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N.52 Settembre 2024

convegno

L’affido, dono ai ragazzi, alle famiglie, alla comunità

Il Girasole - Associazione Famiglie Affidatarie Odv ha organizzato un convegno in cui l'istituto dell'affido famigliare è stato affrontato da diverse prospettive con la testimonianza di Cristiano Guarneri, genitore affidatario, e l'intervento del giudice del Tribunale dei Minori di Brescia Federico Allegri

Nascere, crescere maturare. Essere figli, bambini, adolescenti e poi adulti, in un percorso che è simile per tutti, almeno all’apparenza, ma estremamente diverso per ciascuno. Unico. Quel che ci accomuna è ciò di cui abbiamo bisogno, benché questo stesso aspetto possa variare con l’età, le condizioni, le inclinazioni personali, la cultura, il genere e tutti gli altri infiniti fattori che fanno di ciascuna di noi una persona, un individuo immerso nel mondo e nella società.

Pur nella peculiarità di queste differenze, tuttavia, ci sono bisogni profondi che condividono tutte le persone e tutte le età: essere amati, accuditi, compresi, accolti. Essere curati. Nessuna persona può dirsi veramente felice o realizzata se questi bisogni non sono soddisfatti, anche se con il passare degli anni si vive la loro eventuale carenza in modo più razionale e con maggiore capacità di sopportazione.

L’evento Affido: risorsa e impegno di comunità, che si è tenuto il 14 settembre a Cremona, organizzato da Il Girasole – Associazione Famiglie Affidatarie Odv, ha trattato questo aspetto in molti modi e sotto diverse angolature, grazie agli interventi del giudice del Tribunale dei Minori di Brescia Federico Allegri e di Cristiano Guarneri, giornalista, scrittore e affidatario.

Come sottolineato dalla presidentessa del Girasole Sara Chan, l’evento è stato pensato come un importante momento di valorizzazione dell’affido come strumento per la comunità, oltre che per famiglie e minori. Un aspetto che il giudice Allegri ha confermato in modo esplicito, evidenziando come le famiglie affidatarie svolgano un importante servizio sia alle istituzioni – rendendo possibile l’attuazione delle misure disposte dai tribunali in materia di affido – sia a tutta la comunità, su cui grava il peso, anche economico, dei bambini e delle bambine che non trovano collocamento presso una famiglia, a lungo o a breve termine, ma anche part-time o in affiancamento e sostegno alla famiglia d’origine o alle comunità che li ospitano.

Dopo l’introduzione della presidentessa, l’evento si è aperto con la testimonianza di Cristiano Guarneri, che insieme alla moglie Silvia ha avuto l’esperienza di accogliere quattro ragazzi, di cui uno affetto sin dalla nascita da encefalopatia multicistica con sindrome di West.

Un grande viaggio, quello raccontato da Guarneri, che ha sintetizzato esponendo in cinque punti ciò che per lui e per sua moglie abbia significato e significhi tuttora la grande responsabilità, ma soprattutto il privilegio, di essere genitori affidatari.

Guarneri ha esordito premettendo che per lui «è impossibile essere dei buoni genitori, naturali o per affido che sia, se non si è per prima cosa consapevoli del proprio ruolo di figli: in qualche modo, infatti, si è figli dei propri genitori, della propria storia e delle relazioni che ne sono scaturite, ma anche della propria compagna o compagno di vita e addirittura dei propri stessi figli, che ci insegnano che la cosa essenziale della vita è la cura: amare ed essere amati. Questo vale per tutti: figli, genitori, compagni. I rapporti che ci generano e ci definiscono». Non si è padri né madri se non si è innanzitutto figli e l’esperienza di Guarneri e di sua moglie lo dimostra, anche nel modo in cui sono arrivati all’idea dell’affidamento, attraverso l’esempio di una coppia di amici che gli hanno fatto comprendere quanto questo cerchio sia fondamentale, per imparare ad amare davvero.

