scuola

N.13 Settembre 2020

IL PRIMO GIORNO

Cento modi nuovi
per dirsi «ciao»

Con fotocamera e taccuino tra gli sguardi del primo giorno di scuola alle elementari Dove anche gli zaini si dispongono a distanza e i piccoli studenti riconquistano gli spazi d'incontro

«Mantieni le distanze, lavati le mani e metti la mascherina».

«Sì papà, lo so!»

Annina non vede l’ora di tornare in classe. Nello zaino ha tutto ciò che occorre: quaderni, astuccio, pennarelli, e gel igienizzante. Non manca nulla, soprattutto la voglia di ritrovare i compagni di scuola, che non frequenta dal mese di marzo. «È al secondo anno, ma è come se fosse il primo>, commenta la mamma, mentre le aggiusta lo zaino sulle spalle. Un bacio sulla fronte e una carezza sui capelli per accompagnarla verso il cancello della scuola primaria “Canossa” di Cremona, dove l’attende la maestra. I genitori restano tutti oltre la soglia, con gli occhi lucidi e la fronte solcata da una ruga di  preoccupazione per quest’anno fuori dall’ordinario. Qualcuno si alza sulle punte per scattare una foto fugace, mentre i piccoli – uno alla volta, in fila indiana – offrono la fronte al termoscanner prima di correre in cortile. I più grandicelli raggiungono gli amici, i nuovi arrivati studiano da lontano i futuri compagni di classe, appoggiati a zaini enormi come boe, a galla in un mare ancora sconosciuto.

Una canzone li accoglie, seguita dalle regole base di quest’anno tutto da reinventare. Per misurare la nuova realtà basta allargare le braccia e fare un passo più in là, senza perdersi di vista. «Riappropriarsi degli spazi dopo sei mesi non è stato semplice», racconta con un velo di commozione Matteo Fanfoni, maestro elementare. «Quando abbiamo riaperto le aule c’erano ancora le felpe dimenticate sulle sedie, i coriandoli a terra, i disegni lasciati a metà…Come se a fine inverno il tempo si fosse congelato». Un’atmosfera surreale, sospesa fino al momento di riaffacciarsi alla realtà e ridefinire le regole di quella che pochi mesi prima era la normalità.

«Quando abbiamo riaperto le aule
c’erano ancora le felpe dimenticate,
i coriandoli a terra,
i disegni lasciati a metà…»

«Gli adulti fanno più fatica, i bambini non vedono l’ora di essere qui». Nonostante i limiti che diverranno parte integrante di lezioni e ricreazioni. Lo suggeriscono le mascherine, decorate con stelle, gattini o con i colori della squadra del cuore. Sul volto mentre si gioca, sotto il banco o sotto al mento se si sta seduti in classe. «Sono i primi ad essere attenti – prosegue il maestro – segno che questi mesi hanno lasciato un’impronta nella loro quotidianità». Oltre alla responsabilità, c’è il bisogno di tornare al mondo fisico: «C’è chi mi ha detto “basta schermi!”…Mai avremmo pensato di sentirlo dire ai figli del Duemila. Nulla è stato semplice, ma forse non dobbiamo buttare via tutto ciò che abbiamo imparato».

L’estate è stata il primo vero banco di prova per l’istituto cremonese, che tra luglio e settembre ha completamente ripensato la didattica: spazi più ampi, tempi più lunghi, flessibilità. «La vita è fatta di variabili», afferma la preside Roberta Balzarini. «Anche la scuola è diventata una palestra, dove s’impara la resilienza. Tutto ciò che è necessario, pur di non chiudere più». La chiave è la creatività. A partire dai docenti, che in una manciata di settimane si sono reinventati lezioni e metodi didattici per camminare insieme, anche se a distanza. La necessità di cambiare diventa l’occasione per fare un passo oltre il consueto, per osare e trasformare i punti critici in sinergia. Con buon senso, prudenza e sinergia. La forza sta nella capacità di fare rete, «trovare nuovi modi per esserci e stare insieme, nella misura in cui sarà possibile. In un certo senso, possiamo considerarla una nuova materia, una sorta di “educazione alla cittadinanza pratica”, che insegna ad essere consapevoli e responsabili di noi stessi e degli altri. Sembra un gioco di parole, ma fare o non fare… Fa la differenza».

«S’impara la resilienza:
tutto ciò che è necessario
pur di non chiudere più»

Una lezione appresa sul campo durante il lockdown, e replicata tra i banchi di scuola: in classe la giusta distanza è indicata con un bollino colorato sul pavimento, mentre in cortile basta un nastro colorato, teso tra i tronchi d’albero per delimitare i gruppi di gioco. Anche le gite per ora restano in sospeso, ma per viaggiare basta l’immaginazione: «Quest’anno faremo il giro d’Italia attraverso le leggende e le ricette delle Regioni, per non dimenticare i sapori di ciò che ora sembra lontano», aggiunge Fanfoni. «E siccome non si può più battere il cinque né prendersi per mano, ci pensa la fantasia a suggerire nuovi modi per dirsi “ciao”. Gomito a gomito, tacco contro tacco, il “saluto alla regina Elisabetta” per la maestra d’inglese e “quello di Papa Francesco” per il rettore don Marco D’Agostino».

In classe rimane lo spazio per inventarne di nuovi: Marta suggerisce un inchino alla giapponese, Samuel azzarda un balletto a testa in giù, Angelica per formare un cuore, rivolto verso la compagna di banco. Ci sarà un anno di tempo per scoprirne ancora, ma come insegnano i bambini «a volte basta un sorriso, anche con la mascherina. Perché quello si capisce dagli occhi».