radici

N.29 Marzo 2022

SQUADRE

I colori, i luoghi e le persone che fanno la Juvi Cremona

Viaggio tra i ricordi e gli slanci di futuro della società di pallacanestro che dal cortile dei Barnabiti ha legato la propria storia a quella della città. Generazione dopo generazione

Simboli, fotografie, ricordi e il campetto nel complesso di San Luca, dove la Juvi Cremona è nata e tornata per guardare al futuro partendo dalle radici più profonde

Quando ho varcato la porta che da San Luca porta alla sede della Juvi Cremona, sono stato attraversato da un vortice di emozioni che fatico a descrivere. Quando mia madre mi portò nel 1991 ad una leva giovanile sul campo all’aperto dell’oratorio di Sant’Agata non avrei mai pensato che la pallacanestro potesse entrare nella mia vita in maniera così dirompente. Avevo da poco perso mio padre per una brutta malattia e lo sport di squadra, per me cresciuto tennista, mi avrebbe, da lì a poco, aiutato a costruire i principi che ancora oggi mi porto appresso. Giovanna, segretaria della Juvi, mi mostra fotografie, trofei, cimeli, mi apre la porta dei ricordi, mi accompagna, inizialmente, in un viaggio ideale nel quale provo a ripercorrere, attraverso un piccolo coro di voci, la storia di questa società sportiva, questa meravigliosa realtà della nostra pallacanestro, nata nel 1952, ma espressione sportiva (e di valori) del Circolo Zaccaria, fondato nel 1909 presso l’Oratorio maschile “Maria Immacolata” dei padri Barnabiti di San Luca.

Prendo a prestito le parole del Professor Maurizio Mondoni, contenute nel libro “Il Circolo Zaccaria” scritto da Maurizio Cariani. Nel 2006, come governatore del Panathlon Club di Lombardia, Mondoni consegnò il prestigioso premio Fair Play a Mario Radi, uno dei fondatori della Juvi, di cui incarnò, da sempre e per sempre, spirito e valori, di cui fu giocatore e allenatore-educatore. E a cui nel 2009 è stato intitolato il palasport di Ca’ de Somenzi: «Uno dei capostipiti della pallacanestro cremonese – disse allora Mondoni – nella vita e in panchina un signore, leale con i giocatori, umile, educato e pacato, maestro di vita e di sport, un maestro di fair play».
«Mario Radi è stato il mio primo allenatore, mi ha insegnato i fondamentali individuali della pallacanestro – afferma il Prof – mi ha infuso amore per questo sport. Feci la prima leva Juvi nel 1960 presso la palestra Pagliari, oggi non più esistente, allora intitolata ad un bersagliere che cadde nella breccia di Porta Pia. Praticavo il lancio del giavellotto. Feci tutta la trafila delle giovanili, fino alla serie D. Poi fui allenatore del settore giovanile, dove allenai anche una squadra cadetti che vinse il titolo regionale. Era la squadra di Pezzoli, Bertoglio, Bodini, Boccasavia. Ricordo, da ragazzino, le partite sotto il porticato di San Luca dove erano alloggiati due canestri di legno e si giocava con un pallone con la stringatura che aveva in alcuni punti un rimbalzo irregolare. Poi si giocava a calcio sul campo in terra battuta, utilizzando i muri come sponde».

