velocità

N.49 aprile 2024

in pista

Dalle cadute alle gallerie del vento, la vita “a tavoletta” di Gianni Menga

La passione per la velocità ereditata dal papà Giancarlo, le bmx, l'adrenalina delle gare e la delusione delle sconfitte, l'università e la carriera da brillante meccanico ai massimi livelli. Oggi Gianni continua a "dare gas" tra le curve, sul pelo dell'acqua e dentro una galleria del vento

L’amore per la velocità è innato, un imponderabile dono del destino, o è un’attitudine che si trasmette di padre in figlio?

Un uomo tiene per mano i suoi bambini: davanti ai loro occhi una pista su cui sfrecciano bolidi metallici, nei loro cuori un tumulto di emozioni. A prevalere, nella testa del minore dei fratelli, è la paura. Vorrebbe ritrarsi, tornare a casa; quelle moto da cross che gli sfrecciano davanti, tra la polvere ed il frastuono, lo spaventano.

Papà Giancarlo, sentendo la mano del figlio sfuggire dalla sua, volge lo sguardo sul piccolo Gianni. “A sei anni è un po’ presto per i motori – pensa tra sé – forse è meglio partire dalle biciclette”.

E così arrivano nel garage di casa Menga due bmx, praticamente moto da cross a pedali. I due figli rispondono bene, si appassionano, nonostante Beppe, il più grande, dimostri maggiore interesse per il tennis. Il fratello minore invece si butta a capofitto nella mischia: in due anni vince campionati provinciali, regionali, nazionali ed europei di bmx. Ai mondiali un avversario, che cadendo lo travolge, fa sfumare il titolo iridato.

Forse a causa della cocente delusione, Gianni abbandona il mondo delle due ruote e si dedica al calcio. Gli anni passano e, con l’arrivo dell’adolescenza, nel garage compare il primo “cinquantino”. «Come tanti coetanei, in quel periodo mi sono appassionato a elaborare il motore» – ricorda – e, a forza di tenere in mano pinza e cacciavite, matura la vocazione di diventare, da grande, un ingegnere meccanico.

Papà Giancarlo in gara

A 16 anni, al fianco della bmx e del motorino, compare in garage «la prima vera moto, una bellissima Gilera SP02». Giancarlo porta subito i figli a provarla in pista e, con grande soddisfazione, annota su un taccuino i tempi registrati: notevoli per due neofiti! «Andare bene in pista però non basta per fare le gare – ci spiega Gianni – se si vuole partecipare a un campionato serve un grande impegno finanziario, per noi proibitivo».

Arriva l’università: Ingegneria meccanica a Milano, che il ragazzo affronta con entusiasmo.

Toc, toc, il destino torna a bussare. Quando papà Giancarlo apre la porta, si trova davanti un uomo che, stringendogli vigorosamente la mano, gli chiede: «Tuo figlio corre ancora? Ho degli sponsor, una moto veloce e voglio mettere su un team».

Il padre è dubbioso, poi si decide e prende in mano il telefono: «C’è una squadra che ti cerca, ti daranno una moto bicilindrica SV 650» esordisce. Dopo una pausa di riflessione, aggiunge: «Non voglio però che tu abbandoni l’università». Dall’altra parte del telefono, Gianni sente il cuore che gli balza in petto; non ci pensa un attimo e giura solennemente al padre che la domenica sarà in pista, il lunedì, sui libri.

«Avrei partecipato a un vero e proprio campionato ed ero convintissimo di scendere in pista per vincere; mio papà, dall’alto della sua esperienza, invece, pensava che sarebbe stato un grande successo riuscire a terminare la prima gara». Con la serenità di chi ha vissuto a fondo le opportunità della vita, Gianni prosegue il suo racconto: «Mi sono dovuto scontrare con il dato di fatto che ci fossero piloti che andavano molto più forte di me. La prima gara l’ho corsa sotto la pioggia e, non avendo esperienza del fondo bagnato, sono caduto. Essendo il campionato di motorsport composto da sei appuntamenti, mi sono ripromesso di vincere tutte le competizioni seguenti».

Con il proseguire delle gare, Gianni paga lo scotto di scendere in pista insieme a piloti professionisti, «gente che sta in moto dalla mattina alla sera», mentre lui dal lunedì tornava ad essere uno studente. Bruciava in quel cuore di giovane adulto la necessità di dimostrare, a se stesso, al padre e al team, il proprio valore di pilota. In pista spingeva sempre al massimo, rischiava, qualche volta cadeva. «Ci sono stati errori di inesperienza sia miei che del team ma, con il proseguire del campionato, accumulavamo conoscenze e miglioravamo costantemente».

Giancarlo però, al bordo della pista, soffriva. La preoccupazione per le numerose cadute del figlio su bolidi che arrivano fino a 230 km/h gli aveva procurato un sempre più ingombrante senso di colpa, oltre che una fastidiosa gastrite.

Ultima gara della stagione, il ricordo più intenso legato alla velocità di quel bambino che voleva fuggire dalle moto da cross. «Era la pista di Misano, la conoscevo bene e percepivo anche di aver finalmente compreso come guidare la mia moto. Stavo andando forte, ero terzo, dal box il mio team era entusiasta. All’ultima curva, cercando di superare un avversario, sono scivolato e sono caduto. Ho pianto per la cocente delusione di non essere riuscito a salire sul podio per un errore stupido causato dalla mia inesperienza».

Il team Red Rocket però comprende il potenziale del ragazzo e vuole proseguire anche l’anno successivo. Ma ecco l’ennesimo colpo di scena: papà Giancarlo non ce la fa più. «Sei grande, figlio mio, decidi quello che vuoi, io però non riesco più a reggere la preoccupazione di vederti scendere in pista».

Gianni riflette a lungo, la passione per le corse si scontra con la concreta possibilità che quell’amore diventi un impegno totalizzante: «C’erano in ballo parecchi sponsor e cifre importanti, la necessità di portare a casa risultati significativi, molte aspettative e pressioni». E, oltre a tutto questo, non ci sarebbe più stato papà Giancarlo ad attenderlo ai box.

Gianni, dopo un’approfondita riflessione, decide di smettere con le corse. Da qui inizia un’altra storia altrettanto appassionante in cui il ragazzo, una volta laureato, si trova «dall’altra parte del muretto», a far fruttare la passione con cui metteva mano alle moto nel proprio garage. Diventa ingegnere meccanico di macchine da competizione, Ferrari 360 e 430, niente meno. Gira nelle piste più belle del mondo, da Macao a Le Mans, per poi fermarsi un anno negli Stati Uniti a seguire il campionato americano.

La vita è piena di sorprese e Gianni riesce a coronare il sogno di lavorare per moto Ducati, prima di arrivare, in modo rocambolesco, ad essere il direttore tecnico di un blasonato team di barche da corsa a Dubai. Adesso ha aperto una propria società e progetta gallerie del vento.

Negli ultimi anni, rientrato in Italia, insieme al fratello Beppe, ha acquistato due pit bike (moto piccole) ed entrambi sono tornati a girare in pista. Al box, ad annotare i tempi, sempre notevoli, dei figli, c’è Giancarlo, ora molto più tranquillo e sorridente. Di fianco al nonno, i due nipotini maschi.

«Li ho già portati in pista, ma forse è un po’ presto» ci confessa Gianni. Il futuro è ancora tutto da scrivere mentre noi ci domandiamo, ancora una volta, se l’amore per la velocità sia innato, o un’attitudine che si trasmette di padre in figlio.