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N.57 febbraio 2025
“Tutti i nostri segreti”, i silenzi che ci rendono famiglia
Fatta Aydemir racconta la memorabile storia di una famiglia intrappolata tra passato e presente, tra una patria perduta e sempre rimpianta, e una nuova terra mai davvero sentita propria
Hüseyin ha finalmente raggiunto la pensione e dopo trent’anni di duro lavoro in Germania lontano dalla sua terra, la Turchia, decide di acquistare una casa dove poter vivere con la moglie i loro ultimi anni e riunire la famiglia. Ma arrivato in quell’enorme casa arredata a distanza, ha un attacco di cuore e muore. La notizia arriva alla moglie, Emine, e ai quattro figli che raggiungono Instanbul in modi e tempi diversi, così come loro sono diversi l’uno dall’altro e affrontano la notizia della morte del padre e del marito in modo personalissimo e particolare.
Tutti i nostri segreti è la storia di una famiglia il cui linguaggio è il silenzio. Una famiglia numerosa, dove ognuno è diverso dall’altro e i figli cercano la propria identità, a volte entrando anche in conflitto con i genitori. Tutti i nostri segreti è la storia di una famiglia imperfetta, dove ci si vuole bene, anche se a volte si fatica a dimostrarlo.
«Forse la famiglia non è altro che questo un’entità fatta di storie su storie. Ma allora cosa significano i vuoti in queste storie, i silenzi? Sono le farfalle che alla fine faranno crollare l’intera costruzione? O l’aria che ci serve per poter respirare, perché la verità, tutta la verità, sarebbe insostenibile?»
Abbiamo provato a immaginare cosa Hüseyin, il protagonista del libro, scriverebbe per Riflessi “Notizie”.
Ma io, Hüseyin, riesco a capire chi sono, quando guardo il riflesso del mio viso sul vetro di questa portafinestra? Finalmente, dopo trent’anni di lavoro, posso dire di ritornare a casa. In Turchia. Finalmente ho potuto comprarmi una casa, arredarla e portare qui mia moglie. Emine: la amo da quando l’ho vista per la prima volta nel paese vicino al mio, ha sopportato scelte che nessuna sarebbe stata in grado di sostenere, mi ha aspettato e poi mi ha seguito in un Paese dove non conosceva nessuno, dove si parla una lingua che non conosce, dove non ci vogliono.
Finalmente ho trovato un posto che posso chiamare casa. La musica chiassosa dei negozi nella via sotto di me di colpo tace, e restano solo l’ezan[1] e i clacson e le voci di milioni di persone che continuano ad aggirarsi per le strade per sbrigare le proprie faccende. Sento le grida dei gabbiani in lontananza. Inspiro profondamente l’aria umida che sa di gas di scarico e immondizia. Ma sa anche, finalmente, di casa.
Sto camminando tra i corridoi quando d’improvviso sento una fitta al braccio sinistro. Sento il sudore freddo sulla nuca, un dolore che non ho mai conosciuto prima. E all’improvviso una stretta al petto, la cassa toracica sembra comprimersi fino a diventare non più grande di un bottone. Voglio mettermi a sedere, ma non ci riesco: d’improvviso mi sale una nausea fortissima, il mio corpo si piega in due e vomito, nel bel mezzo del corridoio. Cerco in tuti i modi di chiamare la vicina, batto sul pavimento, ma non so se riuscirà a sentirmi. Il pensiero nebuloso che ho un testa ora si fa chiaro: è la fine. Eccoci.
La notizia della mia morte viaggerà veloce e lontana, arriverà a mia moglie e ai miei figli. Chissà quali parole sentiranno, chissà come Emine lo dirà ai ragazzi. Chissà quanto tempo avrà bisogno affinché la notizia le raggiunga il cuore e glielo spezzerà in mille pezzi.
Ricordo quando lei mi diede la notizia di aspettare il nostro primo figlio, le parole che mi disse sono scolpite nella memoria. La gioia che mi prese alla notizia che sarei diventato padre di una bambina.
Ricordo i suoi occhi spaventati quando le diedi la notizia che sarei partito per la Germania. Per tanti anni lei mi aspettò a casa di mia madre, con i nostri figli che crescevano senza di me. E poi il timore e il sollievo quando finalmente ricevemmo la notizia che anche lei e i ragazzi potevano raggiungerci.
Chissà come Sevda reagirà alla notizia della mia morte. In questi cinque anni di silenzio ho pensato spesso a lei, a quanto abbiamo sbagliato. A come avremmo dovuto accettare e non giudicare le sue scelte. E poi Hakan, il nostro primogenito maschio: quanta responsabilità che non riesce a sopportare. Dove sarà lui quando gli arriverà la notizia che ora è lui l’uomo di casa? Cosa proverà? Come reagirà?
Peri, la mia piccola ribelle, che studia Nietzsche e parla di femminismo alla madre… Quando la guardo vedo il futuro che ci viene incontro. Anche se per me non c’è più futuro al di fuori dei loro ricordi. E infine Ümit, il piccolo. Ho sempre aspettato da lui una notizia sconvolgente, ma forse vuole tenere ancora per sé il suo segreto. Forse non siamo ancora pronti.
Quante parole ancora avrei da dire alla mia famiglia, quante parole che non ho detto e che ora rimpiango di aver taciuto.
Ma ormai niente è più nelle mie mani, devo prendere fiato per lasciare andare le ultime parole che ho in corpo, per essere io a decidere che è il momento di lasciare andare, prendo fiato e sussurro Eşhedü en la ilahe illaha[2].
[1] appello che il muezzin lancia cinque volte al giorno dal minareto per richiamare i fedeli musulmani alla preghiera
[2] Non c’è altro dio che Allah.
– in collaborazione con @poitelopresto

SCHEDA
Incluso da «Der Spiegel» nella lista dei cento libri tedeschi più importanti degli ultimi cent’anni, Tutti i nostri segreti è un grande romanzo familiare in cui dramma e ironia si fondono perfettamente: la commovente storia di una famiglia intrappolata tra passato e presente, tra una patria perduta e sempre rimpianta, e una nuova terra mai davvero sentita propria…. (fazieditore.it)
Autore: Fatta Aydemir
Editore: Fazi
Collana: Le strade
Anno: 2025