forma

N.14 Ottobre 2020

DESIGN

L’arte di “dare riparo”
s’accende di emozione

L'architetto Giorgio Palù tra ispirazione e professione «Natura, materiali e luce: così nasce la forma di un'idea »

Giorgio Palù apre la porta laterale che ci accompagna tra le sale che presto ospiteranno il nuovo Museo Diocesano di Cremona. E mentre ci mostra l’ultima sua fatica architettonica, parla del suo lavoro di architetto, delle difficoltà ma anche della bellezza insita nel progettare e dare forma a luoghi e spazi, mescolando tra loro arte, musica e design. L’intervista è un viaggio in un mondo a volte sconosciuto: siamo immersi nell’architettura, ma non ci facciamo caso, la diamo per scontata. Eppure se solo provassimo ad alzare lo sguardo, scopriremmo che tutto ciò che ci circonda (piazze, strade, palazzi, musei, teatri, scuole, chiese) è frutto dell’ingegno, della creatività e dell’impegno di uomini e donne che – nel passato o nel presente – hanno realizzato tutte queste cose per noi.
Palù lavora all’estero (al momento sta realizzando una nuova Concert Hall per la Lilla Academy di Stoccolma), è innamorato dell’arte, della musica, dell’architettura. Ogni tanto ha provato a mettere insieme tutto questo, con risultati come l’Auditorium “Giovanni Arvedi” del Museo del Violino, l’unica opera architettonica ad essersi guadagnata il Compasso d’Oro, il premio voluto da Gio Ponti per le eccellenze di design.
Cremona è la sua casa e qui ha progettato moltissimo: dal “Delle Arti Design Hotel” al complesso di ville sospese dell’Ex Consorzio Agrario, dall’hotel Continental fino al nuovo Museo Diocesano.
«L’architettura – si racconta – ha sempre avuto il compito ingrato di manomettere la natura, che per sua natura è perfetta, per creare qualcosa di artificiale. Cerco sempre di inondare le case di luce per far sì che la luce formi lo spazio e che ci sia un rapporto diretto tra l’interno e l’esterno, un dialogo continuo con la natura».
Per questo un tratto tipico delle sue realizzazioni è l’assenza di tetti inclinati con i coppi; tutte le coperture sono piane verdi, «perché – spiega – questo consente da un lato di implementare l’isolamento delle strutture (quindi sono più sostenibili) ma anche perché il rapporto tra nuovo edificio e natura viene rispettato. Uno dei progetti a cui ho lavorato che può dire bene di questi tentativi è il progetto delle “case sospese”: lì avevo molta superficie ma scarsa cubatura disponibile potenziale, così ho immaginato una sorta di “esplosione” di edifici collocati a diverse latitudini e altitudini in cielo, lavorando più sui vuoti che sui pieni (togliendo, non aggiungendo). Quella che è sempre stata una mia sensibilità personale oggi è supportata anche da leggi che pretendono una maggiore eco-sostenibilità nell’uso dei materiali».
Nel caso di Palù un uso libero, sempre funzionale all’idea: «Posso spaziare dal cemento armato al legno o al ferro: ogni architettura necessita della sua risposta specifica. L’unico filo che lega tutti i miei progetti è che sono tutti ispirati a canoni anti-classici e in generale il mio fare architettura si fonda sempre sulla ricerca e sulla sperimentalità. Anche la tecnologica dei nuovi materiali ci aiuta a realizzare architetture performanti dal punto di vista energetico ma sempre affascinanti esteticamente e solide come costruzione. Il mio sogno rimane quello della leggerezza; la sfida del provare a utilizzare materiali pesanti e trasformarli in strutture leggere».

«L’architettura nasce pura
ma si contamina con il quotidiano
Nasce per essere eterna
ma non può esserlo»

