musei
N.25 Novembre 2021
La storia dei nostri paesi tessuta su… un filo di lino
A Pescarolo sorge (e resiste) un museo unico nel suo genere che racconta il processo di lavorazione dalla semina alla tessitura: una storia di lavoro, terra, persone e di una memoria da tramandare
La nebbia scandisce i tempi di un lunedì mattina di novembre: freddo, umido, scomposto. La bassa ci restituisce uno spaccato affascinante, è solo questione di abitudine e punti di vista. Recupero Federico Zovadelli. Imbraccia zaino e macchina fotografica: come sempre. Mi aspetta al solito angolo di via Sant’Ambrogio. Ci dirigiamo verso il Museo del Lino a Pescarolo, uno di quei luoghi che ho sempre voluto visitare, ma non ho mai trovato il tempo di farlo. Penso sia un po’ una metafora della vita di tanti di noi, sospesa tra volontà, desiderio e realizzazione.
Ci accoglie una signora attempata, vispa, vivace, piena di vita. Dalla mascherina gli occhi ci scrutano. Si chiama Stefana Mariotti ed è stata, per quattro mandati, sindaco del paese. Le mani sono (metaforicamente) quelle di chi nella vita ha combattuto tante battaglie. Più per gli altri che per se stessa. Il 28 dicembre 1974 era stata convocata presso la sala riunioni della Cooperativa insieme ad altri diciotto cittadini che si erano interessati al Museo del Lino. Tra loro anche Fabrizio Merisi, artista ed attuale direttore del museo, e Casimiro Becchi, il primo ad avere l’intuizione, nei primi anni del dopoguerra, di salvaguardare il ricordo delle origini contadine e dei pescarolesi. Inizia a raccogliere strumenti ed oggetti che tutti buttavano e bruciavano, come scrive proprio Merisi «resi inutili dall’incalzare della meccanizzazione del lavoro agricolo».
L’obiettivo era ricostruire la memoria collettiva. Scrive ancora Merisi: «Nella maggioranza dei casi le raccolte sono rimaste per decenni relegate in sottoportici o stabili perennemente provvisori, a ludibrio di tarli e topi. Becchi invece ebbe la intelligenza di porsi la domanda cruciale: che senso si potesse dare a questa raccolta informe».
Il Museo del Lino fu fondato negli anni Sessanta, Becchi fu il primo presidente. Nella sede e con l’allestimento attuali, nell’aprile 2004. Il 28 luglio 1974 la Regione Lombardia concesse un contributo di cinque milioni di lire. Ai tempi tutto il materiale raccolto era, si legge nel Verbale numero 1 di quella che sarebbe poi diventata l’Associazione Museo del Lino, “accatastato disordinatamente nei locali della ex caserma carabinieri”.
Oggi quello di Pescarolo è l’unico museo in Europa a possedere ed esporre l’intera sequenza, dall’estirpazione al telaio per la tessitura. Sono inoltre conservati più di quattromila manufatti in lino che costituivano la dote, nella quasi totalità di provenienza pescarolese.
Mariotti ci spiega che «il lino in tutta la Pianura Padana ha rivestito una grossissima importanza, messa in secondo piano dalla commercializzazione del cotone. Si è interrotta con l’avvento della prima guerra mondiale».
Il lino si semina nella prima metà di marzo ed è pronto per essere strappato in giugno: «Questa era una zona molto povera, l’olio di oliva arrivava solamente sulle tavole dei proprietari terrieri. Il lino si usava per fare l’olio ed in questi paesi sorgevano diversi frantoi. La lavorazione del lino era molto impegnativa ed era prettamente femminile, se si esclude il lavoro nei campi».
Il museo racconta tutto il processo di lavorazione: dalla semina, alla raccolta, poi essicamento, macerazione, scavezzatura, gramolatura, scotolatura, pettinatura, filatura, tessitura ed ogni tanto colorazione».
Non veniva buttato nulla, un po’ come con il maiale nelle cascine: il seme per l’olio, poi tolto il filo per i tessuti, la parte legnosa era utilizzata per l’accensione dei fuochi. Una sezione è dedicata agli attrezzi contadini, ai recipienti di conservazione e cottura dei cibi restituiti dall’Oglio ed al baco da seta.
Oggi il museo è gestito dall’Associazione Museo del Lino che è proprietaria dei beni. Il fabbricato è di proprietà del Comune, dato in comodato d’uso gratuito per 50 anni. Mariotti che ne è presidente spiega che il Comune da tempo ha deciso di non sostenere più le spese per le utenze. Il rapporto è normato da una convenzione. L’amministrazione comunale, tramite delibera di consiglio, ha sostenuto tempo fa che per motivi legali non può essere intestataria di utenze di uno stabile dato in comodato d’uso ad una associazione che ospita una collezione privata, frutto di donazioni e convenzioni.
Al netto di un confronto che va avanti da tempo, questi spazi restano lì, con il loro patrimonio di oggetti e di memoria il tesoro più prezioso da custodire con passione e cura, per tramandarlo alle generazioni future.