silenzio
N.05 Novembre 2019
Ti racconto com’è la merenda col gelato
Uno dei tratti distintivi dell'autismo è la difficoltà nel trovare strategie di comunicazione sociale Ecco perché l'ambulatorio riabilitativo minori di Fondazione Sospiro vive con i suoi ragazzi esperienze di quotidianità sul territorio: come un pomeriggio in gelateria
L’autobus di linea si riconosce da lontano. Lo stiamo aspettando da qualche minuto con lo sguardo puntato nella direzione giusta, ma i fanali accendono un fremito. Resta comunque il tempo per farsi notare dal conducente. Giulio fa un passo avanti e con la mano lancia dalla fermata un messaggio chiarissimo che vale per tutto il gruppo. L’autobus si ferma.
Scende una pioggia fine e si porta il primo freddo di questo autunno. I ragazzi dell’Ambulatorio riabilitativo Minori della Fondazione Sospiro, che ha la sua sede a Spinadesco, si sono messi d’accordo e hanno scritto sulla chat che si va in gelateria. «Tutto fiordilatte!», squilla Giulio. Chiara, invece, pensa proprio che prenderà una crèpes. Alla Nutella o con la marmellata… si vedrà.
L’appuntamento è settimanale. I genitori li accompagnano a Spinadesco ogni lunedì: una seduta in ambulatorio, una con i genitori, una gita di gruppo con il team di operatori, poi un’altra uscita con i familiari. L’obiettivo è quello di rafforzare le abilità sociali e favorire l’autonomia. Anche lavorando sulle strategie di comunicazione, come spiegano i terapisti che guidano la gita; Alice, Elisa, Chiara, Marcello e Ginevra: sono giovani con modi gentili, psicologi, psicoterapeuti ed educatori professionali.
«Alcuni dei ragazzi – spiega la dottoressa Laura Alzani, coordinatrice dell’ambulatorio riabilitativo – sono più competenti di altri nel linguaggio, anche se spesso le parole che utilizzano non hanno una coerenza comunicativa. Capita che ripetano suoni che hanno sentito perché risultano gradevoli, anche se fuori contesto. Altri invece non utilizzano parole, ma riescono a farsi capire molto bene attraverso l’uso di immagini e gesti».Lo studio aiuta, ma se c’è di mezzo l’autismo non ci sono ricette per capirsi. I disturbi della comunicazione attraversano sfumature che vanno osservate con cura. Vissute come un pomeriggio in gelateria.
«Chi c’è qui che va in prima superiore?». Ernest si guarda attorno, poi viene verso di me che effettivamente ho l’aria di avere qualche anno in più. «Come ti chiami?». Ci stringiamo la mano cordialmente. Luca, invece, la ritrae facendo un passo indietro. Ma sorride mentre memorizza i nomi dei due ospiti con taccuino e macchina fotografica per riferirli poco dopo a Elisa.
Il più piccolo è Mattia, l’ultimo arrivato. Per gli altri c’è un operatore ogni tre ragazzi, Chiara invece è tutta per lui, visto che è al primo anno con il gruppo dell’ambulatorio. Tra le mani tiene una scheda che ricorda tutti i passaggi necessari per il viaggio: “Saluto e faccio vedere la tessera o il biglietto” è al terzo punto. C’è anche il disegno di un ometto stilizzato con un sorriso a mezzaluna e la mano alzata in segno di saluto.
Prima però ci sono gli ombrelli da chiudere e da non dimenticare fuori bordo e il gradino da salire, in ordine, mentre il motore resta acceso e la pioggia fa strizzare le palpebre. «Sguardo avanti, schiena dritta…» ripete Alex sottovoce prima di salire.
A bordo si siedono tutti, tranne Luca, che – sotto lo sguardo attento di Elisa – resta in piedi, divertito dai sobbalzi. Una frenata brusca lo manda sbattere contro un altro viaggiatore. Nessuno si fa male e il viaggio continua.C’è qualche momento di silenzio, spezzato dalla voce allegra di Chiara: «Questa gita è bellissima!». Lo sapevano, quando durante la riunione hanno deciso la meta. Non fa mai abbastanza freddo per un cono. A volte ci si muove in auto, ma i ragazzi preferiscono l’autobus. «Che cos’è questa nebbia – aggrotta le ciglia Giulio guardando i finestrini appannati – Chi ce l’ha messa qui dentro?». Nessuno ha la risposta pronta e lui non aspetta: con la manica pulisce il suo oblò e lo firma con una G.
«Anche tu facevi su e giù quando sei andato con l’aereo al mare? E se andiamo insieme la prossima volta?», chiede Chiara, mentre Lorenzo tiene tra le mani con grande attenzione la tessera abbonamento.