Gli aneddoti camminano come un fiume in piena: «Ricordo un derby di calcio Juvi-Corona. Io giocavo nella Juvi, eravamo sotto 2-0 a Cristo Re. Feci doppietta e propiziai il gol del 3-2. Giocavamo con la maglia amaranto, di lana, in mezzo il giglio. Quando lavavi quelle maglie si accorciavano, ricordo che mia mamma le tirava per farle tornare della giusta lunghezza».
Radi, Mondoni e tanti altri uomini decisivi. Uomini di sport, come il giudice Mario Colace, classe 1939, uno dei primi tesserati. Andava fortissimo nella corsa campestre, la passione per la pallacanestro lo rese uno dei punti di riferimento della Juvi degli anni 50, protagonista della promozione in serie B nella stagione sportiva 1961/62. Nel 1964 cessò la propria carriera sportiva per entrare in Magistratura. È stato dirigente illuminato, innamorato della Juvi: «La mia prima volta alla Juvi avevo 8 anni, papà mi diede un taccuino per segnare punti, rimbalzi e falli. Poi mi chiedeva il resoconto» ricorda Antonio Colace, figlio di Mario. «Aveva un sano campanilismo. Amava la pallacanestro e la Juvi. Ricordo quella volta che venne da noi tifosi, stipati nella parte in legno del palasport, per dirci “ragazzi mi raccomando non facciamo cavolate”. Quando la partita si fece tesa, fu il primo a scaldarsi. Ma sempre con garbo ed educazione. Passava le sue giornate tra lavoro e la sede della Juvi, allora in via Buoso da Dovara. A mia mamma diceva sarebbe rientrato alle otto, spesso erano le nove perché non voleva mancare a nessuna riunione dove si parlasse della squadra. Tutte le settimane ospitavamo a pranzo i ragazzi della prima squadra che venivano da lontano. Si era molto legato a Berti, giocatore di Pesaro, a Silvestrucci e Uero Bertoglio. La Juvi si fondava su tanti volontari che papà coinvolgeva e faceva sentire importanti».
Oggi la Juvi, dopo qualche anno di difficoltà, è tornata ad essere protagonista. Seconda nel campionato di serie B, girone B, allenatore Alessandro Crotti. In campo i cremonesi Marco Bona ed Elvis Vacchelli, capitano, uomo simbolo, ragazzo per bene, quello che più di tutti incarna lo spirito di questa società. Sta disputando una stagione strepitosa, è un gruppo granitico, dentro e fuori dal campo. Negli anni in cui mancò la prima squadra, furono le giovanili a portare avanti una storia lunga, che quest’anno compie 70 anni.

Snodo decisivo fu l’anno 2014 e Mattia Barcella decisivo nel rilanciare un progetto di lunga gittata: «Il mio primo ricordo della Juvi? Terza superiore, ragioneria, il primo giorno di scuola entra in classe un energumeno di nome Andrea Zagni – afferma il general manager e vice presidente – Io e altri compagni di classe cominciano a seguire le giovanili. Poi ho sposato Lorenza, nipote di Pino Silva, storico dirigente juvino. La sede di via Buoso da Dovara era casa sua. Ho conosciuto bene il giudice Colace e tanti personaggi. La passione è rimasta. Poi Michi giocò nella Juvi».
Michi è il figlio Michelangelo, prematuramente scomparso nel 2015 all’età di 17 anni. Ogni anno gli amici organizzano un evento di pallacanestro per ricordarlo. Gli “Amici di Barch”, che presto saranno una associazione, sono impegnati da tempo anche nella raccolta fondi per la ricerca in campo medico. Alcuni di loro sono già impegnati anche in società, chi come speaker, chi come telecronista delle partite della prima squadra. Anche la futura associazione avrà sede a San Luca.
«Nel 2014 chiesi alla famiglia Ferraroni se fosse interessata a sponsorizzare l’unica squadra giovanile. Matteo Bonetti stava cercando qualcuno che la rilevasse». Da lì nacque il “nuovo corso”: «Il più lo si deve alla famiglia Ferraroni – spiega Barcella –, che ci ha messo passione, impegno e risorse. Siamo stati bravi e fortunati. Pesa tanto la passione di chi ogni giorno ci aiuta impegnando il proprio tempo».
Nel 2018, dall’incontro con padre Giorgio Viganò, nasce l’idea di riportare la sede dai barnabiti di San Luca, dove tutte ebbe inizio: «Mi chiamò Mattia – racconta il responsabile della comunità religiosa di viale Trento e Trieste – chiedendomi se vi fosse la possibilità di spostare la sede da noi. All’epoca ero piuttosto autonomo e dissi subito sì. San Luca si sta qualificando come luogo dei giovani. Lo sport ha un peso importante nella vita dei ragazzi. Avere qui la Juvi è molto bello, vuol dire comunione di fraternità, piacere di stare insieme. Ho detto a Mattia: ti ospito e metto a disposizione la stanza dove siete nati nel 1952. Era la vecchia cappella dell’oratorio, dove su un arco di trionfo vi sono due angeli e la scritta “Juventute et Viribus” da cui il nome Juvi. Il giglio sulla maglietta è il simbolo della famiglia Zaccaria, il nostro santo fondatore».