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N.57 febbraio 2025
Il volo di un elicottero… a testa in giù
Abbiamo visitato "A helicopter upside down", la suggestiva installazione di Paola Pivi che ha collocato un Agusta 109 (ribaltato) nella chiesa sconsacrata di San Carlo, nuovo spazio per l'arta contemporanea nel cuore di Cremona


(foto: Attilio Maranzano. Courtesy San Carlo Cremona)
Un elicottero rovesciato in una chiesa sconsacrata. Se non fa notizia questo, cosa potrebbe farlo? (spoiler: è solo la punta dell’iceberg).
Certo, per Cremona è una novità, anche piuttosto dirompente (e, confesso, anche per la sottoscritta che vive di pane e arte da quasi due decenni). Ma non per il mondo, che conosce Paola Pivi da circa trent’anni.
Giusto per capirci: le sue opere sono presenti in prestigiose collezioni permanenti fra cui quella del Guggenheim Museum di New York, del Centre Pompidou di Parigi, della Fondazione Sandretto Re Baudengo e del Castello di Rivoli a Torino, e del MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo a Roma. Ha vinto un Leone d’Oro alla XLVIII Biennale di Venezia per il migliore padiglione nazionale nel 1999 e la fellowship alla American Academy a Roma nel 2011. E non è nemmeno nuova a questi interventi, in cui mezzi di trasporto ribaltati destabilizzano la percezione del pubblico. Tra i suoi lavori precedenti figurano Camion (1997), a Pescara, costituito da un tir rovesciato su un fianco, Senza titolo (aereo) (1999), un aereo da caccia capovolto presentato alla stessa Biennale di Venezia che le è valso il premio citato poco fa, e l’elicottero Westland Wessex esposto sottosopra nel 2006 a Salisburgo durante il festival Kontracom06.
Questi i dati per disegnare un altissimo profilo, che emerge prepotente fin dall’inizio di una breve ma densissima chiacchierata con l’artista in un soleggiato, gelido pomeriggio di fine febbraio. Timidi raggi riverberano sulla polvere dei secoli dell’ex chiesa di San Carlo, creando uno scioccante contrasto con i riflessi metallici dell’Agusta 109 riportato agli antichi splendori per l’occasione.

Ci posizioniamo in un angolo della chiesa, oltre l’opera, che guardiamo in diagonale cercando di ignorare il freddo che ci penetra nelle ossa.
La prima impressione è quella di un ammasso di ferraglia inerte, che per quanto elegante e sofisticato, sembra aver perso il suo respiro vitale, come un insetto fatalmente non più in grado di girarsi sul lato giusto. Poi, più lo guardo e ascolto l’artista, più prende forma un substrato filosofico e concettuale che sembra farlo respirare di nuovo. Sbircio il titolo dell’installazione: A helicopter upside down, e mi riecheggia il sottosopra di Stranger Things, con tutto il suo carico d’inquietudine.
Mentre processo questi stimoli, la conversazione prende avvio con un incipit tranchant: nella grande arte non c’è un’intenzione precisa che può essere spiegata. Solo i mediocri ti dicono cosa significano le loro opere: la vera arte spesso va oltre l’idea del (grande) artista.
E pur tuttavia la prima legge della comunicazione parla chiaro: non si può non comunicare. Se ho imparato qualcosa dal mondo dell’arte, poi, è che gli spiriti creativi sono particolarmente ricettivi agli stimoli e rispondono in maniera sensibile, originale, profonda… anche quando sono soffocati da regole e limiti. E non è, fortunatamente, il caso di Paola Pivi, che ribadisce la centralità del libero arbitrio («free will», lo chiama più volte), l’intrinseco potere trasformativo e la potenzialità infinita delle prospettive che un’opera d’Arte (con la A maiuscola) può offrire. Più la conversazione prosegue, infatti, e più si dispiega il ventaglio di differenti intenzioni comunicative. In primis quella del volo, che fa parte del curriculum dell’objet trouvé, quell’elicottero che tanto avrà volato prima di essere dismesso, e che quindi porta ancora oggi la possibilità del volo. Certo, non così. Un volo ancor più impossibile, visto il contesto chiuso dell’esposizione, che però non costituisce un limite alle sue capacità. Anzi, nel nostro caso ha rappresentato proprio il movente per la realizzazione del progetto. Che era lì, nel portfolio di ricerca pura portata avanti dall’artista, e che cercava il momento e il luogo giusto per avvenire. Quando la trama delle relazioni lo ha reso possibile, l’incontro con Lorenzo Spinelli e Form. The Creative Group, con la sua essenza non-profit, e la visita alla location hanno fatto scattare la serratura dell’entusiasmo.
La bellezza risiede proprio in questo: l’artista non lavora da sola, ma instaura un dialogo sociale che porta la sua idea, attraverso le mani di tanti altri (chi produce, chi restaura, chi organizza, chi comunica), nel mondo.
E così, quasi per incanto, la sua libertà è tutelata, così si va contro il facile mercato dell’arte, così si arriva anche a chi non è del settore. Anzi, nel caso di Paola Pivi, per sua stessa ammissione, la sua comprensibilità permette l’ingresso di estranei al mondo dell’arte contemporanea.
E se non è comunicare significati questo, cosa lo è?
Esco, un po’ ribaltata come l’elicottero, da San Carlo e da quella conversazione. Ho la sensazione che mi sfugga qualcosa. Ma forse è questa l’intenzione vera dell’artista, da leggere tra le righe delle sue parole, in bilico tra gioco e mistero, tra straniamento e divertimento.
La mostra è ora visitabile, come di consueto per la location di via Bissolati 33, previo appuntamento oppure a weekend alternati. Consiglio: seguite i profili social di San Carlo per rimanere aggiornati.
E speriamo che questa notizia risuoni ad ogni angolo della città, perché di spiccare un nuovo volo abbiamo tutti sempre bisogno.