«È impossibile essere dei buoni genitori,
naturali o per affido che sia,
se non si è per prima cosa consapevoli
del proprio ruolo di figli»

Questo è il senso più profondo dell’invito di un’associazione come Il Girasole, che nasce dall’esigenza di promuovere l’istituto dell’affido familiare, ma anche di rappresentare per gli affidatari una famiglia più grande su cui poter contare per condividere esperienze, per ottenere supporto e aiuto, ma anche per garantire un tempestivo intervento nelle situazioni di emergenza. L’affido, infatti, serve non solo in situazioni di degrado, violenza, difficoltà economica, ma anche quando i genitori si trovano impossibilitati a prendersi cura dei propri figli per un grave incidente o per una delle molte circostanze sfavorevoli che la vita a volte presenta.

Quello dell’affidamento è un grande percorso di amore e di cura. Lo sottolinea Cristiano Guarneri, precisando che le prime persone di cui dobbiamo prenderci cura siamo noi stessi. Una cura che avviene in cammino, in relazione, in un percorso che l’affido favorisce e rafforza, aprendo chi accoglie a uno sguardo nuovo sul mondo e sulla vita, prima ancora che sulle relazioni.

Nel racconto di Guarneri trova posto un concetto fondamentale: «Gli affidatari non devono sostituirsi ai genitori, ma devono essere presenti, cercando ove possibile una collaborazione con la famiglia d’origine ma, laddove questa non ci fosse, rappresentando per i ragazzi in affido una presenza sicura, non sostitutiva ma compensativa».

Esserci come genitori è la vera missione degli affidatari, in contrapposizione a chi vede in questo ruolo funzioni correlate all’educazione, alla vigilanza, alla mera assistenza. «Ciò di cui ha davvero bisogno una vita che viene strappata da un contesto – sottolinea Guarneri – è di ritrovare prima possibile un altro contesto in cui piantare radici».

Per quanto breve possa essere un’esperienza di affido, quando quelle radici sono spuntate daranno sempre origine a una continuità affettiva che durerà nel tempo, come peraltro è da tempo garantito anche dal punto di vista legale (legge 173/2015), a tutela dei ragazzi affidati e delle famiglie affidatarie, rendendo possibile la «continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l’affidamento».

Proprio nella direzione dell’aggiornamento normativo è andato l’intervento del giudice Allegri, che dopo una sentita premessa sull’importanza delle associazioni e delle realtà che entrano in sinergia con le istituzioni, ha messo in evidenza alcuni punti in relazione alle evoluzioni normative tra riforma Cartabia e disegno di legge del governo Meloni.

Il giudice ha tracciato un profilo esaustivo delle opportunità legate all’affido, con particolare riferimento alle sinergie tra famiglie, servizi, e tribunale. Contesti in cui la riforma Cartabia non ha inciso in modo significativo, se non puntualizzando in pochi nuovi commi alcune prassi che erano già consolidate e mettendo alcuni paletti.

Il giudice ha poi evidenziato la necessità di ampliare la platea delle famiglie affidatarie, perché le esigenze dei tribunali sono molte e, spesso, capita di non riuscire a dare corso alle disposizioni dei giudici per mancanza di famiglie cui affidare i ragazzi.

Ma perché ci sono poche famiglie affidatarie? Su questo punto il giudice Allegri ha messo in evidenza come le pubbliche amministrazione, indicate dalla legge come soggetti cui spetta anche la promozione di questo istituto, non siano sempre efficienti rispetto a questa esigenza, lasciando la promozione all’esempio positivo delle famiglie affidatarie e alle eventuali associazioni che si occupano di promuoverlo.

Allo stesso modo, i servizi di valutazione di chi si candida devono essere solleciti e garantire così una riserva di energie e disponibilità per le emergenze, che sono situazioni che troppo spesso ricadono su case famiglia e comunità. «Un minore accolto in famiglia è un minore protetto e nutrito in senso materiale e spirituale – continua Allegri – ed è un servizio ai ragazzi, alle famiglie in difficoltà, ma anche un servizio alle istituzioni e alla collettività, oltre che alla famiglia affidataria stessa».

«Un minore accolto in famiglia
è un minore protetto e nutrito
in senso materiale e spirituale
ed è un servizio ai ragazzi,
alle famiglie in difficoltà,
ma anche un servizio
alle istituzioni e alla collettività»

L’affido può essere una grande fatica per la famiglia che accoglie, ma anche una grande ricchezza. A margine del convegno ne abbiamo parlato anche con un’altra famiglia dell’associazione Il Girasole. Barbara e Stefano hanno intrapreso la strada dell’affido a coronamento di un percorso nato dalla lettura del libro di Cristiano Guarneri Ho imparato a chiamarti figlio, che Barbara aveva letto prima ancora di conoscere Stefano.

