regole
N.54 novembre 2024
L’arte della convivenza: aneddoti e trucchi del mestiere di un amministratore condominiale
Faccia a faccia di un (anonimo) amministratore condominiale che ripercorre decenni di professione tra liti condominiali, vizi, pretese e due risate davanti a un bicchiere di lambrusco
Siamo in una Cremona sonnacchiosa e autunnale, con l’inverno imminente che bussa alle porte con le sue brezze taglienti. Seduto davanti a me, in un caffè del centro, c’è un uomo che ha l’aria di averne viste e sentite tante. Ha il portamento di chi ha affrontato anni di battaglie, alcune vinte con astuzia, altre perse per ostinazione altrui. È un amministratore di condomini dai lontani anni Novanta e mentre sorseggia un tè, con la calma di chi – per necessità – ha imparato a rallentare il tempo e dargli il giusto valore, inizia a raccontare non solo la sua esperienza, ma una vera e propria fotografia dell’evoluzione della convivenza umana.
«Sa, all’inizio del mio lavoro c’era ancora il senso del vicinato, del vivere insieme. Certo, si bisticciava anche allora, ma le persone trovavano più facilmente un compromesso. Prenda il signor Franco e la signora Rosetta. Litigavano per l’altezza della siepe comune posta tra le loro due abitazioni, all’interno di un complesso di villette a schiera: lui voleva che crescesse libera e selvaggia, lei la voleva potata come un bonsai. Chiaramente all’interno del regolamento condominiale non c’erano indicazioni precise sull’altezza da mantenere; pertanto, si rimandava ad un buon senso comune. Una volta li ho trovati in giardino: lui, seduto su una sedia con uno sguardo in stile Clint Eastwood ne Il texano dagli occhi di ghiaccio, e lei armata di un paio di forbici da cucina, intenta a tagliare ogni ramo che superasse i trenta centimetri, stile Jonny Deep in versione Edward mani di forbice. Potete immaginare quanto la scena fosse bizzarra. Alla fine dei vari diverbi e botta e risposta, ho proposto loro una siepe artificiale regolabile in altezza, che chiaramente non esisteva. Ci hanno riflettuto un secondo e poi sa cosa hanno fatto? Hanno accettato.
Ci ho messo un po’ a spiegargli che stavo ironizzando sulla questione, ma alla fine quando hanno realizzato si sono messi a ridere. Insomma, non avevamo trovato un rimedio, ma comunque gli avevo fatto capire che poteva esistere un punto d’incontro. Il problema era risolto con una buona dose di ironia e il signor Franco e la signora Rosetta hanno tirato su una bottiglia di lambrusco con due fette di salame nostrano, in segno di pace».
«Sa, all’inizio del mio lavoro c’era ancora il senso del vicinato, del vivere insieme. Certo, si bisticciava anche allora, ma le persone trovavano più facilmente un compromesso»
Gli anni ’90, a detta del mio interlocutore, erano un periodo di relativa pace condominiale. Ma poi qualcosa è cambiato. «Con l’avvento dell’euro e il graduale aumento del costo della vita, tutto è diventato più complicato. Le persone hanno cominciato a sentirsi meno sicure, più isolate. È in quegli anni che ho iniziato a sentire sempre più spesso la frase: “Pago, quindi pretendo”. Una frase che, mi creda, mette fine a qualsiasi tentativo di dialogo».
Mi fermo a riflettere sul significato di quelle parole, ma lui riprende il filo del discorso prima che io possa interromperlo. «Un esempio? La signora Claudia, proprietaria di una manciata di appartamenti destinati ad affitti brevi in diversi condomini di pregio, tutti eredità del consorte e poi “regalati” a lei, probabilmente per impegnarle un po’ di tempo all’interno delle sue asciutte giornate. Un giorno si è presentata in assemblea pretendendo che il portinaio fosse a disposizione dei suoi ospiti 24 ore su 24. Al mio diniego, mi ha guardato con occhi di fuoco e ha detto: “Lei non sa chi è mio marito!”. Le ho risposto che no, non lo sapevo, perché se lo avessi saputo avrei provato a sposarlo prima di lei».
