sensi

N.46 Gennaio 2024

con cura

Il senso profondo di una tavola (ben) preparata

La mia creatività, la mia attenzione faranno di quella tavola un’opera d’arte, dove l’amore e la bellezza si incontrano, dove il corpo e il cuore si nutrono, dove il cibo non è più solo qualcosa da mangiare, ma è una vita da condividere

Sono passati più di trent’anni da quel giorno in cui suor Franceschilla, preparando l’altare per la messa, misurava i millimetri del purificatorio che cadeva dal calice: dovevano essere perfettamente uguali. Di fronte alle mie rimostranze, lei, calma, mi rispose: «È il Signore che viene a questa mensa e tutto deve essere preparato con cura e amore per Lui». Non l’ho più dimenticato.

Il cibo ha che fare con l’Eucaristia e il sedersi a tavola richiama la liturgia: ecco subito spiegato il motivo per cui ha senso, profondamente senso, perdere tempo a preparare con cura il cibo da mettere in tavola e apparecchiare con cura la tavola stessa. In un tempo fatto di fretta, in cui ogni minuto va rosicchiato all’orologio che corre, troppo spesso ci si riduce ad acquistare cibi già pronti o a fare tappa in un fast-food per riempire lo stomaco. Ma com’è importante che almeno in alcuni giorni, soprattutto nelle feste, la famiglia, gli amici si possano riunire e sedersi con calma alla stessa tavola. Non è in ballo la lancetta della bilancia, ma molto di più. È in ballo la vita stessa. Perché se il cibo serve a mantenere l’esistenza, il cibo preparato e consumato alla stessa tavola serve per nutrire il senso stesso della vita dei commensali.

Il cibo preparato e consumato
alla stessa tavola
serve per nutrire il senso stesso
della vita dei commensali

La forza evocativa del cibo è così irruente che anche i meno riflessivi tra noi hanno provato la tristezza del sedersi a tavola da soli, scaldando all’ultimo qualcosa nel microonde, magari davanti al cellulare o alla televisione, per avere la magra illusione di non mangiare soli. Sì, perché sedersi a tavola da soli  ha lo stesso dissapore del sedersi da soli al banchetto della vita. Per il cristiano poi il mettersi a tavola richiama in modo prepotente un’altra tavola, quella dell’Eucaristia, dove si impara a vivere, a mangiare, a gustare e a condividere. È lì, alla tavola del regno, che il cristiano accoglie il vero cibo, che nutre la vita eterna. E sa benissimo che è un cibo preparato con cura, riempito di Spirito Santo, arricchito del dono di sé che ognuno dei commensali ha deposto su quella mensa. E lo si riceve, lo si condivide, ce ne si nutre e si torna nella vita per portarne il profumo. Sarà il profumo del cielo a riempire ancora di senso le giornate del cristiano, nel tempo che va da una Messa alla Messa successiva.

Da qui alla mensa della cucina di casa nostra il passo è proprio breve. Perché quando io metto in tavola un piatto di spaghetti, non sto servendo solo del grano mischiato ad acqua condito con del pomodoro fresco; sto donando a chi si siede a quella tavola il mio tempo, il mio lavoro, la mia cura, la mia attenzione per chi con me in inforcherà quegli spaghetti. E chi se ne ciba non sazia solo lo stomaco, molto di più; si ciba di tutto l’amore e la cura che io ho messo nel cucinare e nel presentare nel servire quel piatto fumante. Si nutre il corpo e molto di più si nutre il cuore. E se mentre apparecchio la tavola non lascio al caso ciò che metto sulla tovaglia (magari macchiata), ma sono attenta ai particolari di una tovaglia che profuma di fresco e di stoviglie posate con delicatezza, la tavola allora mi richiama quella eucaristica.

Sto donando
a chi si siede a quella tavola
il mio tempo, il mio lavoro,
la mia cura, la mia attenzione

Anche quando metto in tavola il pane e servo della verdura, è il Signore che viene a tavola. Non posso buttare lì le cose come capitano, perché sarebbe segno di insofferenza verso il mio commensale. Ma tutta la mia cura, la mia creatività, la mia attenzione faranno di quella tavola un’opera d’arte, dove l’amore e la bellezza si incontrano, dove il corpo e il cuore si nutrono, dove il cibo non è più solo qualcosa da mangiare, ma è una vita da condividere. Tornare a mangiare insieme, a perdere tempo nel preparare vivande e tavola, è restituire alla vita – almeno un po’ – il senso profondo che racchiude in sé. Molto più che con materia e cose, ogni volta che ci sediamo a mensa abbiamo a che fare con il mistero della vita e dell’eternità. Non possiamo lasciarlo al caso.