casa
N.17 Gennaio 2021
La vita in appartamento vista dal viaggio di ritorno
Spese online e stendibiancheria, le serate-film e un angolo di divano: l'habitat di una matricola con due spazzolini, tante amiche e uno sguardo nuovo su ciò che è casa
Di fronte al mio posto, al tavolo di piazza Firenze 15, c’è una lavagnetta con elencati film visti insieme: commedie, salvo qualche eccezione per i grandi classici (ma solo nelle serate “ispirate”). E di fianco ad ogni titolo, la media dei voti che i film si sono duramente conquistati.
In questo appartamento siamo sei ragazze in affitto, ma con il Covid si sono susseguite varie “epoche”: per un po’ abbiamo vissuto in quattro; ora, ad esempio, siamo in cinque.
Parlo di epoche, perché la questione numerica è una cosa seria: quando manca una, la spesa online è da modificare tutta, i turni settimanali della cena (anche per quelli c’è l’apposita lavagnetta) e delle pulizie sono da ripensare e riprogrammare. Detto così sembra banale, ma le serate-esselunga sono tra i nostri peggiori incubi. Più divertente, almeno per me, è il momento in cui arriva la spesa e ci rendiamo puntualmente conto di aver dimenticato qualcosa.
Certo, tra noi non funziona che funziona sempre: siamo comunque sei donne in uno spazio che, anche volendo, non risulterebbe mai sufficiente. E io, dal canto mio, giustifico i miei disastri con il fatto che sono al primo anno e, quindi una “povera matricola”. Nonostante le scuse, non mi viene risparmiato nulla: anzitutto la gestione delle spese, per cui (a quanto pare) bisogna stare attenti a non farsi risucchiare dalla tentazione del Black Friday; poi la terribile presa di coscienza che – è così, davvero! – non si può campare a pizza e hamburger; infine i primi approcci ad una lavatrice ( la “lava”, nel nostro lessico famigliare) tutt’altro che moderna (mi credete se dico che non riconosco nessuno dei maglioni che avevo messo in valigia ad ottobre?). Al sabato, ma più spesso alla domenica, il numero di stendibiancheria che si stagliano sull’orizzonte della sala, tocca il picco di tre contemporaneamente: per arrivare alla libreria senza ribaltare tutto, bisogna procedere con estrema cautela.
L’Università Cattolica è rimasta aperta, con le dovute misure di sicurezza, ma per come si presentava la situazione di Milano all’inizio di dicembre, avevamo deciso di andarci a piedi. E così alle 8 partiva la nostra comitiva: 50 minuti andata e 50 ritorno (dopo le 18), con una punta di orgoglio alla sera per aver mandato il contapassi alle stelle.
L’appartamento non è casa, se casa vuol dire “farsi i fatti propri”. Qui è materialmente impossibile: in ogni punto trovi qualcuno che ti viene a smuovere. Che poi il bello è che tutto nasce da un bisogno, più che da una forzatura: bisogno di un letto, di una cucina, ma anche di qualcuno che ti aspetti.
L’università è di natura un posto vivissimo, per cui è impossibile in una giornata non imbattersi in qualcuno (forse si può, se non ci si va fisicamente), ma se capita che sono davvero stata eccelsa nello sfuggire alle domande e allo sguardo di tutti, ecco che sulla soglia del “appa” oppure (più realisticamente) dall’angolo del divano dell’appa, c’è qualcuno che ti obbliga ad affrontare le fatiche: lo studio, l’amico che ti delude, gli imprevisti… Ma, dal mio punto di vista, è casa un posto che per vederti crescere non ti lascia tranquillo.
Ora sto tornando a Cremona. E mi accorgo che piano piano iniziano a mancarmi le espressioni di una di loro, i discorsi sulla pallavolo di un’altra, addirittura mi fanno sorridere i loro rimproveri. Alcune cose possono essere scritte solo sulla via del ritorno: mai più di quest’anno ho imparato che la distanza fa bene all’occhio e al giudizio. Me lo ha insegnato Verga, che voleva scrivere la storia di Padron ‘Ntoni stando rintanato nelle campagne, sulla riva del mare, cioè il più possibile vicino ai protagonisti siciliani del suo futuro racconto. E invece, per le vicissitudini della vita, si era ritrovato lontano: “Ma forse non sarà male dall’altro canto che io li consideri da una certa distanza in mezzo all’attività di una città come Milano o Firenze. Non ti pare che per noi l’aspetto di certe cose non ha risalto che visto sotto un dato angolo visuale?”. Questo vale anche per la mia casa di Cremona: considerandoli da Milano i miei genitori diventano improvvisamente “più umani”, e mi rendo conto che li voglio sentire per davvero, non solo perché ogni tanto bisogna battere un colpo, ma perché voglio capire cosa stanno imparando anche loro. Visto che, in una casa si può solo continuare a crescere. Mi stavo quasi dimenticando che proprio i miei genitori, avendo viaggiato per tutta la vita, mi hanno insegnato che la casa è un mezzo e l’importante è che il tavolo sia abbastanza grande per invitarci qualcuno. Deve essere a disposizione. E mi fa impressione che l’appartamento sia la stessa idea, all’ennesima potenza. In questi mesi in cui a cena non ci potevano avere invitati, in cui era obbligatorio il confronto con le solite cinque facce, le incomprensioni e le discussioni sono state inevitabili; ma aiuta sempre il fatto che gli amici siano comunque l’argomento principale delle nostre narrazioni a cena, degli aneddoti che ci raccontiamo. Per questo gli amici segnano ugualmente la vita del nostro appartamento.
Tornando a Cremona ho scoperto che mi sono portata dietro tutto: tanto che, sovrappensiero, mi sono dimenticata che qui ci fosse la lavastoviglie e, un giorno, ho lavato i piatti a mano, ridendo fra me e me per quanto queste mie compagne stiano diventando parte della mia quotidianità. Che poi ogni volta in valigia bisogna portarsi davvero quasi tutto, perché con il Covid non si sa bene se potrai concludere le vacanze nello stesso posto in cui le hai iniziate. Però a Milano lascio qualcosa di mio, tanto per dire che ritorno, come fanno le mie nipotine quando abbandonano loro giochi a casa dei nonni, per poi riprenderli giorno dopo e barattarli con qualcos’altro. Io, comunque, ho il doppio spazzolino da denti (perché quello davvero sembra fatto per essere dimenticato ogni volta), ma nelle varie case sono sempre la stessa: è una moltiplicazione, un proliferare di luoghi in cui poter crescere; luoghi che si contaminano a vicenda. Quello che imparo in università si riversa nella vita di appartamento, quello che succede a Milano lo condivido a tavola con la mamma e il papà.
Certo, per fare una precisazione, c’è da dire che, quando una mattina mi sono risvegliata e il mio accento mi sembrava tutto rivoluzionato, ho immediatamente provveduto impostando lo sfondo del telefono con la foto del Torrazzo, anche apprezzando come complimento qualche sorriso che questo ha suscitato.