sensi

N.46 Gennaio 2024

arte

Giulio, maestro dell’argilla: il tocco gentile che sopravvive al touch

Giulio Grimozzi, novanta primavere e una passione che sembra appena fiorita, è l'anima del Laboratorio del Cotto di Cremona: «Con l'argilla il pensiero si trasforma in opera, scopri di riuscire a fare cose meravigliose e insospettate»

«È una cosa bellissima sentire la terra sotto le mani, governata dalla nostra sensibilità».

Le dita di Giulio Grimozzi impastano l’aria, quasi fosse solida. Alle spalle ha quasi novanta primavere, e da quarant’anni è presidente del Centro studi di ricerca sulle ceramiche e il Laboratorio del Cotto di Cremona. L’ha fondato nel 1984, per recuperare l’antica arte dei maestri plasticatori. «Nei secoli, l’argilla ci ha permesso di realizzare architetture meravigliose in tutta la pianura Padana – prosegue – Troviamo decorazioni anche sulla Cattedrale di Cremona, volti dai tratti umani e animali, che abbiamo replicato in gesso per consentire alla città di ammirarli e toccarli con mano».

Un gesto naturale, che nel tempo è stato sostituito da azioni meccaniche, sempre più distanti dal gesto creativo. «Dal tatto siamo passati al touch – sospira – Questa è l’involuzione, l’inganno. Leonardo Da Vinci lodava la man che obbedisce all’intelletto… Oggi le nostre mani compiono gesti abituali, cui non diamo più significato». Da qui l’idea di restituire questa consapevolezza, affidandosi alla guida del celebre artista e designer Bruno Munari. «Ho avuto la grande fortuna di essere suo allievo – svela Giulio –. Come sosteneva il maestro, “ognuno fa quello che sa”: la fantasia e la creatività hanno la capacità di agire sulla memoria, di lasciare un’impronta in ciò che siamo».

Questa filosofia guida l’attività del Laboratorio situato in via Donatori del Tempo libero, che continua ad accogliere studenti e appassionati di ogni età.

«Il nostro scopo è far capire che con le mani si possono fare cose bellissime», afferma il presidente. «C’è un’atavica diffidenza nei confronti del fango, io la chiamo “la sindrome della madre iperigienista”», sorride. «Una volta camminavamo a piedi nudi nei campi, saltavamo nelle pozzanghere… ciac ciac. Oggi abbiamo perso dimestichezza con la terra. Non vogliamo sporcarci. Eppure è meraviglioso affondare le dita in una materia come la creta. Puoi schiacciarla, distruggerla, darle la forma che desideri. Il tocco s’imprime sulla superficie, che assorbe la tua personalità. Il pensiero si trasforma in opera, scopri di riuscire a fare cose meravigliose e insospettate».

Lo sguardo si posa sulle mani, dove sono visibili i nodi del tempo, animati da un’energia senza età. «A me ha insegnato che posso insegnare. Mi ha dimostrato che si può fare tutto, basta avere la mente abituata a trasferire nelle mani il pensiero».

L’esatta antitesi del mondo digitale, dove i polpastrelli servono ad interagire con schermi e dispositivi, ma raramente trasmettono calore. «Perdere il tatto sarebbe una grandissima sventura – Giulio corruga la fronte – pensiamo ad una semplice carezza, alla gioia che ci può dare. L’argilla insegna anche questo: trasformare anche un movimento brusco, brutale, in un gesto gentile. Se il mondo si trovasse al buio, è il tatto che ci salva».