nodi
N.10 Aprile 2020
La Rete siamo (davvero) tutti noi
Quando, nel 1991, Sir Tim Berners-Lee regalò al mondo il World Wide Web, pochissimi compresero davvero la portata di quella rivoluzione. A partire da allora, e per molti anni, il Web sembrò ai più soltanto uno strumento per mandare e ricevere email, per consultare siti (ammesso di riuscire a trovarli, in assenza di motori di ricerca validi) e poco più. Poi arrivò quello che fu definito web 2.0, che ci diede la possibilità di interagire con gli utenti della Rete grazie ai social media: blog, social network, forum, community e molte altre piattaforme nate per gestire relazioni e, letteralmente, per fare rete.
In una prima fase, fino all’inizio della seconda decade del secolo, queste piattaforme erano popolate per lo più da professionisti del mondo ICT (Information and Communications Technology) e comunque da utenti del mondo business, oltre che da quelli che all’epoca erano definiti “smanettoni” della Rete. Gente che, prima di tutti gli altri, si è tuffata nel mare di Internet e ha cominciato ad esplorarlo, surfando in buona compagnia con il desiderio di crescere e di migliorare.
Un’epoca d’oro, quella, in cui le uniche vere polemiche tra gli utenti riguardavano noiosissime questioni tecniche, virtuosismi e lazzi celoduristici che quei primi pionieri del Web si scambiavano in lunghissimi flussi e che, spesso, davano poi vita ad incontri, eventi o addirittura vere e proprie collaborazioni.
L’epoca delle fake news e degli odiatori era ancora lontana e le piattaforme avevano assai poco da offrire, rispetto a quelle attuali. Una cosa sembrava chiara a molti, tuttavia: il Web serviva per fare rete, per creare e aggiungere valore, per aiutarsi a vicenda a migliorare e a trovare strade nuove.
Ciascuno di quegli utenti era, in modo più o meno consapevole, un vero nodo di una rete fatta di persone disposte a metterci del loro, quasi sempre senza chiedere altro in cambio che lo stesso approccio e lo stesso entusiasmo. In una sola parola reciprocità.
In quell’era straordinaria, tra il 2000 e il 2010, la convinzione che la Rete e il digitale ci avrebbero restituito un mondo nuovo e migliore era altissima e nessuno immaginava che i successivi sviluppi del Web e delle sue piattaforme avrebbero fatto urlare ad un intellettuale del calibro di Umberto Eco che “i social media hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli”, cosa che oggi non è difficile riscontrare. Cos’è successo tra l’epoca d’oro e la degenerazione dei nostri giorni?
A guardare le cose da fuori potremmo forse ipotizzare che la Rete, che inizialmente era costituita da nodi tra loro omogenei (quanto meno per comunione d’intenti), a un certo punto ha iniziato a popolarsi di cantanti, attori, stelle dello sport, vip e altre tipologie di utenti che, sebbene spesso disposti ad interagire con gli altri (in proprio o tramite loro collaboratori o agenzie), hanno iniziato a rompere un incantesimo che fino ad allora aveva messo tutti sullo stesso piano e dato a tutti le stesse possibilità.
La diffusione dell’uso di Internet, gli sviluppi della Rete mobile e l’esplosione del fenomeno smartphone hanno fatto il resto, aumentando il rumore di fondo e trasfigurando piattaforme come Twitter, che per anni era stata una sorta di riserva indiana per nerd e smanettoni e che all’improvviso, a partire dal 2011, ha iniziato a popolarsi di star e dei loro fan, degenerando gradualmente fino al caos odierno, in cui bufale e odio sembrano del tutto inarrestabili.
Tornare indietro sembra oggi impossibile, ma sebbene moltissimi non abbiano chiaro il senso di questo prodigio che è Internet, la Rete continua ad essere un complesso reticolato di nodi, il cui senso più profondo è quello di lasciar scorrere energia e generare interazioni costruttive. Se questo non avviene è soltanto a causa dell’ottusità di molti utenti, che invece di fare rete inquinano il Web con la loro rabbia, la loro frustrazione e il malcelato desiderio di distruggere tutto ciò che incontrano, non essendo capaci di costruire.
“Io non volevo solo partecipare alle feste. Volevo avere il potere di farle fallire”, diceva Jep Gambardella nel film “La grande bellezza”; ed è questo che cercano di fare milioni di persone sui social media, con l’enorme differenza che per il protagonista del film quell’attitudine era parte del suo essere “il re dei mondani”, mentre i peggiori utenti della Rete arrivano sui social senza nessun invito e senza nessuno che ce li trattenga.
La corsa alla visibilità ha devastato il Web più di quanto non abbia fatto lo sbarco in massa dei “vecchi” media, delle aziende e di troppi che non hanno compreso quanto questa dimensione sia fatta di reciprocità, di interazione e di dialogo costruttivo.
Se non capiremo che Internet non è una ribalta o un trampolino verso la celebrità, ma che la Rete “siamo tutti noi, connessi” (New Clues – Cluetrain Manifesto – 2015), questa poderosa opportunità si trasformerà in un grave problema, spingendo molti governi a valutare censure e restrizioni.
In un periodo come questo, pieno di incertezza, la sola cosa che possiamo fare è dunque recuperare il senso profondo della Rete e di una relazione con gli altri che sia capace di abbracciare idee, stimoli, progetti e pulsioni verso una società più giusta, più matura, più forte e capace di arginare i flussi negativi e tossici senza emarginare chi non è in grado di liberarsene. Fare rete significa infatti creare legami multidirezionali in grado di sostenere tutti e ciascuno, facendo circolare energia fresca e pulita.