sfide

N.27 Gennaio 2022

INCONTRI

Serve un ultra-cuore per vivere di corsa

Luca Zava, podista cremonese, racconta le sue imprese sportive: dalle ultra-maratone alle salite del Torrazzo «per ritrovare me stesso» e non dimenticare chi ha bisogno

Luca Zava

«Un giorno incontrai un uomo che mi parlò di questa corsa straordinaria. Nei racconti, mi venne la pelle d’oca. La paura a volte si fa da parte nel momento in cui decidi di accettare una sfida». Luca Zava di anni ne ha 57. Nella corsa, nel mettere alla prova il proprio fisico e la mente, in condizioni estreme, ha costruito un percorso, profondo, di ricerca di se stesso. Conobbi Luca quando ero bambino sul campo da calcio della Canottieri Baldesio. Una cosa mi ha sempre colpito: il suo entusiasmo, contagioso, per la vita. Nel 2006 scolpì una delle sue più grandi imprese. Corse la Atene-Sparta per un totale di 246 chilometri. Solo a scandire questi tre numeri, mi chiedo come l’essere umano riesca, in condizioni estreme, ad abbattere il muro dei propri limiti. Fisici e psicologici: «Sono un testardo. Questo a volte aiuta. Quando mi metto in testa una cosa, difficilmente cambio idea. Mi preparai tanto». I 246 chilometri della Spartathlon sono la distanza che coprì Leonida per avvertire gli spartani dell’imminente guerra. Il traguardo, nella piazza principale di Sparta, è un tocco alla statua che lo raffigura.

Luca arrivò, stremato, e trovò ristoro in una ciotola di terracotta colma d’acqua. «Sono entrato in crisi al chilometro 146 – racconta – Lì non c’è nessuno ad aiutarti, è una sfida contro te stesso». Ha un ricordo vivo di quei momenti: «Erano le due e mezza di notte, mi massaggiarono. Avevo tre ore di vantaggio sul tempo limite. Sono ripartito un’ora dopo, correndo, nel buio, con una coperta addosso. Incontrai di lì a poco un atleta giapponese. Era stremato, a terra, in mezzo ai ciottoli. Lo alzai per un braccio. Non parlavamo, comunicavamo a gesti. Abbiamo corso, insieme, per sei chilometri. Scollinando. Ad un certo punto mi abbracciò e mi fece un cenno come a dirmi: vai avanti tu, che ne hai più di me».

«Qualche volta mi sono ritirato.
Sempre in allegria, con il sorriso.
Non bisogna aver paura di fallire»

Questo spirito sportivo, che porta stare dalla parte di chi, ogni giorno, affronta problemi importanti torna nelle tante imprese tentate e quasi sempre realizzate dal runner cremonese: «La sfida più grande, per il mio corpo, è stata salire e scendere dal Torrazzo per sedici ore consecutive. Cerco la fatica, mi procura gioia. Soprattutto nella mente. Qualche volta mi sono ritirato. Sempre in allegria, con il sorriso. Nel dire basta occorre vedere dei lati positivi. Non bisogna aver paura di fallire. Nella corsa, come nella vita. In quel caso abbiamo raccolto fondi donati poi all’associazione Abio, attenta ai bisogni dei bambini in ospedale. Con quella mia sfida ho cercato di sensibilizzare la gente sul disturbo dell’autismo. Quando correvo su e giù per il Torrazzo, mi sono emozionato vedendo tanti bambini con i genitori che mi incitavano. Uno di loro mi ha accompagnato in una salita ed una discesa insieme a suo padre».

Servono gambe e cuore. E un pizzico di sana follia, quella che spesso ha riportato Luca sulla linea del via delle ultra-maratone; sono state una costante nella vita del podista: per sei volte ha affrontato la 100 chilometri del Passatore tra Firenze e Faenza, due la Nove Colli. È stato ed è un percorso intimo, personale, sorprendente: «In una Sparta-Atene non perdi tantissimo peso. Ti alimenti costantemente, lungo il tragitto, con pane, biscotti, maltodestrine. Si parla di tre chili. Massimo. In una cento chilometri, sono sette litri persi in dieci ore. Quando lo sforzo è così grande, la prima notte successiva alla corsa non dormi, soprattutto perché sono tanti i flash della gara nella tua testa. La seconda molto poco. Dalla terza cominci ad aver voglia di riposare. La corsa è terapeutica. Me lo ha detto una volta un amico medico. Spesso aiuta chi ha problemi psicologici. Allena il fisico, ma anche la mente. Sviluppa situazioni positive. Correre è semplice, non c’è bisogno di una struttura. Allontana dai problemi, dalle distrazioni, dalla televisione e dai videogiochi. Parlo soprattutto per i giovani. Per me è stato un percorso di ricerca interiore. Ho capito che il corpo è una macchina spettacolare. La vita a volte può sembrare difficile, ma è bella. E te ne rendi conto soprattutto nelle difficoltà estreme».
Zava ha chiara la prossima meta: «Mi piacerebbe salire e scendere dal Torrazzo per ventiquattro ore consecutive, raccogliendo fondi per aiutare i bambini autistici».