regole
N.54 novembre 2024
Le regole del Baskin, modello di equità… dentro e fuori dal campo
Grazie alle sue regole, il Baskin coinvolge nella stessa competizione giocatori che si muovono su una carrozzina elettrica come giocatori di basket professionisti, in un costante equilibrio tra forze e fragilità
Il Baskin è uno sport inclusivo nato a Cremona nei primi anni 2000 e presto adottato con successo in molte città e regioni italiane e anche all’estero. Alla base di questa attività, che permette a persone normodotate e persone con disabilità di giocare insieme ed essere ugualmente determinanti per la competizione, ci sono regole complesse e in continua evoluzione. Regole che nel corso della gara non prevalgono sul gioco, non lo frammentano né sovrastano la bellezza di questo gioco e l’entusiasmo dei giocatori, ma senza le quali la sua “magia” non sarebbe possibile.
Ne abbiamo parlato con Francesco Longhi, formatore, allenatore, membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione Baskin, che ci ha spiegato che questo sport inclusivo «funziona grazie alla sua particolare architettura regolamentare. L’inclusione è il frutto di precise scelte tradotte in regola per raggiungere l’obiettivo di coinvolgere la maggior parte della varietà umana, garantendo a ciascuno una possibilità di espressione equa e reale». Mentre parliamo Longhi cita Noam Chomsky e Michael Schwab, per sottolineare come le regole siano necessarie perché il “governo del buonsenso”, che pure sarebbe un traguardo fondamentale, non è di fatto attuabile, essendo il buonsenso «soggettivo e molto variabile da persona a persona».
Anche le regole, tuttavia, soggiacciono a «diverse tipologie che per comodità possiamo definire a seconda dell’effetto che generano: secondo la legge ci sono regole che permettono, regole che proibiscono, regole che impongono e, allontanandosi dalla semplice classificazione normativa, possiamo definire regole che uniscono o separano, regole che ingabbiano o valorizzano, regole che aiutano o mettono in difficoltà, regole che creano o dividono, regole che bilanciano un’ingiustizia o che la ingigantiscono».
Quando Antonio Bodini e Fausto Cappellini inventarono il Baskin avevano in mente una società ideale e migliore, il cui seme fosse piantato in un gioco che mettesse «in campo, assieme, abilità e disabilità, forze e fragilità, uomini e donne, persone di ogni età; tutte le categorie di persone esistenti nella nostra società in uno sport progettato per tutti».
Inclusione, vera, concreta, efficace. Ma per generare vera inclusione servivano regole in grado di dar vita a «un unico grande gruppo che racchiude tutti quanti, grazie alla creazione di un ambiente nuovo con strumenti e regole apposite che permettono la partecipazione e la valorizzazione di tutte le diversità» nell’ambito di una vera competizione sportiva.
Fu da subito chiaro che il Baskin aveva bisogno di «regole eque, che sapessero conservare al loro interno la stessa essenza del sogno che intendevamo raggiungere, permettendoci di sperimentarlo e di viverlo quotidianamente».
Le regole, però, sono soltanto un mezzo per raggiungere uno scopo; esse permettono il riconoscimento dei diversi punti di partenza che ognuno ha rispetto agli altri per ragioni genetiche, economiche, educative. Lo compresero da subito i suoi inventori e tutte le persone che li accompagnarono con entusiasmo nel percorso di questo nuovo sport, la cui idea fondante è quella di «creare un’attività che renda partecipi e protagonisti tutti i giocatori indipendentemente dal loro livello di abilità; uno sport che non sia solo per chi ha o non ha una disabilità». Una terza via rispetto agli standard attuali degli sport olimpici e paralimpici.
È bene sottolineare la macroscopica differenza che intercorre tra il concetto di inclusione e quello di integrazione. Fare inclusione non significa mettere insieme (integrare) persone diverse nello stesso contesto, mantenendo di fatto un confine tra gruppi diversi di persone e non garantendo i presupposti necessari affinché si possa davvero praticare l’inclusione, che invece richiede la creazione di un nuovo contesto adattato alle caratteristiche e alle necessità dei suoi partecipanti.
