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N.50 maggio 2024

di anno in anno

L’ultimo giorno dei… quadretti grandi

Ultimo giorno di scuola. Gaia saluta i suoi "colibrì" dopo averli accompagnati per cinque anni... E loro salutano lei

«Buongiorno maestra – a raggiungerla è la voce della custode – forza, che finalmente ci siamo. Da
domani, vacanza!». Gaia abbozza un sorriso, solo con le labbra, mentre inizia a salire le scale
dell’istituto.
Mentre varca la soglia dell’aula, pensa che questo sarà il suo primo vero ultimo giorno di scuola. Ne
ha vissuti molti, nella sua vita, ma non ha mai salutato una quinta dopo averla accompagnata per
l’intero percorso della scuola primaria. Li ha accompagnati nel riempire pagine e pagine di quaderni – a quadretti grandi, in prima – pensa che da ora in poi saranno loro a scriverne di nuove.
Ad interrompere i suoi pensieri è l’arrivo dei ragazzi, che portano con loro zaini piccoli e sorrisi
grandi. Gaia li osserva, dalla sua postazione privilegiata, mentre scambiano battute, carte Pokemon
e qualche sguardo complice con il vicino di banco. Non ha intenzione di fare lezione, ma
cerca comunque di richiamare l’attenzione dei suoi studenti. Dei suoi colibrì. È questo il nome
scelto per la classe fin dalla prima, e non è mai stato cambiato.
«Fagiolotti, tutti presenti?».
Non ha bisogno di chiederlo, ma di celebrare il consueto rito. Infatti, la risposta non tarda ad
arrivare.
«Presenti tutti, bagnati o asciutti».
Tra le risate che, ormai da cinque anni, accompagnano quel momento, Gaia afferra una
consapevolezza: ha appena vissuto una nuova ultima volta. Sente immediatamente il bisogno di
voltarsi, di cercare un libro nell’armadio. Di non mostrare gli occhi già arrossati ai suoi alunni.

«Cosa facciamo oggi?».
La domanda di Matteo arriva al momento giusto per riportarla alla realtà.
«Ho pensato ad un’interrogazione su tutto quello che abbiamo fatto quest’anno, così vi preparate
per le medie. Che dite?».
Il silenzio cala, improvviso, sulla 5B, sui colibrì.
«Io me ne vado a casa».
Poche parole, pronunciate con un inconfondibile accento romano. È Teresa, per forza. Nessuno
avrebbe mai pensato di essere così lapidario, e al contempo brillante. Gaia non può trattenere una
risata di cuore.
«Non lo fare mai più, maestra, che me stavo a pijià ‘n infarto».
Altre risate e schiamazzi, a cui presto si aggiungono i racconti. Iniziano tutti allo stesso modo:
“Come quella volta”.

Altre risate e schiamazzi,
a cui presto si aggiungono
i racconti. Iniziano tutti
allo stesso modo:
“Come quella volta…”

«Come quella volta che siamo andati in gita a Cremona e ci hai insegnato dei proverbi in quel
dialetto, e noi provavamo a parlare con i passanti! È stato fighissimo». Le pupille di July brillano
ancora di entusiasmo, quando Raffaele si inserisce a continuare il racconto. «Sì, è vero. Enrico non
riusciva a dire mezza parola senza sembrare fuori di testa».
Gaia se lo ricorda. Si ricorda ogni momento prezioso condiviso con i suoi colibrì. Come quella volta
in cui aveva fatto finta di cambiare lavoro e di doverli salutare.
«Nico stava a ‘mpazzì!».
«Anche tu avevi gli occhi rossi» arriva immediata la risposta. «Il peggior pesce d’aprile della
storia».

Sono tanti i ricordi condivisi, e non ce n’è uno che non strappi un sorriso ai compagni. Gaia li
osserva, mentre completano uno il racconto dell’altro, aggiungendo dettagli, colore e qualche
bonaria presa in giro.
Le ore passano più velocemente del previsto, tanto che si trova presto costretta ad interrompere
Lucia nel bel mezzo di un’imitazione.
«Perdonami se ti ho fermata, ma credo sia il momento di farvi una piccola sorpresa». Le proteste
della bambina si placano immediatamente, così come le voci dei compagni.
«Questa mattina ci è arrivato il video dello spettacolo di fine anno e ho pensato che potesse essere
una bella idea guardarlo tutti insieme».

