regole

N.54 novembre 2024

riflessi incontra

Quando nasce un sorriso dietro le mura del carcere

Le regole per chi ha infranto le regole. La direttrice della Casa circondariale di Cremona, Rossella Padula, apre le porte di un mondo spesso dimenticato, dove si lotta per ritrovare se stessi, riallacciare legami spezzati, condividere emozioni

«Quando, nel tempo, una persona cambia, lo vedi. Lo vedi dal viso, dagli occhi». Rossella Padula è la direttrice della Casa Circondariale di Cremona. Da cinque anni amministra la struttura penitenziaria di via Ca’ del Ferro, che ospita circa 580 persone, per periodi più o meno prolungati. In alcuni casi si tratta di pochi mesi, in altri la permanenza può durare diversi anni. Un tempo fragile, che può essere ulteriormente diluito da recidive e violazioni. Anche in carcere ogni azione è una scelta: la giustizia è la regola, che può diventare rigida come il ferro che ombreggia le finestre.

«La legge dice che il carcere accoglie chi ha commesso un reato», spiega la direttrice. «A prescindere dalla tipologia, ciò che conta è capire le motivazioni alla base del gesto compiuto. Il nostro è anche un lavoro di emozioni: è importante imparare a leggere le persone, comprendere il loro vissuto, per accompagnarle verso una revisione critica di ciò che è accaduto». 

L’impatto con il carcere non è semplice, ma tra le pareti di una struttura detentiva può nascondersi la possibilità di fermarsi e riflettere sui reali motivi che hanno portato a compiere un reato contro qualcuno o qualcosa, magari aggravati da dipendenze o condizioni sociali e personali tutt’altro che semplici. «La trasgressione implica una sanzione, che ha comunque una finalità educativa: il punto è portare la persona ad agire in un modo diverso».

La chiave è il rispetto, che inizia osservando le regole di condotta anche all’interno del carcere. «Una volta tornati in società, questo passaggio diventa ancora più difficile», afferma la direttrice. «Molti ne hanno paura, soprattutto se fuori dal carcere non hanno una famiglia né un punto di appoggio. Non è semplice gestire da soli la propria libertà, ricominciare da capo. Noi cerchiamo di accompagnarli». 

A Ca’ del Ferro lavorano oltre 200 persone tra funzionari di comparto e agenti di polizia penitenziaria, cui si aggiunge un denso ecosistema di operatori sanitari, associazioni territoriali e volontari. Una rete preziosa, che può aiutare a trasformare il tempo della pena nell’opportunità di riprendere in mano la propria vita e scrivere un finale diverso. «Chi entra in carcere porta con sé dei nodi, che vanno riconosciuti e sciolti. Per farlo, servono rigore e umanità. Per me, conciliare questi due aspetti è una cosa naturale: significa fare attenzione alla persona, averne cura partendo dall’ascolto. È difficile arrivare dentro di loro, molti sono impermeabili anche ai tentativi di aiuto».

L’ingresso in carcere è spesso un trauma, soprattutto per chi è alla prima esperienza: «Rabbia, aggressività, paura, agitazione, la gamma di emozioni e reazioni alla reclusione varia a seconda della personalità e del passato che ognuno porta con sé. Ricordo un ragazzo molto giovane, non più di 22 anni… Continuava a gridare, rifiutava di lavarsi, non aveva la minima cura di sé. Forse era un atto di protesta, che con altri episodi ha richiesto l’intervento del consiglio di disciplina. Insieme abbiamo cercato di capire come aiutarlo. Poco alla volta, grazie al lavoro costante degli operatori, ha iniziato a parlare di più, a raccontare la propria storia e quella della propria famiglia».

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La risposta sta nel cambiamento, quello che si legge sui volti che varcano la soglia della casa circondariale, in una delle due direzioni. «Ho in mente molti giovani come lui – riprende la direttrice – quando cala la rabbia e la tensione che portano dentro, poco alla volta ritrovano il sorriso». In molti riconoscono di essere diversi, di aver fatto un percorso. Di essere pronti per qualcosa di nuovo, anche se l’esito non è mai certo. 

«È un percorso tutt’altro che scontato – ricorda Rossella Padula – tutti noi abbiamo luci e ombre, momenti di fragilità e momenti di grande coraggio, di riscatto. Il ragazzo di cui parlavo prima ne è la prova: il suo percorso non è ancora terminato, ma i progressi fatti gli hanno permesso di uscire dal carcere e proseguire in regime di misura alternativa. Oggi vive in una comunità, spesso si reca nelle scuole per portare la propria esperienza, con coraggio e determinazione». 

Portando con sé il sorriso che, poco alla volta, ha recuperato.