sbagli

N.43 ottobre 2023

racconto

Indicativo, seconda singolare: tu sbagli!

Un piccolo racconto ci porta tra i banchi della scuola o, meglio, dietro una cattedra da cui è facile vedere l'errore; ma da dove è possibile guardare oltre

“Sbagli”.

La maestra Antonella sente la propria voce prima ancora di rendersene conto.

È bastato il “Se prenderei un bel voto…” di Alessio per farla scattare.

Deformazione professionale.

Deve assolutamente stare più attenta. Dire “Sbagli” è diventato molto pericoloso. Sarebbe stato più opportuno un incoraggiamento, una semplice occhiata e un’innocente domanda: “Sei sicuro?”.

Quella seconda persona singolare dell’indicativo presente di “sbagliare” potrebbe aver mortificato il bambino, rovinando la sua autostima. Certo, non ha usato un tono severo, o aggressivo. Non ha alzato la voce e occupa ancora la sua comoda postazione, appoggiata alla cattedra con le gambe incrociate.

Eppure, ha pronunciato la fatidica parola, ormai quasi proibita nel mondo della scuola.

“Sbagli”. Tu, sbagli.

Se Alessio smetterà di alzare la mano, la colpa sarà della maestra crudele che lo ha corretto. Se, da adolescente, quel piccolo uomo si dimostrerà insicuro, o sofferente, la responsabilità dovrà certamente essere attribuita all’insensibile docente che ha mortificato il suo io quando era ancora un bambino.

Una carriera da ingegnere stroncata, un artista a cui erano state tarpate le ali.

Il futuro del piccolo Alessio è ormai condizionato per sempre, dopo l’intervento della maestra Antonella che gli ha fatto notare il suo errore.

Sono queste le immagini che l’insegnante vede davanti ai suoi occhi. Il lampo di un istante, ma è sufficiente a lasciarla per un attimo senza parole.

Così la classe, che dopo quello “Sbagli” si è ammutolita, resta in attesa della correzione. In attesa della propria guida.

Così la classe, che dopo quello “Sbagli”
si è ammutolita, resta in attesa della correzione.
In attesa della propria guida

Ed è in quel momento che la maestra Antonella vede di nuovo chiaramente. Si specchia negli occhi dei suoi bambini e si riconosce.

È una guida. La loro guida.

Non perfetta, né infallibile. Con tutte le sue qualità, limiti, difetti e tante fatiche.

Un punto di riferimento.

Appassionata di montagna qual è, si chiede come sarebbe un’escursione con una guida incapace di indicare quale sia il sentiero giusto.

E quello sbagliato.

Si domanda anche quale possa essere il senso profondo di quella seconda persona singolare dell’indicativo presente di “sbagliare”: tu sbagli.

Di fatto, torna alla radice della propria vocazione: quella ad insegnare, a educare. Ad aiutare a diventare grandi.

E si convince che per crescere, per essere adulti veri, non è necessario sentirsi dire che va sempre tutto bene, o ricevere complimenti ad ogni costo.

A fare la differenza, pensa, è l’amore che un insegnante, un educatore, mette nel suo parlare e agire.

Nel suo essere.

La maestra Antonella smette di chiedersi se abbia fatto bene o male a pronunciare quella parola. Inizia invece a pensare a cosa fare dopo. Come aiutare il piccolo Alessio a migliorare, ad imparare, a crescere. Come stimolarlo e incoraggiarlo a non perdere il desiderio di far sentire la propria voce.

L’errore non è l’ultima tappa del viaggio, ma il punto di partenza di un cammino.

Con questa consapevolezza nuova, unita alla convinzione e al desiderio di essere guida autentica, la maestra Antonella recupera il controllo su di sé.

Non si pente di ciò che aveva detto.

Un velo di emozione nello sguardo, nella voce la pasta dell’amore.

E lo ripete. “Sbagli…”.