fede

N.48 marzo 2024

rubrica

Dalla “Paganinerl” agli “swifties”. Follie da superfan e divi fai-da-te

Il divo di turno presenta significati e simboli che non derivano da idealità, ma dal mondo dei consumi e la soluzione più comoda per costruirsi una personalità è essere uguali a qualcuno che, come si dice oggi, “ce l’ha fatta”

Al netto dell’ingenuità attraverso cui passiamo tutti nella fase adolescenziale, non si può non vedere che il rapporto tra musicisti e fan raggiunge spesso livelli di adorazione al limite del fideismo. Chi non ricorda le ragazze urlanti e piangenti davanti ai Beatles, i “sorcini” di Renato Zero, i vasconvolti/vascolizzati/vascomani che venerano qualsiasi cosa del Blasco? Chi non ha sentito parlare della “Tribù” di Lorenzo Jovanotti, dei “Sonici” dei Subsonici, dei “Fibrogati” di Fabri Fibra, o dei “Kolored” dei The Kolors?

Oggi si parla di stan, ossia di quella cultura soprattutto on-line di gruppi Facebook, Reddit e Subreddit o account Istagram che si attiva attorno a un personaggio per celebrarne gesta e imprese. Non solo i devoti prendono il nome dei loro idoli (Belibers per Justin Bieber, Directioners per gli One Directions, BeyHive per Beyoncé, Swifties per Taylor Swift… ), ma si vestono come loro, comprano quello che viene loro suggerito, accorrono dovunque vi sia un’apparizione pubblica, ripetono le loro parole come fosse verbo profetico.

Naturalmente fanno nulla di male, per esempio mettono a nastro la musica di notte per fare arrivare prima in classifica la canzone appena uscita, rispondono a tono alle critiche di qualche intruso on-line che azzarda un parere diverso. Addirittura, vi sono fan che difendono a spada tratta il loro idolo quando è in difficoltà: Britney Spears messa sotto tutela è stata sostenuta dal movimento #freeBritney.

Succede però anche che per favorire il beniamino di turno si organizzino truffe del tipo: se trasmetti la tal canzone in streaming hai un regalo un caffè di marca, e poco importa se poi non arriva… E c’è un ulteriore gradino rappresentato da aggressività fatta di minacce, stalking, isterismo, per trovare infine fan, certamente già emotivamente fragili, che si sono suicidati dopo che il loro beniamino lo aveva fatto, come avvenuto per esempio dopo la morte di Kurt Cobain, leader dei Nirvana. Tutto ciò non ha molto a che fare con la musica.

Ma non è da adesso che si assiste a questi fenomeni: Paganini, dopo il suo debutto alla Scala di Milano nel 1813, quando aveva appena 31 anni, diventò ben presto un’icona; furono versati fiumi di inchiostro per recensioni entusiastiche, vi fu clamore e sensazionalismo dovunque, gli uomini si acconciavano i capelli alla Paganini, i pasticceri preparavano nuove creazioni con il suo nome, a Vienna la banconota da 5 fiorini – una bella cifra – veniva talvolta chiamata “Paganinerl“.

Un altro caso di fan hysteria risale agli anni ’40 del ‘800, con il pianista ungherese Franz Liszt. Per la prima volta nella storia, la gente iniziò ad accalcarsi in massa per assistere ad un concerto, ad urlare alla vista del musicista, addirittura a litigare per accaparrarsi i mozziconi delle sigarette che lui buttava a terra.

Per non parlare dei cantanti. Ecco una cronaca del 1856 a proposito della soprano, diva assoluta dell’epoca, Maria Malibran:

Ovunque in Italia fu accolta con trasporto. Le corone piovevano ai suoi piedi. Si staccavano i suoi capelli: la folla degli amatori tirava la sua carrozza; una volta fu sollevata e portata a braccia dai suoi ammiratori. Gli impresari se la disputavano. Le si fecero sottoscrivere impegni tre mesi prima delle rappresentazioni con ingaggi enormi e senza precedenti. Il più ardito di tutti, a Trieste, le diede 4.000 franchi per sera e voleva anche farle accettare una parure di diamanti…
(Blaze de Bury, 1856).

Non c’è dubbio che è esattamente quello che avviene oggi sulle scene rock, dove i ragazzi si identificano con i propri simili nell’adorazione assoluta verso la propria star preferita.

Quando i social diventano campi di battaglia con doxing e molestie, quando le relazioni diventano antisociali, quando le dinamiche sono di dipendenza quasi tossica, dovrebbe suonare un campanello di allerta. Gli psicologi parlano di adepti che creano il personaggio a propria immagine e parlano con loro in conversazioni immaginarie plasmandosi valori morali personali e cercando supporto in periodi difficili della propria vita. Insieme alle troppe ore vissute on-line in una finta relazione con gli altri è dimostrato che vi è anche la propria vita infelice e la difficoltà a realizzarsi. Le figure pubbliche sono un appiglio per le persone sole e isolate e nella relazione fasulla che si crea vengono soddisfatti i bisogni di sicurezza.

Il nostro tempo vede una dispersione frastornante di punti di vista che fanno perdere l’orizzonte: la politica sembra poco capace di intercettare bisogni ed esigenze che non siano l’accontentare questi o quelli, la famiglia è esposta a tensioni di ogni tipo, la scuola è un vaso di coccio sempre sotto osservazione, tutto si riduce a consumo e l’identità è troppo spesso fatta di ciò che si possiede fuori, non dentro.

Il divo di turno presenta significati e simboli che non derivano da idealità, ma dal mondo dei consumi e la soluzione più comoda per costruirsi una personalità è essere uguali a qualcuno che, come si dice oggi, “ce l’ha fatta”.

Se tutto viene messo in discussione da un razionalismo ipercorrettivista, se vengono a mancare realtà di riferimento, allora è possibile che dal web arrivi il “divo fai da te” che ti modella qualche idea con poche frasi buttate lì e molto marketing intorno. Così, la vita reale è sostituita da ore e ore passate in una vita virtuale, a beneficio di streamer, tiktoker e podcaster, dentro una nicchia dove c’è il proprio santino da rimirare.

Eppure, nella musica dei giovani non mancano profondità e intuizioni che sono vere perle di poesia, di riflessione e di suono, ma per trovarle ci vogliono un po’ di senso critico e qualche valore in tasca.