tappe

N.52 Settembre 2024

radici

Il viaggio di Khadim è un “ritorno al futuro” che non finisce mai

Khadim Gning è partito dal Senegal a 11 anni. Oggi a Cremona ha una famiglia, un lavoro e tanti amici, ma non dimentica le sue origini. «Perché io sì?» si chiede ogni giorno: così grazie a lui i bambini del villaggio di Mbamalasone hanno ancora una scuola in cui costruire un futuro milgiore

Ci sono viaggi che vanno dritti verso una meta, viaggi che non prevedono ritorni. Ci sono luoghi che si vorrebbero lasciare per sempre. Eppure il cuore torna sempre là. Quello che raccontiamo è uno dei tanti viaggi della speranza, verso la libertà e una vita lontana dalla miseria, ma che è fatto di tappe impreviste e continui ritorni. È la storia di Khadim Gning, cremonese di origini senegalesi, che, una volta passato dalla parte fortunata del Mediterraneo, ha deciso di aiutare i bambini rimasti laggiù.

Tutto cominciò nell’inverno del 2000. Khadim aveva 11 anni quando, insieme ai due fratelli poco più grandi di lui, era stato affidato ad una hostess e imbarcato su un aereo. In lacrime, diceva addio alla mamma, alle sorelline e al villaggio del Senegal in cui era cresciuto. A Malpensa l’aspettavano il papà e il freddo pungente di Milano. Sulla pelle quel bambino sentiva ancora il caldo del sole africano e dell’abbraccio di una mamma che non avrebbe più rivisto per cinque anni. «Avevo freddissimo, non avevo nulla con me. Mi ero messo la coperta dell’aereo sulla maglietta, poi mio papà è arrivato a prenderci con dei giubbini», racconta Khadim.

«La scuola ci consente di imparare
e di stare in mezzo agli altri;
io l’ho capito qui in Italia
ed è questo il motivo che mi spinge
a fare tutto ciò che posso»

L’integrazione non è stata facile. «Ero il figlio più piccolo, mi mancava terribilmente la mamma. Volevo tornare da lei. Ho sofferto tantissimo». Si scambiavano lettere, che la madre si faceva leggere e scrivere da altri. Il papà, giunto in Italia anni prima, lavorava alla Sicrem di Pizzighettone e si occupava dei tre figli. «Quando lui non c’era, ci ospitava Annamaria, una vicina. Stavamo a casa sua, ci faceva da mangiare». Anche grazie a lei, quel bambino impaurito ha ritrovato un poco il calore di una famiglia che era stata divisa. Una separazione che ha reso drammatico l’inizio della nuova vita in Italia.

«Ciò che mi ha salvato è stata la scuola», confessa Khadim. Gli amici e l’istruzione, prima alle medie Campi e poi all’istituto per geometri Vacchelli, hanno segnato il suo destino: quello di una vita sicura, con una famiglia e un buon lavoro. Ormai la miseria e le aule diroccate del villaggio in Africa erano lontane.

«Eppure mi sono sempre ritenuto molto fortunato e non ho mai smesso di chiedermi: Perché io sì? Quando sono diventato più grande, abbiamo cominciato ad andare in Senegal una volta all’anno – racconta Khadim – e sono sempre tornato nella scuola del mio villaggio, Mbamalasone, a trovare i miei amici. Loro si arrangiano a vivere in qualche modo. Sono pochi quelli che riescono a proseguire gli studi in città e a trovare un vero lavoro». Tra questi pochi c’è l’amico d’infanzia Badou Ndaye: «Lui si è diplomato, è diventato maestro ed ora è il direttore della scuola del villaggio».

Proprio in quella scuola è nato un sogno: «Un giorno Badou e io ci siamo seduti a fare due chiacchiere, lui mi ha spiegato che nell’istituto molto in difficoltà, ma lo Stato non li aiuta». La visita alla scuola di Mbamalasone fa capire a Khadim quanto grandi siano quelle difficoltà, inimmaginabili per chi ha studiato al Vacchelli. «Il muro di cinta era crollato e gli animali entravano liberamente nelle aule, prive di porte e finestre: mangiavano i banchi, sporcavano, distruggevano tutto. I bambini facevano lezione in condizioni estreme».

Quella domanda, Perché io sì?, riecheggia in continuazione. A Khadim non basta più comprare i palloni e le divise per il torneo che ogni anno disputano i bambini del villaggio alla fine della scuola. Vuole fare di più. Ne parla con la moglie, Francesca Albertoni, ingegnere cremonese, che collabora con la rete di cooperazione internazionale Ingegneria senza frontiere. Guarda i suoi due bambini, Alice Abiba e Fallou Andrea, e decide che anche i piccoli di Mbamalasone devono avere ciò che lui ha avuto: una scuola degna di questo nome. Per farlo, però, servono soldi.

«Nel 2023 abbiamo raccolto i primi preventivi per rifare il muro di cinta, che è la prima tappa di un completo intervento di riqualificazione dell’istituto», spiega Khadim. Subito ha trovato un alleato nel datore di lavoro, il titolare della Ecogroup, Pietro Ghidoni. «Mi ha dato i primi duemila euro per avviare i lavori», aggiunge. A quel punto la macchina della solidarietà si è messa in moto, grazie al passaparola e all’entusiasmo contagioso di Khadim. «Un giorno sono arrivato al lavoro e mi hanno detto che c’era una busta per me. Dentro c’erano mille euro da parte di amici di Cremona. Ancora oggi non so chi siano né come fare a ringraziarli per un gesto così generoso e commovente». I compagni di classe del Vacchelli hanno fatto il resto: gli hanno consegnato altri 1600 euro.

Guarda i suoi due bambini
e decide che anche i piccoli di Mbamalasone
devono avere ciò che lui ha avuto:
una scuola degna di questo nome

E poi è arrivata la scuola secondaria di Grumello: la festa di fine anno, lo scorso maggio, è stata dedicata al progetto di Khadim e il concerto della rock band d’istituto è stato l’occasione per raccogliere fondi, circa quattrocento euro che, insieme a tutti gli altri fondi, hanno consentito di terminare il muro di cinta. «Quando riprenderà la scuola, il prossimo ottobre, i bambini troveranno questa bellissima sorpresa», spiega Khadim, che non ha certo intenzione di fermarsi: le prossime tappe prevedono la sistemazione delle aule, «poi vorremmo istituire una borsa di studio e realizzare un pozzo per l’acqua», aggiunge speranzoso. «La scuola ci consente di imparare e di stare in mezzo agli altri; io l’ho capito qui in Italia, ed è questo il motivo che mi spinge a fare tutto ciò che posso. Per me ormai l’Italia è casa, mi sento più italiano che senegalese ed è grazie a questo Paese che sono diventato ciò che sono. Ma non posso dimenticare le mie radici e i bambini rimasti là. Perché la scuola è tutto: senza l’istruzione, siamo persi in partenza».