Per raggiungere questo scopo Bodini e Cappellini scelsero uno sport che conoscevano bene e che si prestava alla realizzazione del loro sogno; «il Basket è stato il punto di partenza e il Regolamento del Baskin è nato strada facendo, giorno dopo giorno, direttamente sul campo, osservando cosa funzionasse e cosa andasse migliorato, ricercando le soluzioni migliori per garantire la partecipazione attiva di tutti giocatori».
Da allora in poi sono arrivate, gradualmente, tutte le modifiche al campo e alle sue strutture che hanno reso concreta e realizzabile quell’apparente utopia. «Le regole del Baskin sono costruite attorno ai giocatori e alle loro esigenze. Sono progettate a misura di giocatore, un’esigenza alla volta, atleta dopo atleta, fino a diventare Designed for all – progettato per tutti».
«Le regole del Baskin sono costruite attorno ai giocatori e alle loro esigenze. Sono progettate a misura di giocatore, un’esigenza alla volta, atleta dopo atleta, fino a diventare Designed for all, progettate per tutti»
Ancora oggi il Regolamento si aggiorna anno dopo anno, con regole che vengono modificate o aggiunte sulla base di ciò che si osserva sul campo, con l’obiettivo di dar vita a sfide sempre più eque e inclusive.
Le molte persone che oggi fanno funzionare il Baskin, che per le sue peculiarità rappresenta una vera e propria anomalia nel panorama sportivo mondiale, hanno le idee molto chiare su cosa significhi inclusione e sugli obiettivi che le regole di questo sport devono perseguire. «Nel Baskin non c’è spazio né per il pietismo, né per l’assistenzialismo. Chi gioca deve farlo dando il massimo di quel che può e le persone normodotate non devono autolimitarsi per coinvolgere chi è più fragile ed evitare che resti escluso», ma essere consapevoli che il contributo di ciascuno è fondamentale, perché fa bene al gioco e porta punti importanti. Il cuore pulsante delle regole di questo sport è proprio questo: «Ogni giocatore, qualunque sia la sua abilità, viene coinvolto perché il proprio contributo porta un beneficio concreto al risultato collettivo di squadra».
Ciò che un “miracolo” come quello del Baskin urla fortissimo a chiunque abbia orecchie e cervello per intendere è che partire dalla retorica del “siamo tutti uguali” non penalizza solo chi presenta delle fragilità, ma nuoce a tutte le persone, ciascuna delle quali ha le sue caratteristiche e le sue capacità. Valorizzare e tutelare queste, anziché tentare di far emergere a tutti i costi quelle che non ci sono, è la strada maestra verso l’equità. «È giusto che ad ogni giocatore venga riconosciuto il merito della fatica necessaria a esprimere il massimo che è in grado di raggiungere. Se giocassimo tutti con le stesse regole parleremmo di uguaglianza: regole e metriche di valutazione uguali per tutti, come accade nella quasi totalità degli sport esistenti. Nel Baskin, invece, un sistema basato sull’uguaglianza non funzionerebbe poiché, diversamente dagli sport tradizionali, il livello di abilità degli atleti è enormemente variegato e, a parità di regole identiche per tutti, chi ha più abilità partirebbe con un vantaggio incolmabile rispetto a chi ne ha di meno».
«È giusto che ad ogni giocatore venga riconosciuto il merito della fatica necessaria a esprimere il massimo che è in grado di raggiungere»
Nel parlare di questi aspetti a Francesco Longhi brillano gli occhi: «Don Milani sosteneva che “non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra disuguali”. Nel Baskin non serve uguaglianza, serve equità, serve dare a ogni ruolo ciò che è necessario per bilanciare la situazione di partenza».
