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N.37 Gennaio 2023

RUBRICA

L’arte di ben incominciare: seduzione dei titoli di testa

Da "Leo the lion" alla lampada Luxo, da Godard a Woody Allen... ancor prima di iniziare il film mette in atto una vera e propria strategia di convincimento per catturare l’interesse dello spettatore

fonte: Wikipedia

Buio in sala. La pubblicità è terminata. Anche le chiacchiere dei vicini, insieme alle luci degli smartphone, si sono finalmente spente. Un attimo di sospensione nel quale, trattenendo il fiato, c’è solo il tempo di pregustare la magia di ciò che sta per manifestarsi, quando compaiano sullo schermo le primissime immagini del film. È il momento di staccarsi dal mondo reale e di varcare la soglia di quel sogno ad occhi aperti che si realizza in sala. Ma, per compiere questo delicato passaggio, occorre affidarsi alla seduzione dei titoli di testa.
L’inizio, la partenza, hanno un ruolo fondamentale nello stabilire il rapporto tra il film e lo spettatore. Non si tratta solo di quella “prima impressione” tipica delle novità – tanto nei rapporti umani quanto nelle esperienze quotidiane – per cui ci affidiamo al nostro sesto senso: lì è l’istinto a guidarci, e la presunzione di aver colto immediatamente una consonanza, una familiarità, una forma di piacere.

Il film invece mette in atto una vera e propria strategia di convincimento per catturare l’interesse dello spettatore. Lo capiamo da utenti della televisione: se il film trasmesso – ma per la serie o il programma vale lo stesso – non ci piace e ci ha annoiato nei primi minuti, attiviamo la nostra arma da divano, il telecomando, e cambiamo canale alla ricerca di qualcosa di più interessante.
Oltre a sedurci, titoli di testa hanno una funzione informativa. Lo ricorda Gérard Genette, nel suo celebre libro dedicato alle Soglie del testo letterario (Einaudi, 1989): poiché nessun contenuto si dà senza un involucro, è importante analizzare tutto ciò che circonda il testo, perché ne costituisce l’orizzonte d’attesa e ne guida la comprensione. Copertina, titolo, dedica, risvolto, premessa… svolgono il compito di avvicinare il lettore al contenuto, stimolandone la curiosità e fornendo anche alcune informazioni pratiche.

Così il film.

Basti pensare al logo della casa di produzione e/o di distribuzione, solitamente il primo a comparire sullo schermo: si tratta un marchio che ha il potere di predisporre lo spettatore e di attivare la sua competenza pregressa. Così, se Pixar si affida ai salti della piccola lampada Luxo che entra in scena schiacciando la “I” fino a prenderne il posto e a guardare divertita lo spettatore, per alludere alla capacità del digitale (e alla mission dello studio) di produrre animazioni divertenti e “umanizzare” la tecnologia,

MGM dal 1924 si è affidata al ruggito di un leone (Leo the lion) per esprimere la propria potenza industriale di grande major e il fascino del suo straordinario parco di star, a cui allude anche il logo Paramount con le numerose stelle che circondano la grande montagna del Ben Lomond.

Dopo il logo, i “crediti” introducono anche le prime immagini del film: di solito vengono elencati gli attori protagonisti, insieme agli autori del soggetto, della sceneggiatura, del montaggio e della colonna sonora, oltre al regista che è solitamente nominato alla fine, in una posizione privilegiata. Non si tratta tuttavia solo di attribuzioni volte a dare un valore all’opera: anche il modo in cui sono presentate offre una notevole quantità di informazioni sulla pellicola che sta per incominciare.
Impossibile astenersi dal ricordare Saul Bass, vero e proprio “mago” dei titoli di testa, autore di memorabili incipit di film hitchcockiani. Il film che lo ha reso famoso, e che ha determinato un approccio totalmente inedito alla grafica per il cinema, è senz’altro Anatomia di un omicidio di Otto Preminger (1959), per il quale il creativo newyorchese ha realizzato una locandina “minimalista” poi ripresa nei titoli di testa del film. Poiché la trama ruota intorno alla ricostruzione di un processo per omicidio avvenuto in circostanze oscure, a temi forti che scavano nella psicologia dei personaggi e nei lati oscuri di un Paese come l’America in una fase di repentino cambiamento, l’immagine prescelta dal grafico è quella della sagoma di un uomo scomposta in vari blocchi che formano gli arti, il busto e la testa, disegnati in nero su un fondo giallo e rosso, accostati tra loro come le parti di una marionetta. L’anatomia dell’omicidio viene così richiamata a livello visivo dal disegno della sagoma scomposta nei vari pezzi, i quali alludono anche a un modello di ricostruzione indiziaria che “smonta” il caso nelle sue parti, e lo esplora fin nelle pieghe più bieche della mente delle persone coinvolte.

È così un’immagine emblematica, articolata e ripetuta nei minuti introduttivi, ad aiutare lo spettatore a decifrare preventivamente il significato del film: in modo analogo Vertigo (1958) utilizza i simboli dell’occhio e dell’ellissi per simulare la vertigine dell’identità, mentre Psyco (1960) ricorre a linee che tagliano in orizzontale e verticale lo schermo per anticipare le coltellate della celeberrima scena della doccia. Un ulteriore supporto alle immagini viene poi dalla colonna sonora che nell’incipit espone i temi principali del film: qui la rarefazione del jazz di Duke Ellington sottolinea l’atmosfera di inquietudine evocata da Preminger.
Impreziositi da nuove soluzioni grafiche, i titoli di testa si sono fatti sempre più originali e accattivanti, capaci di imporsi all’attenzione degli spettatori e di divenire oggetto di culto. Come non ricordare la voce di Jean-Luc Godard, che nell’incipit de Il disprezzo (1963) “recita” l’elenco dei crediti?

E come dimenticare Woody Allen nei panni del nevrotico protagonista di Io e Annie (1977) che, giunto al cinema con due minuti di ritardo, si rifiuta di entrare per aver perso la sequenza dei titoli di testa in svedese…?