«Le persone hanno cominciato a sentirsi meno sicure, più isolate. È in quegli anni che ho iniziato a sentire sempre più spesso la frase: “Pago, quindi pretendo”. Una frase che, mi creda, mette fine a qualsiasi tentativo di dialogo»
Scoppiamo a ridere entrambi, ma subito dopo l’atmosfera si fece più seria. Gli anni 2000, a detta nostro amministratore di condominio, hanno visto anche un altro grande cambiamento: la multiculturalità. «Da un lato è una ricchezza, dall’altro una sfida. Non tutti sono pronti ad accettare usi e costumi diversi. Ho visto liti scoppiare per il semplice odore di spezie proveniente dalla cucina di un appartamento. Altre volte sono intervenuto per feste un po’ troppo esuberanti. Ricordo che una volta sono stato chiamato perché un inquilino aveva organizzato una grigliata nel cortile condominiale, ma con un agnello intero e una quarantina di parenti. Per lui era un gesto di condivisione e ci teneva a specificare che chiunque nel condominio era invitato; per gli altri era una barbarie. Quella volta non è stato facile, anche se dopo un po’ di mediazione il clima si è disteso. Ma non sempre è così semplice, anzi, ormai sempre più di frequente vengono coinvolte le Forze dell’ordine»
Ascolto con attenzione, cercando di immaginare le situazioni che mi descrive. La sua voce diventa più grave quando passa a parlare della pandemia. «Il Covid è stato il colpo di grazia. Il lockdown ha esasperato tutti. Le persone erano costrette in casa, e ogni piccolo rumore diventava una questione di principio. Mi ricordo una signora che mi chiamava ogni giorno per lamentarsi del vicino che tossiva troppo forte. Sosteneva inoltre che tossendo con la finestra aperta i germi che lui espelleva potessero rientrare dalla sua presa d’aria in cucina, quella per i fumi dei gas. Alla fine, sono riuscito a convincere il signore a fare un tampone e a mostrarne il risultato alla signora, giusto per placare gli animi. Non era nemmeno malato, ma la tensione era insostenibile».
«Le regole devono essere aggiornate, è vero, ma non basta.
Serve recuperare l’educazione, il rispetto.
Vivere in un condominio significa accettare compromessi,
capire che non siamo soli»
Sul finire mi racconta dei giorni attuali e mi parla anche del fenomeno delle case vacanza, una novità che ha cambiato notevolmente il volto dei condomini. «Un tempo, un condominio era composto da persone che ci vivevano, proprietari e inquilini. Oggi ci sono investitori che comprano solo per affittare per una, due, tre notti, senza mai mettere piede nel palazzo. Trattano il condominio come la loro struttura alberghiera, effettuano check-in a orari che non sono quelli di una normale vita condominiale, molto spesso nel fine settimana, mentre i condomini riposano dall’attività lavorativa. Gli ospiti poi spesso non rispettano le regole. Buttano la spazzatura ovunque, usano i locali comuni e gli ascensori senza ritegno. Una notte, in un condominio che amministro, un gruppo di turisti ha deciso di organizzare un karaoke sul terrazzo. Quando la polizia ha chiesto loro di smettere, li hanno guardati con stupore: “Ma noi domani andiamo via!”, hanno detto. Per loro, era come essere in un hotel. Ma chi ci vive tutti i giorni non la pensa allo stesso modo. Purtroppo, poi non ci sono regolamenti in questi termini che possano vietare tali attività. Di fatto sono attività commerciali incompatibili con la vita condominiale, altrimenti non esisterebbero gli hotel e b&b da sempre, no? Qualche comune si è già attivato con delle restrizioni e limitazioni, come in diversi stati d’Europa e del mondo, ma ovviamente in Italia arriviamo sempre con dieci anni di ritardo».
Cremona, con le sue strade silenziose e i suoi cieli grigi, sembra lontana dai problemi di cui mi sta parlando, ma è chiaro che dietro ogni facciata si nascondono storie come queste. Gli chiedo se c’è una soluzione. Si prende qualche istante prima di rispondere. «Le regole devono essere aggiornate, è vero, ma non basta. Serve recuperare l’educazione, il rispetto. Vivere in un condominio significa accettare compromessi, capire che non siamo soli. A volte basterebbe un po’ di empatia. O una risata. Sa cosa dico sempre? In un condominio, la vera regola è: ridi, o rischi di perdere la testa».
Mentre ci salutiamo, mi lascia con un ultimo consiglio: «Le regole? Non le faccia mai diventare una gabbia. Sono lì per aiutare, non per dividere. E se proprio tutto va a rotoli, abbia sempre una buona battuta pronta. Funziona meglio di qualsiasi regolamento».
Mi rendo conto di aver appena ascoltato una lezione sulla società moderna, condensata tra le mura di un condominio. Una lezione fatta di storie, di regole infrante e di tentativi di trovare un equilibrio. E mentre lo guardo allontanarsi, penso che forse, se tutti avessimo un po’ della sua ironia e pazienza, vivremmo in un mondo decisamente migliore.