Per far questo, nel Baskin esistono due gruppi di regole, alcune generali e valide per tutti i ruoli, e altre valide solo per i singoli ruoli. Ogni ruolo, contrassegnato con numeri dall’1 al 5 in funzione della crescente abilità dei giocatori, possiede delle regole specifiche, che fungono da contrappeso per equilibrare l’impatto di ogni ruolo sul gioco. I ruoli che presentano meno abilità beneficiano di regole che tendono a valorizzare maggiormente il proprio contributo, mentre i ruoli con più abilità devono sottostare a regole che ne limitano l’impatto sul gioco e sul risultato. Come già sottolineato, questo non significa che i giocatori più abili debbano limitarsi e giocare meno bene o “più piano” di ciò che potrebbero. I limiti imposti influiscono infatti sulla quantità, non sulla qualità della loro prestazione, cosicché per questi, come per i giocatori con disabilità, «la sfida che ognuno deve affrontare è proporzionata rispetto alle capacità. Una sfida troppo facile sarebbe un atto di pietismo che non renderebbe merito a ciò che l’atleta è in grado di esprimere impegnandosi, oltre a non essere neppure divertente per l’atleta stesso, laddove il margine di errore e difficoltà tendesse allo zero. Per contro, una sfida troppo difficile obbligherebbe l’atleta a cercare risorse di cui non dispone e non può disporre, creando iniquità, oltre a forte frustrazione».
Grazie all’architettura regolamentare del Baskin si crea dunque un sistema di gioco equo, una sinfonia di 5 ruoli diversi tra loro in cui si prende il massimo che ogni giocatore può dare e lo si bilancia in modo proporzionato, cosicché ogni ruolo possa effettivamente risultare protagonista e determinante per l’andamento dell’incontro e questo risulti avvincente anche per chi lo guarda dall’esterno, assistendo a una vera competizione.
È grazie a queste regole che possiamo veder giocare assieme, sullo stesso campo, giocatori che si muovono su una carrozzina elettrica e giocatori di basket professionisti, con tutte le sfumature che si possono trovare nel mezzo, in un costante equilibrio tra forze e fragilità.
Nel perseguimento del sogno di una società migliore e sempre più equa, continua Longhi, «il Baskin non è il punto di arrivo, ma quello di partenza. L’attività sportiva è il punto di partenza, che si materializza attraverso l’adattamento degli spazi, del materiale e delle regole».
Ed è proprio il termine “adattamento” a creare insieme alla parola “regole” un binomio potentissimo, capace di creare quella «cultura dell’adattamento che può generare un grande cambiamento e rendere il mondo adatto alle possibilità di tutte le persone e di ciascuna di loro. Ciò che è avvenuto nello sport può accadere ovunque: scuola, lavoro, tempo libero, politica… Per farlo servono però delle regole che ci portino verso una “legge dell’inclusività”, grazie alla quale tutti possono e devono partecipare, contribuendo ciascuno con ciò che è nelle proprie facoltà, con il diritto che ciò sia opportunamente riconosciuto e valorizzato».
A vent’anni dalla sua creazione, l’esperienza del Baskin ha contribuito alla nascita dell’EISI – Ente Italiano Sport Inclusivi, un ente di promozione paralimpica anch’esso anomalo nel panorama mondiale, essendo l’unico che prevede al suo interno tesserati con e senza disabilità.
«La sfida», conclude Francesco Longhi, «è quella di portare la filosofia del Baskin negli altri sport, come un “virus buono” che contagia tutto ciò con cui entra in contatto. Oltre al Baskin attualmente esistono, in forma definitiva o sperimentale, la Boccia inclusiva, il Calcio a 5 inclusivo, il Calciobalilla inclusivo, la Ginnastica inclusiva. La speranza è che presto l’offerta sportiva inclusiva sia la più ampia possibile cosicché ognuno possa scegliere lo sport più affine ai propri gusti e inclinazioni».
Una sfida e un “virus” che devono contagiare tutta la società, abbattendo tutte le barriere che oggi ancora dividono le persone e le classificano in base alle diverse abilità, discriminando anziché includere e premiando le possibilità delle persone – fisiche, psichiche, economiche… – anziché il loro vero merito: mettere a disposizione del bene comune ciò che hanno, al meglio di ciò che possono, generando sinergie positive e portando la nostra civiltà verso un futuro più equo.