magia
N.28 Febbraio 2022
Tra palco e platea l’inatteso diventa verità
Dialogo con il critico Arrigoni sugli "infiniti" mondi che si aprono quando si alza il sipario
C’è stato un tempo in cui era molto più facile capire il valore delle cose. Un tempo, che oggi ci sembra lontanissimo, in cui non c’era altra realtà se non quella che potevamo toccare con le mani e non c’era altro modo per conoscere davvero le cose se non vederle di persona, con i nostri occhi e i nostri sensi.
In quel tempo, che è durato per secoli, l’attimo di silenzio e di buio che precedeva l’inizio di uno spettacolo non era quello in cui si sfiorava lo smartphone per assicurarsi che fosse spento, ma quello in cui la mente cercava di intuire cosa sarebbe successo e in quale realtà il teatro ci avrebbe trasportato.
Era l’attimo prima della magia, che ancora oggi molti sognatori riescono ad assaporare tra lo spegnimento delle luci, il silenzio e l’apertura del sipario; quell’incredibile stargate che prende e ci catapulta in un’altra dimensione, magica e preziosa. Ma cos’è davvero quella magia? Perché nei secoli non ha perso il suo fascino nonostante il cinema, la tv, Internet, la realtà virtuale e tutta la tecnologia che sta per farci sbarcare nel metaverso?
Ne abbiamo parlato con Nicola Arrigoni, giornalista e critico teatrale cremonese di lungo corso, che ci ha raccontato attraverso esempi concreti e illuminanti una magia fatta di ingredienti semplici ma al tempo stesso preziosi e delicati.
«Recentemente ho assistito a Cesena allo spettacolo “Scarpette rotte”, di Emma Dante, un affascinante viaggio nel mondo delle fiabe pensato per essere fruito da adulti e bambini. Entrando in platea sono rimasto stupefatto dalla scena, bellissima, ma poi ho capito che si trattava di una camera mortuaria e mi sono chiesto come avrebbero reagito i bambini, che invece hanno riso e partecipato con grande entusiasmo.
Ecco, credo che la magia del teatro sia in fondo proprio questa: è l’inatteso, è qualcosa che non ti aspetti. È la finzione che diventa verità. Non realtà, ma verità. Il teatro è proprio questo: all’aprirsi del sipario esso svela qualcosa che noi non conosciamo, apparentemente usando il linguaggio della finzione e della messa in scena, raccontando una storia e chiedendo allo spettatore di credere a quella storia».
Un altro esempio citato da Arrigoni è nel prologo dell’Enrico V di William Shakespeare, laddove l’autore scrive:
Può contenere, questa angusta arena,
gli sconfinati campi della Francia?
Possiam stipare a forza
in questo ‘O’ di legno anche solo i cimieri
che ad Agincourt fecer tremare il cielo?
La risposta ovviamente è sì e non c’è teatro senza la partecipazione dello spettatore e senza una condivisione di immaginazione e un completo affidarsi a ciò che accade in scena. Del resto quando uno spettacolo ci sembra non funzionare diciamo che non siamo riusciti ad entrare, che quello spettacolo non ci ha tirato dentro, perché il teatro deve aprire uno spazio, una porta che ci fa arrivare in un’altra realtà.
«Questa, paradossalmente, ci appartiene più di quanto si possa immaginare. Ci svela cose che attraverso la creatività degli artisti, la parola, la storia, la situazione cui assistiamo ci cambia. Non è soltanto magia intesa come stupore. Il teatro è uno “specchio ustorio” come lo definisce proprio Emma Dante, qualcosa con cui ti devi scottare, provando una sensazione di dolore che in qualche modo si imprime in te e ti cambia».
Affinché la magia si realizzi, tuttavia, occorre che lo spettacolo cui assistiamo sia credibile e per esserlo deve contenere una certa percentuale di verità, al di sotto della quale lo spettacolo non può funzionare.