La loro prima storia di affido è iniziata a seguito di un percorso abbastanza rapido, che in meno di un anno, nel 2017, li ha portati ad avere il primo affido, poi coronato più avanti con un secondo. Anche nel loro caso la continuità affettiva è centrale, sia perché si tratta di due affidi lunghi, sia perché hanno maturato la consapevolezza che l’esperienza d’amore che stanno vivendo non si esaurisce comunque con la questione burocratica dell’affido. La legge definisce durata e tipologia del rapporto, ma l’affetto non segue altra legge che quella del cuore.

Quella di Barbara e Stefano è un’esperienza di affido estremamente positiva e con poche salite, ma pur nella relativa semplicità delle due situazioni in cui sono intervenuti a fare da mamma e da papà, ciò che raccontano è un percorso in cui si sono dovuti guadagnare nel tempo la fiducia dei ragazzi a loro affidati e hanno dovuto lavorare sulla loro serenità e sicurezza.

«La prima esperienza non è stata semplice né come ce l’aspettavamo. Dall’altra parte c’era un bambino che non voleva andar via dalla sua famiglia, che per lui andava bene così com’era, quindi vedersi catapultato in un contesto del tutto diverso e con una coppia alla prima esperienza di affido non è stato semplice». Questo è uno degli aspetti cui si fa fatica a pensare, quando si ragiona sull’affido. Chi viene portato via da una famiglia, per problematica che sia, non riesce ad abituarsi subito a uno stile di vita più regolare, scandito da orari, impegni e organizzazione, ma il tempo in questo è galantuomo e l’amore di chi accoglie riesce in poco tempo a fare quasi sempre miracoli.

«La prima esperienza non è stata semplice
né come ce l’aspettavamo.
Dall’altra parte c’era un bambino
che non voleva andar via dalla sua famiglia,
che per lui andava bene così com’era»

«Se alla fine ce l’abbiamo fatta è perché abbiamo capito che a lui piacevamo e che aveva soltanto bisogno di tempo per abituarsi a una vita nuova, che poteva dargli serenità e sicurezza, oltre che amore», ci dice Barbara. «Una delle chiavi di lettura – aggiunge Stefano – è stata nella cura, ad esempio la cura del cibo, e soprattutto il fatto di essere finalmente visto e considerato, cosa cui non era abituato nella famiglia d’origine».

Superare queste difficoltà iniziali è anche una questione di rete. Scuola, parrocchia, sport e tutte le realtà che un ragazzo frequenta sono sinergie fondamentali nel sostegno della famiglia affidataria. Una sorta di accerchiamento positivo che contribuisce alla serenità e che può essere ulteriormente avvalorato dal contributo della famiglia d’origine, se questa è collaborativa.

Dalla chiacchierata con Barbara e Stefano è emerso infine un altro caposaldo, poi confermato anche dal racconto di Cristiano Guarneri. Per i ragazzi che arrivano da situazioni problematiche una delle chiavi di relazione consiste nell’opportunità che gli si offre di essere finalmente un bambino e di non dover bruciare le tappe e crescere troppo in fretta. Affidarsi agli adulti, non dover temere che dimentichino ciò che importa davvero.

Da questa coppia felice arriva anche un incoraggiamento a chi fosse indeciso se provare l’affido: «Abbiate coraggio, non temete di non farcela. Se sentite di avere amore da donare a un figlio, quella dell’affido è una strada percorribile, in cui imparerete ad amare i ragazzi che accoglierete come e più che se fossero vostri. È un grande dono che si fa, ma anche un arricchimento senza fine, perché l’amore non finisce e, lunga o breve che sia l’esperienza di affido, quello che avrete seminato darà frutti meravigliosi».

Rendersi disponibili all’affidamento è un grande regalo che si fa alla vita, alle persone, alla comunità e a se stessi, che associazioni come Il Girasole possono aiutare a concretizzare e a portare avanti in modo sostenibile.