Tre secondi di silenzio precedono un applauso scrosciante della classe.
«Potete venire vicino alla LIM, se volete».
«Sì, però tu devi sta’ qua co’ noi».
Poche parole, che lasciano Gaia senza fiato.
«Certo, fagiolotti. Però fatemi spazio che io sono un po’ più grande di voi».
L’ora successiva è un alternarsi di risate, lacrime e canzoni cantate a squarciagola. Ognuno,
sottovoce, ripete le proprie battute e i passi delle coreografie. Gaia per prima.
«Ma si vedono anche i bis nel video?».
«Ema, quelli magari li guardate a casa».
«No, adesso! Noi vogliamo vedere quando hai ballato anche tu?».
«I miei genitori mi hanno detto che balli benissimo!».
«Dai Ludo, per piacere, lo sai che non sono una grande ballerina».
«È solo perché sei alta».
Gaia finge di prendersela per il commento di Ludovica e inizia a stritolarla in un abbraccio che, ben
presto, diventa collettivo. I confini e le barriere, ormai, sono saltati.

«Ci mancherai, maestra», sussurra Nicolò alla schiena di Gaia. Lei vorrebbe rispondere, ma non ce
la fa. Se aprisse bocca, crollerebbe. Allora si limita a scompigliare i capelli del suo piccolo colibrì e
stringerlo più forte.
Solo quando la selva di teste, braccia e gambe inizia a districarsi, Gaia riesce a riprendere il
controllo.
«Dai, andate a preparare lo zaino perché è quasi ora di uscire».
Nuove urla e schiamazzi accompagnano i bambini in corridoio. Tutti corrono verso la cartella,
inneggiando alla fine della scuola. Tutti, tranne una.
«Teresa, cosa c’è?».
La bambina non parla, ma il suo sguardo dice tutto. Gaia vede in lei il suo desiderio di diventare
grande, di crescere, di spiccare il volo. Di scrivere il suo domani.
Ma scorge anche le sue insicurezze, i suoi timori. La sua paura di non farcela, mescolata con la
vergogna, tutta adolescenziale, di chiedere aiuto.
«Tere’, sai che sei una grande, vero? Devi ricordartelo sempre».
«Ok».
«E ricordati anche che la maestra Gaia sarà sempre pronta ad ascoltarti».
«Ok».
«Un’ultima cosa, Tere’. Ti voglio bene».
«Ok».

La bambina non parla,
ma il suo sguardo dice tutto.
Gaia vede in lei il suo desiderio
di diventare grande, di crescere,
di spiccare il volo.
Di scrivere il suo domani.

Gaia rimane ferma, aspettando un abbraccio che non arriva. È il peso della libertà. Teresa raggiunge
i compagni e, insieme a loro, forma la fila per l’uscita da scuola.
La maestra li accompagna fino al cancello, dove le famiglie li aspettano con striscioni e palloncini.
Il suono della campanella dà il via alla corsa verso il futuro. È sfrenata e incontrollabile, e coinvolge
tutti. Ma una torna indietro.
«Teresa, cosa c’è?».
Un abbraccio arriva inaspettato. Insieme a una lacrima. Questa volta, Gaia, non riesce a trattenerla.
Per l’ultima volta, agita la mano in segno di saluto. Una mano che ha guidato quelle dei suoi colibrì
quando imparavano a tracciare linee, numeri e lettere sui quaderni che hanno accompagnato il loro
cammino. Non ne avranno più bisogno: ora, sanno scrivere da soli. Un nuovo inizio li attende.

Davanti a loro, Gaia vede una pagina vuota. Non è a quadretti grandi, come cinque anni fa, ma è
bianca. Bianca, perché la possano riempire.
La lacrima raggiunge le sue labbra e le trasforma in un sorriso. Gaia lo gusta fino in fondo.