascina Cambonino è contenitore e contenuto allo stesso tempo».
Un pomeriggio per portare i propri figli o nipoti a visitare il Museo della Civiltà Contadina può essere un salutare antidoto alla frenesia delle nostre giornate; magari con una sosta sotto il barchessale per spiegare loro che (citando una celebre frase di Susanna Tamaro) «con i mattoni si costruisce, grazie alle radici si cresce».