«Un vero attore non fa finta di essere qualcun altro, ma lo diventa. L’attore incarna una storia, non la recita, ed è questo che ci fa capire che sul palco c’è uno spazio indefinito che ci lascia senza parole e che sa di magia. Gli attori sono agiti dallo spettacolo, che esiste grazie a loro, ma al tempo stesso indipendentemente da loro. E in quello spazio ristretto sta anche lo spettatore che, grazie alle capacità degli attori e degli autori, diventa a sua volta artefice degli infiniti mondi che vi si aprono. Il teatro è la memoria di chi vede e questa è la differenza tra il teatro e il cinema, che non ha bisogno dello spettatore per esprimersi, mentre il teatro non può farne a meno. Sono la non riproducibilità del teatro e lo sguardo e il vissuto degli spettatori a fare la differenza. Il percepito di uno spettatore è diverso da quello degli altri ed è forse questa la più grande magia: lo spettatore è al centro del ‘qui ed ora’ del teatro; durante la Pandemia si è cercato di tener da conto l’ora e di moltiplicare il qui, attraverso le dirette streaming, ma ricostruire la magia della sala è impossibile».
Un altro capitolo importante della magia del teatro riguarda la gestione delle aspettative del pubblico.
«Capita spesso che queste vengano deluse, perché chi si siede in platea non è quel libro bianco su cui il teatro scrive la sua storia, proprio attraverso lo spettatore. Per sua natura il teatro è però il disvelamento di una realtà inattesa, retta e incarnata da attori che trasformano parole in azioni, facendosi immagini; queste sono ciò che più ricordiamo di un’opera teatrale. Il teatro procede per situazioni, per immagini, per condizioni e per azioni in cui la parola è uno degli elementi che si uniscono alla posizione del corpo, al respiro, alla tonalità, alle scene, alle luci, ai colori, allo spazio e a tutti gli ingredienti magici del teatro».
Questo è ancora più evidente quando vediamo lo stesso spettacolo in teatri di differenti dimensioni, in cui l’allestimento e le scene devono per forza essere ridimensionate e, talvolta, la storia deve essere raccontata in un modo differente per ragioni che sono estremamente concrete.
«Questo condiziona lo sguardo esterno e spesso gli stessi attori sorridono di quanto delle questioni meramente tecniche spingano il pubblico a fare ipotesi o ad immaginare significati per scelte determinate invece dalla contingenza e dallo spazio a disposizione».
Il teatro è dunque magia in quanto comunicazione tra esseri umani, che si avvale della sensibilità di chi fa e di chi assiste, che al tempo stesso partecipa e fa lo spettacolo. È questa alchimia a fare la differenza, perché se così non fosse si perderebbe il senso stesso del teatro. Una sorta di matrimonio in cui gli spettatori sono testimoni e senza testimoni andare in scena non si può e inevitabilmente quel matrimonio… “non s’avrebbe da fare”.
Nicola Arrigoni, giornalista professionista è redattore ordinario presso il quotidiano «La Provincia» di Cremona dove si occupa di cronaca culturale della città, politica culturale, liuteria e ricopre il ruolo di critico militante per il teatro drammatico.
È critico teatrale e di danza presso i mensili Sipario e Hystrio. Fa parte delle giurie dei premi nazionali di teatro: Premio Ubu dell’Associazione Franco Quadri, l’oscar del teatro italiano, e per i premi dell’Associazione Nazionale Critici Teatrali di cui è membro. Coniuga l’attività giornalistica con quella di formatore e docente. Insegna presso l’Istituto superiori di studi Musicali Claudio Monteverdi di Cremona, Tecnica della comunicazione e management musicali e Strategie della comunicazione multimediale. È curatore dei progetti di promozione della critica e dell’analisi dello spettacolo dal vivo presso le scuole superiori di Cremona con Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli di Cremona e Teatro Gioco Vita di Piacenza. Presso il Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali dell’Ateneo di Pavia tiene il seminario laboratorio: «Quando la cultura fa notizia». Presso Fondazione Teatro Due di Parma è docente di comunicazione e critica teatrale nell’ambito del corso di alta formazione per operatori dello spettacolo, La casa degli artisti, è docente presso il corso di formazione per operatori del teatro di figura, Animateria.