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N.35 Novembre 2022

SPETTACOLO

La voce “segreta” che rende vera la finzione

Attore, mago, ventriloquo... Tino Fimiani racconta l'arte misteriosa e affascinante dell'illusione

foto tinofimiani.it

Intervistare un ventriloquo è affascinante. Risponde al bisogno presente in tutti noi di spiare dal buco della serratura. Cosa c’è al di là? Cosa si cela dietro? È come andare a curiosare in vecchi bauli dimenticati in cantina. Un po’ come faceva Tino Fimiani quando, da piccolo, si recava in biblioteca. Sgattaiolava verso gli ultimi scaffali, in angoli poco frequentati dal pubblico, inerpicandosi tra le scansie alla ricerca di testi misteriosi. «Sì – confessa – da piccolo ero attirato dal paranormale e mia mamma, quando scoprì i libri di esoterismo in camera mia, si preoccupò molto» conclude con un sorriso.
Con il passare del tempo, quella passione si è mutata in interesse per la magia per poi diventare, dopo prestigiose formazioni presso la Scuola di Circo di Stato a Mosca e presso l’Atelier di Teatro Fisico Philipe Radice, un vero e proprio lavoro.
Se chiediamo a Tino quale sia il denominatore comune tra le sue molteplici attività di clown, mago, illusionista, formatore, attore teatrale e cinematografico, ci risponde che è l’illusione. «Nel cinema il pubblico si convince che quello che accade sullo schermo sia la realtà, nella ventriloquia che quel pezzo di stoffa sia vivo, nella magia che il coniglio salti fuori dal cilindro».
«È il paradosso dell’attore di cui scriveva Diderot», prosegue Tino: «quando reciti sul palco, come fai nello stesso momento ad essere “vero”? Sapendo di essere “finto”, come fai a trasmettere la verità?». La risposta sembra inafferrabile anche se Fimiani, per farci emergere dal dubbio in cui ci ha fatto sprofondare, subito risponde: «Con delle psicotecniche che ti permettono di essere presente e reale anche nel momento in cui non lo sei».
«Io stesso, che già ero parte del mondo dello spettacolo, sono rimasto affascinato dalla ventriloquia perché ogni volta mi stupivo di come le persone potessero ridere davanti ad un semplice pezzo di stoffa».

«L’attore che emerge dall’oscurità,
all’apertura del sipario, pone delle premesse,
per esempio di essere un extraterrestre»

Immaginiamo che sia un risultato raggiungibile grazie alle tecniche apprese per diventare ventriloquo… «Senza dubbio bisogna imparare a parlare senza muovere le labbra – ci spiega Tino – ma la vera illusione, e l’emozione conseguente del pubblico, è data dal gioco teatrale che riesci a creare con un “pezzo di stoffa” che muovi sapientemente per renderlo vivo. È un semplice artificio che viene definito switch: parlo io e poi faccio parlare lui. Si crea così la coppia comica, un gioco a due dove la risata nasce dal contrasto tra differenti personalità. Noi italiani, figli della commedia dell’arte, conosciamo bene questi meccanismi comici!».

foto tinofimiani.it

Per fare degli esempi, cita Andrea Fratellini e Zio Tore, coppia resa celebre dalla vittoria di Italian’s got talent, ma anche Antonio Diana, Nicola Pesaresi, Mago Marfi e Samuel, «loro sono veri ventriloqui, io utilizzo una tecnica in determinate parti del mio varietà comico».
«Il concetto che mi affascina maggiormente – prosegue Tino conducendoci nel “dietro le quinte” dello spettacolo dal vivo – è quello di “sospensione dell’incredulità”».
In cosa consiste? «È il meccanismo per cui lo spettatore sospende la propria parte razionale per lasciare emergere quella emotiva. Quando ci sediamo davanti ad un palco, ci predisponiamo così a godere di un’opera di fantasia. L’attore che emerge dall’oscurità, all’apertura del sipario, pone delle premesse, per esempio di essere un extraterrestre».
Perché le persone dovrebbero crederci?
«Perché io e la storia che vado a narrare non tradiremo mai la premessa. È lo stesso meccanismo che si attiva con il pupazzo del ventriloquo: se non tradisco la premessa, quel pezzo di stoffa, per tutta la durata della rappresentazione, per il pubblico, sarà vivo».
Un’illusione simile ad un fuoco di artificio. Quando finisce di illuminare il cielo con i suoi mille colori ci lascia al buio, facendoci sentire per un attimo soli e persi, come al termine dello spettacolo, nei pochi attimi precedenti l’accensione delle luci in sala.