domani

N.07 Gennaio 2020

CANZONI

Trasmettere o tradire: una scelta di cultura

"Cosa conservare e cosa cedere? Dopo ogni scelta arriva il conto. Guardo fisso avanti il filo e sono in bilico nelle insidie di ogni cambiamento tra le forze che da sempre mi dividono: tradizione e tradimento" Niccolò Fabi - "Tradizione e tradimento"

Con la finezza di una scrittura molto attenta al significato profondo delle parole, nel suo ultimo album Niccolò Fabi ha indagato con acume ed emozione il senso del tempo e delle scelte attraverso le quali soltanto siamo in grado di legare al domani il nostro passato.
Andare incontro al futuro significa tenersi in equilibrio, continuare a scegliere, con la consapevolezza che ci sarà un conto da pagare. La scelta è un’insidia, alla cui base stanno due forze opposte e complementari che spingono l’una a “conservare” e l’altra a “cedere”: la ‘tradizione’ e il ‘tradimento’. Dietro a questi due concetti così distanti c’è etimologicamente un unico verbo latino, tradere. Un verbo che ha al suo interno la radice di dare, e che indica quindi letteralmente l’azione di affidare, di consegnare qualcosa a qualcuno. Un verbo che – come ha colto bene Niccolò Fabi – ha molto a che vedere con la responsabilità, con il flusso del tempo, e quindi con quello che possiamo umanamente scegliere di trattenere e di affidare a chi verrà dopo di noi.
Da filologa classica, mi interrogo ogni giorno su che cosa significhi davvero ‘tradizione’, una parola che chi studia i testi antichi e chi si occupa in generale di cultura incontra spesso con significati anche tecnici e (iper)specialistici. Uno dei compiti del filologo, per esempio, è quello di studiare la “tradizione dei testi”, ovvero di individuare e mettere in rapporto tra di loro i codici manoscritti grazie ai quali il testo di un autore antico è stato tramandato, oppure di ritrovare nei testi di autori posteriori pezzi di citazioni di scrittori precedenti e così di ricostruire quella che si chiama la “tradizione indiretta”.

La tradizione
è un atto di amore
che lega il passato
al futuro

Quando si lavora su questi “frammenti” di una cultura che fu attuale più o meno circa duemila anni fa, non si può fare a meno di chiedersi chi e in base a quale criterio ha deciso di conservare proprio quelle parole con cui un poeta di Verona invita la sua amata a dargli “mille baci e ancora cento” o quelle con cui un poeta di Venosa esorta ad “afferrare il giorno” che sfugge. E quando si riflette sul fatto che solo per un insieme di casi fortuiti possiamo leggere i versi in cui Lucrezio descrive il dio Marte abbandonato tra le braccia di Venere che gli chiede la pace, non si può non essere presi da un brivido di gratitudine misto a un grande senso di responsabilità. Una responsabilità che bisogna accogliere con entusiasmo nel momento in cui si trasmette e nel momento in cui si riceve il dono della memoria culturale. La cura dei testi antichi, il desiderio di conoscenza, la necessità di apprendere anche gli aspetti più tecnici del sapere sono la base di questa ‘tradizione’ che di fatto è un movimento che assecondiamo come protagonisti e non già una zavorra di cui troppo sbrigativamente qualcuno pensa di doversi liberare.
In questo mondo che ci tenta con la sua apparentemente ineluttabile velocità, bisogna fermarsi un momento a guardare fisso avanti il filo su cui ci teniamo in equilibrio, e a percepirsi in bilico, a prendere coscienza del flusso e delle sue insidie. La ‘tradizione’ è un atto di amore che lega il passato al futuro. Un atto di amore che la pratica della filologia e la trasmissione della nostra memoria culturale permettono di esercitare con responsabilità e speranza.