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N.22 Giugno/Luglio 2021

AGRICOLTURA

Chi ha interrotto l’orologio delle stagioni?

Cambiamenti climatici e sistemi globali di distribuzione hanno sbilanciato gli equilibri tra quello che mangiamo e i tempi naturali della crescita

Il tempo è un fattore essenziale in agricoltura. Al pari del suolo o dell’acqua, serve a far crescere il frutto o la verdura, dal seme fino al prodotto finale. Il suo scandire sembrava perfetto… fino a qualche anno fa.
Le quattro stagioni si susseguivano in ordine e con rigore, e a questo movimento seguivano anche le scelte di contadini ed agricoltori circa i prodotti da coltivare. La saggezza popolare lo impreziosiva e ne dava conferma in Almanacchi e Lunari che, utilizzando un linguaggio talvolta semplice, molto vicino al parlato degli operatori agricoli, si proponevano come strumenti di formazione, diffusione di nuove pratiche, ma anche di valori etici. In questi scritti, si evidenzia l’importanza dei due pleniluni, quello di maggio e quello di settembre, che scandiscono la stagione estiva e quella invernale, e si riportano numerosi proverbi. Di recente, l’Accademia dei Georgofili ne ha contati ben 443 diversi, senza contare le varie declinazioni regionali. Gran parte di essi comprende l’apprensione per l’andamento della stagione o dell’annata da cui dipendevano le sorti della famiglia come: “Gennaio all’asciutto, grano dappertutto”, “l’estate di San Martino dura dalla sera alla mattina”. Altri invece rammentavano ciò che bisognava fare o non fare in campagna, in cantina, nella stalla o nel frutteto: “Non potare con la luna nuova perché le fascine andranno a male”, “le noci vanno raccolte nella notte di San Giovanni se vorrai aver un buon nocino”. Altri ancora contenevano previsioni metereologiche “Se piove per la Candelora, dall’inverno siamo fuori” o “pioggia di febbraio, riempie il granaio”.

«Pioggia di febbraio
riempie il granaio»

La filiera della produzione agricola era molto corta perché comprendeva pochi passaggi intermedi tra il produttore e il consumatore finale, si estendeva in poche centinaia di chilometri quadrati e le varie produzioni erano dettate dal susseguirsi delle stagioni. Arance d’inverno e pesche d’estate, non era possibile diversamente.
Da alcuni anni, questo orologio così perfetto sembra essersi un po’ inceppato. Le cause sono diverse, ma possono essere ricondotte a due grandi filoni: quello del rapporto tra agricoltura e cambiamento climatico e quello della disponibilità fuori stagione dei prodotti agroalimentari.
Secondo uno studio del Gruppo Consultivo per la Ricerca Internazionale sull’Agricoltura (CGIAR), i sistemi alimentari sono responsabili per circa il 30% delle emissioni antropogeniche di gas serra. La filiera legata ai prodotti di origine animale (vale a dire carne, uova e prodotti lattiero-caseari) contribuisce molto a tale situazione. Secondo la rivista scientifica Science, la produzione di carne e latticini utilizza l’83% dei terreni agricoli e produce il 60% delle emissioni di gas serra dell’intero settore agricolo. Un altro fattore nocivo per il clima è l’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti chimici. Oltre ad essere estremamente dannosi per le api, pesticidi e fertilizzanti rappresentano la fonte primaria di emissioni antropogeniche di protossido d’azoto (N2O), un gas serra 300 volte più potente dell’anidride carbonica. Rispetto ai livelli pre-industriali, il livello di N2O nell’atmosfera è aumentato del 20%, con gravi conseguenze per lo strato di ozono e per il surriscaldamento dell’atmosfera.
Ad aggravare la qualità del clima, vi è poi l’ampia conversione del suolo agricolo per ragioni residenziali e produttive, oltre al disboscamento e all’inquinamento urbano. Tutto ciò si riflette in un peggioramento della produttività agricola, oltre che della qualità delle produzioni.
L’agricoltura è causa, ma subisce, al contempo, gli effetti dell’inquinamento che alterano inevitabilmente il clima e quindi i suoi tempi. L’aumento degli eventi climatici estremi impatta sulla produzione, le temperature crescenti fanno oscillare le rese e le siccità prolungate colpiscono le risorse idriche. Intanto la successione meno armonica delle stagioni, insieme al pesante utilizzo della chimica, sta facendo strage di api e altri impollinatori, mentre aumentano le popolazioni di parassiti che provocano danni alle piantagioni.
La disponibilità di prodotti agroalimentari fuori stagione modifica anche essa i tempi dell’agricoltura. Ogni periodo dell’anno è tipico per particolari prodotti vegetali che in quella stagione presentano le migliori caratteristiche, anche dal punto di vista nutritivo. Una volta il legame dell’uomo con la natura era molto stretto e anche la scelta del cibo dipendeva da essa.Oggi non è più così: è ormai una abitudine acquistare in qualsiasi stagione dell’anno la maggior parte di frutta e verdura, salvo eccezioni come le angurie e le castagne.

Le ragioni di questa disponibilità sono diverse: dalla coltivazione in serra, alla facilità dei trasporti, che favorisce gli scambi commerciali con Paesi dalle condizioni climatiche diverse e quindi una produzione agricola “fuori stagione” per l’Italia. Anche le tecniche di conservazione e la scelta di particolari varietà di una stessa specie, che matura e quindi viene raccolta in mesi differenti (da qui le definizioni di “primizie” e “tardive”), contribuiscono alla maggiore reperibilità di molti prodotti.
Che fare per aggiustare l’orologio?

Fare in modo che torni ad essere centrale il ruolo dell’agricoltura come attività importante per la difesa della biodiversità, cioè di tutte le forme nelle quali si differenziano animali e vegetali. “Istruire” il consumatore. Sono imbarazzanti i numeri di coloro che non conoscono i tempi delle stagioni perché assuefatti dalla disponibilità non stop di frutta e verdura nei supermercati o dei bambini che pensano che la mucca di colore viola esista davvero, oltre che in tv. La loro ignoranza dipende anche da una distorsione nel sistema distributivo. Percorrendo il reparto frutta e verdura di qualsiasi supermercato, non si trovano i segnali degli impatti dei cambiamenti climatici in agricoltura. Quando il prodotto italiano manca o è fuori stagione, infatti, aumentano le importazioni da paesi concorrenti: il consumatore così non si accorge e non percepisce il danno che il settore primario sta subendo.
L’Assemblea Generale dell’ONU ha dichiarato il 2021 l’Anno Internazionale della frutta e della verdura (AIFV). La decisione è stata presa dalle Nazioni Unite con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza dei consumatori sui benefici nutrizionali e per la salute legati al maggior consumo di frutta e verdura, come parte di una dieta diversificata e bilanciata e, al contempo, per “indirizzare l’attenzione politica alla riduzione delle perdite e degli sprechi di questi prodotti” e quindi l’impronta della produzione agricola sull’ambiente. L’educazione alimentare torna quindi ad essere centrale.
Serve poi diminuire drasticamente le emissioni provenienti dai sistemi alimentari. L’impresa diventa ancora più ardua se consideriamo che la produzione di cibo a livello globale è destinata ad aumentare per sostenere la rapida crescita demografica (nel 2050 saremo quasi 10 miliardi).