voce
N.35 Novembre 2022
La voce di Toni Capuozzo è una finestra sul mondo
È stato ospite di una serata a Cascina Moreni il giornalista ha raccontato nella sua carriera i conflitti che hanno infiammato la nostra epoca attraverso le storie e i nomi delle persone
La sua voce, come le sue occhiaie, sono entrate nelle case di milioni di italiani. Abbiamo imparato a conoscerle durante le lunghe dirette sotto le bombe nei Balcani, e poi in Afghanistan, Terra Santa, America Latina, Africa. Non c’è quasi conflitto al mondo che Toni Capuozzo non abbia seguito, con rigore e libertà, e che non ci abbia raccontato in televisione o nei suoi libri. Il rigore della narrazione è sempre coinciso con la capacità di fotografare storie, istanti, particolari che restituivano anche a noi – che seguivamo quei conflitti seduti sul divano – un istante di verità.
È stato così quando attraverso la lenta agonia degli animali dello zoo di Sarajevo (l’ultimo a morire fu un enorme orso bruno, nel novembre del 1992) riuscì a trasmettere l’orrore di una guerra che mangiava via tutto: i sogni di grandezza di una città, inghiottiva i suoi abitanti e perfino quello spazio che fino a poco tempo prima era stato il vanto del Paese.
Fu sempre la sua voce a farci conoscere Admira Ismić e Boško Brkić, i due fidanzati uccisi mentre tentavano di fuggire sul ponte Vrbanjia: lei aveva 25 anni ed era musulmana, lui era serbo ortodosso. Vennero uccisi da 30 colpi sparati dai cecchini serbi, crollarono tenendosi la mano. Rimasero così per otto lunghi giorni, prima che qualcuno riuscisse a recuperarne i corpi. E altri tre lunghi anni prima di trovare sepoltura nel cimitero di Sarajevo. Il loro amore aveva resistito all’odio etnico che aveva lacerato l’ex Jugoslavia – racconterà Toni – ma non vi era nessuna consolazione nel loro finale tragico, consumato sulle rive della Miljacka.
Ci ha portato sulle montagne afghane, ma è stato anche la voce che ha raccontato i cento anni del partito comunista italiano (Il sogno di una cosa), ha scavato a fondo nel caso dei due marò e dell’intricato caso internazionale tra Italia e India, ci ha fatto commuovere portando alla luce le storie degli italiani morti a Nassirya e salvando la vita a un bambino mutilato e orfano che oggi è diventato come un figlio.
Il mese scorso è stato a Cremona, invitato dal centro culturale sant’Omobono per presentare il suo ultimo libro dedicato ai 30 anni dalla guerra dei Balcani. La cornice scelta è stata, non a caso, Cascina Moreni ,sorta in ricordo di Fabio Moreni, ucciso proprio in quel conflitto mentre portava aiuti alla popolazione.
E nel ricordo di Fabio, la voce di Capuozzo è risuonata roca e sicura come quando conduceva “Terra” su Mediaset. Il sacrificio di Fabio e l’impegno della Fondazione che porta il suo nome, infatti, sono più vivi che mai. «Sono un disilluso, non cerco i finali a lieto fine. La guerra è una cosa brutta e ne ho viste tante, troppe nella mia vita. L’uomo può essere malvagio e spietato. Ma non posso non ammettere che esistono alcuni momenti – come quando penso al lavoro che faceva Fabio con altri italiani – che gettano un po’ di luce. Ed è bello sapere che ancora oggi la Fondazione continua portando aiuti in Ucraina».
Zero retorica, occhiaie sempre più gonfie, voce graffiata dal fumo di mille sigarette, giornalisti “in prima linea” come Toni Capuozzo sono stati (e sono) i nostri occhi. In qualche caso, anche la nostra voce.