Il confronto con il mondo espressivo dell’arte figurativa è continuo e si alimenta alla fonte di una passione personale travolgente: «Più volte ho fatto tentativi di contaminazione tra architettura e arte: il Museo del Violino ad esempio è una sorta di archi-scultura, una forma ibridata».
Linee, materiali plastici e suono si incontrano e l’ispirazione trova sempre nuove fonti e nuovi modelli, dalla letteratura, dalla musica… «Una in particolare l’ho fatta cara e viene dagli scritti di Henry Moore: dice che l’esperienza dell’osservazione della natura porta ad una infinita possibilità di rilettura delle forme che possono plasmare l’arte (per lui) e l’architettura (per me). Sia nelle forme spigolose e dure delle rocce, sia nelle forme flessuose delle colline, delle montagne o delle onde del mare. C’è una frase di Seneca che lo dice ancora meglio: Omnis ars imitatio naturae est. Tutte le forme d’arte tendono a imitare la natura». Non si tratta di copiare, tentare riproduzioni, «ma di tradurre in pensiero la ricchezza di queste forme. C’è un altro elemento fondamentale – aggiunge – che plasma le forme per me rimane la luce: la luce scolpisce le cose, senza luce le forme non esistono. Basti pensare al Pantheon. La luce rimane secondo me la prima materia costruttiva.
Il lavoro degli architetti è nobile, disegna e progetta gli spazi che abitiamo portando la bellezza dell’arte a contatto con leggi, burocrazia, costi, commissioni…
«L’architettura nasce dal bisogno concreto di dare riparo. Ma il grande challenge è quello di portare valore aggiunto: l’emozione. E noi sappiamo che quando costruiamo le nostre strutture necessariamente diamo una visione del futuro e della società e condizioniamo il vivere comune, discipliniamo gli spazi. Per questo, purtroppo e contrariamente a tutte le altre forme d’arte, dobbiamo sottostare a norme e condizionamenti. Siamo meno liberi. Se penso alla musica, ad esempio, mi viene in mente un bellissimo dialogo tra Renzo Piano e Berio, dove Berio sosteneva che “la musica è la più immateriale delle architetture possibili, ha la stessa struttura ma non ha la fisicità dell’architettura”. Nasce dal silenzio e torna nel silenzio». L’architettura invece si contamina e si compromette con lo “stato solido” delle nostre vite, «perché nasce pura – riflette il designer cremonese – ma si scontra con le esigenze del nostro vivere quotidiano: con le esigenze normative, con la burocrazia, con la capacità economica del committente e con la cultura del committente. Coniugare tutti questi aspetti non è facile, si deve tentare di mantenere l’alto valore etico ed estetico».
Un’etica del costruire? «L’architettura è sempre espressione del proprio tempo, è visione, deve dare una prospettiva al nostro vivere quotidiano e anticipare il futuro senza costringere a cambiare radicalmente gli stili di vita delle persone. E non dimentichiamoci che l’architettura nasce con il sogno della temporalità: nasce per essere eterna, ma non può esserlo. Nei secoli l’architettura vera rimane, si modifica, ma la sua purezza e la sua forza e forma espressiva rimangono intatte».

Scorci del nascente Museo Diocesano presso il Palazzo vescovile di Cremona

I lavori al Museo Diocesano si avviano alla conclusione. Ancora pochi mesi e queste stanze saranno riportate alla luce come scrigni della secolare tradizione di arte sacra, espressione dei valori e della religiosità più profonda di un intero territorio. Le luci sono ancora basse ma lasciano intuire volumi e prospettive: qui l’architettura arriva a sfiorare il sacro.
«Il tema del sacro – riflette Palù guardandosi attorno – è fondamentale per me, per la mia formazione e nel Museo mi ci sono confrontato per far sì, ad esempio, che la potenza del palazzo si potesse dissolvere per lasciare spazio alla presentazione delle opere d’arte. Purtroppo – riflette Palù guardandosi attorno – non ho avuto la fortuna di progettare spazi dedicati al culto, ma mi auguro di riuscire a farlo perché sono credente, cristiano cattolico. È una cosa che sento in profondità e che ho espresso nel fare arte più che nell’architettura. Uno degli elementi che amo sperimentare di più nelle mie creazioni sono le crocefissioni che dicono bene del rapporto tra l’uomo e la sofferenza, ma anche di una visione positiva del mondo che passa dal pensiero religioso prima e filosofico poi. Ho progettato una cappella privata ed è stato uno dei lavori più commoventi per me. Ma anche il lavoro di progettazione di questo Museo Diocesano è stata un’esperienza bellissima».
Un’altra firma dell’architetto per la sua città dopo il Museo del Violino, il progetto che – ammette – gli ha regalato le più belle soddisfazioni: «È stata un’esperienza formativa enorme, che mi ha dato la gioia di lavorare contemporaneamente per un museo e per la musica e mi ha permesso di ampliare i miei orizzonti». Fino a Teheran dove Palù è coinvolto nella progettazione del grandioso teatro nazionale, e a Stoccolma, per una Concert Hall ispirata alla fluidità e alla ricerca di armonia e di fusione tra architettura e suono.
Nell’eterno balletto tra l’idea e la sua forma.