giochi

N.30 Aprile 2022

ERA DIGITALE

In famiglia con il digitale: tra orologi, “no” e schermi-babysitter

Guida rapida all'educazione digitale con la dottoressa Anna Bandera. Come genitori e nonni possono cavalcare "l'onda digitale" senza perdere il passo nè il contatto con i più piccoli... e senza lasciarsi a loro volta travolgere da un mare di pixel

Il computer, il tablet, lo smartphone, le cuffie degli auricolari, la console dei videogames. Crescere nell’era digitale è come fare surf sulla cresta della realtà, tra mondo fisico e virtuale. Un confine estremamente labile, su cui le nuove generazioni imparano a muoversi già nei primi anni di vita. Restare connessi è il loro modo per non perdere il contatto, per ritrovarsi o trascorrere il tempo, che nell’universo 4.0 ha un peso specifico differente. Soprattutto agli occhi di genitori e nonni, che percepiscono distanze sempre maggiori con i piccoli di casa, con cui faticano a trovare un terreno comune che non sia lastricato da pixel.

Complice la pandemia e la digitalizzazione dell’attività didattica, negli ultimi anni il tempo trascorso di fronte agli schermi è cresciuto esponenzialmente, lasciando poco margine alle attività analogiche. Come confermano i più giovani, “staccarsi” non è semplice, soprattutto quando l’universo di riferimento si trova a portata di clic.

Anna Bandera è psicologa e psicoterapeuta cognitivo comportamentale specializzata in età evolutiva. A Cremona collabora con alcune scuole primarie e secondarie di città e provincia attraverso progetti specifici. È terapeuta EMDR, tecnica che utilizza con adulti e bambini per favorire la rielaborazione dei traumi e delle esperienze di vita negative. Svolge attività privata presso lo studio di via Anguissola dove organizza incontri di formazione legati a tematiche di età evolutiva e incontra bambini adolescenti e adulti.
visita il sito

«Più che il semplice uso, c’è il rischio di ricadere nell’abuso», afferma Bandera, psicologa e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale specializzata in età evolutiva. «Ciò accade soprattutto tra i più piccoli, perché non hanno ancora la capacità di regolare l’utilizzo di queste piattaforme, che spesso offrono contenuti non adeguati alla loro età». Per aiutarli a gestirne la fruizione è necessario l’aiuto degli adulti: «I nostri ragazzi sono il nostro riflesso – sottolinea Bandera – Non possiamo imporre regole ai bambini quando per primi i genitori abusano di queste tecnologie di fronte a loro a partire dallo smartphone a tavola o nei momenti condivisi. Oltre alle regole, è necessario dare loro il buon esempio».

Ciò vale soprattutto in età adolescenziale, dove gli scontri si fanno più accesi, soprattutto quando si tratta di stabilire limiti: «Scendere in campo con “crociate” per vietare l’uso di console e smartphone non è la soluzione», sottolinea la psicologa. «Invece di bloccare o negare l’accesso, possiamo insegnare ai nostri figli come utilizzare questi strumenti in modi e tempi adeguati, in un’ottica di condivisione che consenta di sviluppare un approccio critico».
Il fattore “tempo” è tra gli elementi cruciali di questa riflessione, soprattutto quando questo viene declinato in attesa: «Talvolta gli schermi diventano sostituti delle babysitter», prosegue Bandera. «Non è raro vedere bambini di pochi anni lasciati soli di fronte ad un tablet o allo smartphone di un genitore mentre questo fa la spesa al supermercato o cena al ristorante. Il rischio è che si guasti il processo della regolazione emotiva e che i nostri figli non sappiano più accettare un “no” o sostenere emozioni come la noia e la frustrazione, zittiti dagli schermi usati come placebo. È importante che imparino ad affrontare anche questi momenti per non trovarsi impreparati quando più avanti nella vita non avranno modo di evitarli».
Il pensiero torna alla pandemia, che ha imposto una pausa sociale prolungata alla vita ordinaria di bambini e adolescenti. Le piattaforme digitali si sono dimostrate uno strumento utile a rimanere in contatto con la scuola e con gli amici, per praticare attività altrimenti precluse senza perdere il filo della socialità, ma ora è necessario lavorare sul ritorno alla realtà partecipata.

«Il rischio è che i nostri figli
non sappiano più accettare un “no”
o sostenere emozioni come noia e frustrazione,
zittiti dagli schermi usati come placebo»

In questo ambito rientrano i videogiochi, sempre più realistici e vicini alla possibilità di vivere in un metaverso condividendo esperienze estremamente realistiche attraverso la realtà aumentata.
«I bambini molto spesso non si accorgono che ciò che accade è qualcosa di reale, anche quando si tratta di un telegiornale, come se fosse per loro la trasposizione di un videogioco estremamente realistico», afferma Bandera. Anche in questo passaggio delicato, l’accompagnamento è importante e bisogna farsi trovare preparati. «Un gioco non è solo un gioco: contiene significati che i nostri bambini a volte non riescono ancora a rielaborare in modo critico. Per esempio, è bene evitare giochi violenti o con sfide molto intense, poiché spesso si traducono nell’aumento dell’aggressività, dell’irritabilità e di stati d’ansia nei bambini, molto esposti dal punto di vista emotivo perché ancora hanno un pensiero poco razionale».
Partendo dal presupposto che il mezzo è neutro ma tutto dipende dall’uso che se ne fa, la conoscenza e la condivisione sono strumenti fondamentali per una fruizione consapevole.
Anche in questo caso, il primo passo sta agli adulti: «Genitori e nonni devono sapere quali sono i contenuti cui i ragazzi accedono, per poterli aiutare nella scelta di passatempi che siano utili e opportuni».
Insomma, non è tutto schermo ciò che luccica: tra i trend degli ultimi anni riprende piede l’interesse per i giochi di ruolo e da tavolo, dimostrato dall’apertura di ludoteche e dal crescente acquisto di giochi in scatola. Ai classici intramontabili (tra cui Monopoli, Risiko, Trivial Pursuit e Pictionary) si aggiungono proposte più moderne ma sempre incentrate sull’esperienza diretta, vissuta in presenza. «I giochi di ruolo dal vivo aiutano la relazione», afferma Bandera. «In famiglia, il tempo da dedicare la gioco da tavolo era un contesto positivo e produttivo, un momento prezioso, in cui si trascorreva tempo condiviso risolvendo problemi e sfide proposte dall’attività». Recuperarlo non è semplice: occorre ritagliarlo dal lavoro protratto a tarda sera, rubando spazio alle varie attività che via via hanno invaso salotti e camerette. Spegnere lo schermo e sedersi attorno a un tavolo potrebbe essere un punto di partenza per ricostruire un nuovo modo di stare insieme.