Ernest è seduto all’ultimo sedile e non fa troppo caso ai due coetanei che si sono seduti ai posti appena davanti. Quando arriviamo si ferma un istante per presentarsi e stringermi la mano. Poi si tira il cappuccio sulla testa e si mette in fila con gli altri. C’è una passeggiata da fare tra le vetrine del centro. «Questa è un’età delicata», spiega la dottoressa Alzani. «Tutti loro, con noi, la scuola e le famiglie, hanno fatto percorsi personali per lo sviluppo di abilità e strategie di comunicazione dentro la società. Nell’adolescenza però gli interessi dei loro coetanei iniziano a cambiare e a differenziarsi dai loro. Per questo vivere il territorio, situazioni quotidiane come andare al ristorante o fare un aperitivo è un’occasione per restare agganciati agli altri ragazzi». Per non restare indietro, con qualche fatica, ma con tutta la carica di un quindicenne che inizia a tracciare la sua strada nel mondo che lo circonda.
Giulio guida il gruppo e accelera un po’ troppo il passo. Elisa lo frena e lui non sembra contento. «Guarda che ti metto in prigione» lo ammonisce Ernest senza alzare la voce.
La fila di ombrelli si compatta con ordine sul marciapiede; Chiara strappa a Federica, la nostra fotografa, la promessa di provare la macchina più tardi, l’ombrello di Alex si tocca con quello di un passante che borbotta imbronciato senza farsi capire. Così si arriva alla gelateria. Giulio si presenta per primo alla cassa: solo fiordilatte. «Una o due palline?».«Una sola, due fanno venire un gran mal di testa…».
Poi tocca a Lorenzo. La commessa lo riconosce e lo accoglie con un sorriso pieno di dolcezza che non scioglie la sua concentrazione: «Ciao Lorenzo!».«Una cioccolata calda… per favore». Marcello, lo psicologo che si trova più vicino, gli fa notare che ci sarebbe stato un saluto da ricambiare. Fatta l’ordinazione lui sorride convinto: «Ciao!» e saluta con la mano la ragazza dietro la cassa. Alex, intanto, nell’attesa del suo turno ripete tra sé: «Un gelato al cioccolato per favore». Al momento dell’ordine non sbaglierà.Quando tutti siamo attorno al tavolo con gelati, crèpes e bevande fumanti, Luca richiama l’attenzione. Elisa lo appoggia, perché non si può lasciar cadere nel vuoto il desiderio di chi ha qualcosa da dire. Chiunque abbia qualcosa da comunicare, se non trova attenzione, tende a lasciar perdere. E il silenzio amplifica i comportamenti problematici. O l’isolamento.
«Mi ascoltate?», ripete Luca senza alterare quel suo tono pacato mentre davanti a lui si liera il palcoscenico e gli occhi dei compagni lo cercano.
«Sapete che sono andato al cinema con mio papà? Ho visto la famiglia Adams»
«Io non l’ho mai visto».
«Io no, mi fa paura».
«Ma no, fa ridere la famiglia Adams».
«Ah sì, era su Italia Uno…»
«Italiaaaa… uno!». Pollice in alto.
Tra loro sembra più semplice, anche se la coordinatrice ci fa notare che l’abitudine a conversare senza la “protezione” di un ambiente adulto espone a difficoltà nuove: «Cercare anche a tavolino, in ambulatorio, di costruire dei dialoghi è una delle prime attività che svolgiamo con i bambini. Tra i disturbi tipici dell’autismo c’è quello di avere interessi limitati e peculiari»; ad esempio, a qualcuno può piacere il treno e tende a parlare sempre di treni. Quando si è insieme (magari attorno ad un tavolo in gelateria) i temi cambiano, si scambiano, ci sono domande a cui fare attenzione e rispondere con cortesia.
L’altro Luca posa per una foto spiritosa mentre gusta il gelato che piano piano si scioglie, Chiara chiede quale sia la canzone di sottofondo («La canzone della gelateria») e poi riscuote la promessa e scatta qualche foto ai compagni di merenda. «Anch’io da grande voglio fare la fotografa». Nella memoria della macchina restano i suoi primi clic che lunedì prossimo saranno – stampati – sul tavolo insieme a tutte le immagini di questo pomeriggio: gli ombrelli, l’autobus, gli scorci della città, la cassa, i gelati e quella finale, tutti insieme. Pollici in alto.
C’è qualcosa da raccontare a mamme e papà, lunedì. Sarà più vicino da ricordare. Più bello condividere. Più naturale capirsi.