carta

N.31 Maggio 2022

EDITORIA

«La carta non è morta, ma il futuro richiede coraggio»

Notizie stampate tra passato e presente, forma, contenuto e nuove sfide. Conversazione con l’art director di Repubblica Francesco Franchi: «il digitale da solo non può bastare, ma dobbiamo avere il coraggio di osare per ridare un'anima ai giornali»

Francesco Franchi / foto di James Mollison

«La carta stampata non è morta. È morto, piuttosto, un certo modo di fare i giornali. Dobbiamo ripartire da quella stessa carta, letta, stretta tra le mani, annusata, per scrivere una nuova pagina.

Il domani sta in una grande matrice che unisce carta, digitale e podcast e che si sviluppa in diversi assi temporali».
Francesco Franchi, art director che dopo Corriere della Sera e Sole24 Ore lavora oggi a Repubblica, non ha dubbi: «Per guardare al futuro bisogna ragionare sulla qualità e sul tempo». Ché, le notizie non si esauriscono in un istante. Non esiste e non può esistere solo il momento racchiuso in uno schermo. Non viviamo un mondo usa e getta e non possiamo raccontarlo come tale.
«Sulla carta ora deve finire la selezione, la cura per il dettaglio. Dobbiamo ragionare su cosa valga la pena stampare». L’amore per i particolari fa la differenza: «La scelta dei materiali non è di poco conto. Dobbiamo tenere a mente che il giornale di carta è un prodotto fisico, al quale la gente si affida. Che la gente tocca, sente come proprio». L’acquisto è un atto d’affidamento di cui non prendersi gioco: «Dobbiamo tornare a lavorare sulla qualità, piuttosto che sulla quantità. Giornalismo non è necessariamente velocità. Esistono modi diversi di fare giornalismo: esiste l’approfondimento, esiste lo slow journalism (il giornalismo lento)…». Non esiste solo il «qui ed ora» e «la carta è un mezzo adeguato per approfondire, magari con un buonissimo reportage fotografico, ed approdare nelle case dei lettori settimanalmente o mensilmente. È necessario studiare prodotti conformi alle abitudini di vita delle persone che, inevitabilmente, sono cambiate».
«Serve osare. Dobbiamo avere il coraggio di configurare un nuovo prodotto di carta, a partire dalla convinzione che il digitale non potrà risolvere la situazione, non potrà continuare da solo». Il cammino verso il futuro dell’informazione deve essere condiviso. «La strada è quella di una sinergia fortissima tra carta e digitale. Dobbiamo superare la netta divisione del passato: la carta deve diventare un nuovo mezzo di informazione capace di valorizzare anche le potenzialità del digitale».
Così dietro ad uno schermo potremo trovare l’immediatezza, la velocità. E sulla carta uno spazio sicuro in cui perderci, per approfondire. E poi ritrovarci, forse, migliori. Informati meglio.
«Carta e digitale – prosegue l’art director – non sono nemici, piuttosto alleati». È necessario prenderne consapevolezza per uscire da una situazione di stallo. «Stiamo vivendo un momento in cui i giornali hanno paura di osare, per non perdere il loro zoccolo duro, ma così facendo non si conquistano nuovi target. Un giornale è e deve essere un prodotto vivo, incline al cambiamento. Ci sono tante realtà che hanno dimostrato come si possa lavorare sulla carta con qualità e parlando anche ad un target più giovane».

«Sulla carta ora deve finire
la selezione, la cura per il dettaglio.
Dobbiamo ragionare
su cosa valga la pena stampare»

E il problema non è dato dal mezzo, ma riguarda anche contenuti che si propongono. «I giornali di oggi allontanano i lettori perché sono autoreferenziali. Sono prodotti per giornalisti, piuttosto che per lettori. Bisogna interrogarsi su come dare autorevolezza alla propria testata».
Guardare al futuro, osare, innovare, senza perdere di vista ciò che è stato. Ciò che siamo stati. «L’esperienza delle redazioni, il coesistere di avanguardia ed esperienza, non può venir meno». Non può essere accantonato. Dimenticato. «Il rischio è di proporre prodotti senza gerarchia, senza cura. Senza anima». Dobbiamo ripartire da qui «nonostante, innegabilmente, il giornalismo sia cambiato tanto». E con lui «anche i giornalisti: oggi un buon giornalista è una persona curiosa, che osa. Una persona pronta a far sentire la propria voce di fronte ad un ordine sbagliato. Mi spiego meglio: la forza di un giornale sta in un direttore con una grande visione, pronto a confrontarsi e scontrarsi con le altre anime della testata: l’editore e il pubblicitario. Un bravo giornalista è colui che non si sottrae a questa dialettica costruttiva, che contribuisce a mantenere vivo questo confronto-scontro. Il giornale è un organismo vivo e in quanto tale deve cambiare. In caso di appiattimento, perde». E, in un certo senso, muore.

foto di Rocco Rorandelli

Il cambiamento è linfa vitale. «Richiede coesione tra i vari gruppi di lavoro». Tra forma e contenuto deve esistere un dialogo continuo: «La prima è a servizio del secondo. I meri esercizi di stile non hanno senso. Un design bello ma vuoto di contenuto risulta nocivo». Il caso Repubblica, curato dallo stesso Franchi, fa scuola. Franchi ha messo mano alla veste grafica della testata sotto la direzione di Mario Calabresi e ha creato Eugenio, il nuovo carattere tipografico premiato a livello internazionale dedicato al fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari. Con le sue copertine e le raffinate infografiche Franchi ha raccolto premi di grande prestigio e si è affermato come uno dei più innovativi e brillanti art director del panorama della comunicazione internazionale, che non smette di ricercare fonti di ispirazione e traiettorie di innovazione: «Il futuro chiede tempo e qualità. Ogni giornale dovrebbe avere un certo standard qualitativo, buono e ordinario, da implementare poi periodicamente con l’eccezionale, lo speciale». Ciò che, insomma, stupisce. Ciò per cui, oggi e domani, vale la pena stampare.