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N.20 Aprile 2021
Piccolo manifesto
del ritorno in campo
Lo sport riparte, rinconquista i suoi luoghi e immagina nuovi modi per raccogliere le sfide di un cambiamento che non si può rimandare
Dopo il lungo inverno del Covid e delle restrizioni alle «discipline di contatto», la primavera dello sport di base inizia il primo lunedì di Zona Gialla con una partitella d’allenamento tra i Pulcini del Corona e un pallone che rotola finalmente libero, senza paletti o limitazioni, all’oratorio di Cristo Re. Siamo a Cremona, potremmo essere in qualsiasi campo di periferia o della provincia del nostro territorio. Il cielo è gonfio di nuvole ma in mezzo a tanto grigiore, nonostante tutto, si vede uno spiraglio di luce. Lo sport giovanile, dilettantistico e amatoriale cremonese è ripartito, stavolta si spera definitivamente. Presto torneranno anche i tornei. Sotto molti aspetti sarà l’anno zero. Ce lo ripetiamo da almeno quattordici mesi: questa crisi nasconde l’opportunità di ripensarsi e ripensare le realtà nelle quali viviamo. Ora, ecco arrivato il momento. Certamente il Covid ha imposto grandi sofferenze al mondo sportivo locale. Certamente ha rischiato di affossare lo sport degli appassionati, dei volontari, dei vivai e delle competizioni provinciali, di farlo sprofondare nell’irrilevanza. Tuttavia, mentre campetti e parchi si preparano a rifiorire, il sistema si trova di fronte alla grande occasione per fare clic e proiettarsi verso nuovi modelli. Quello che segue vuole essere un piccolo manifesto ideale dello sport cremonese che esce dal tunnel del Covid, si lecca le ferite e poi si affaccia con energia verso il futuro. Seguendo due strade: la riscoperta dei luoghi dello sport e la digitalizzazione. Tra lockdown e zone rosse, spesso è sembrato che la seconda si divorasse e contribuisse inevitabilmente a desertificare la prima. In realtà le due strade possono congiungersi e creare un’unica, ampia, autostrada virtuosa per lo sport. Lo sport di tutti. Non certo quello dei ricchi capricciosi o delle distopie “superleghiste” dei club più ricchi del mondo.
La riscoperta dei luoghi
Chiusi, svuotati, sviliti. Infine sfregiati dai ripetuti atti di vandalismo che hanno colpito il Cascinetto, il Cambonino, l’ex campo Po 1 (ora intitolato a Walter Trioni), gli spogliatoi del Lancetti. Durante la pandemia i luoghi dello sport sono diventati spazi fantasma e senza il presidio delle società sportive sono speso finite alla mercé di azioni barbare. La rinascita non può che iniziare da qui. Le squadre, i giovani atleti, i loro istruttori si riappropriano di campetti e oratori. Ma non solo: l’orizzonte, nel mondo post-Covid, sarà quello di una maggiore valorizzazione dei luoghi dello sport come fulcro della vita delle comunità, siano esse connesse a quartieri urbani o paesi di provincia. Tutti nel nostro piccolo abbiamo sperimentato la nuova socialità mediata da schermi, dispositivi e video-conferenze, abbiamo imparato che a volte non serve un ufficio per lavorare e che le tangenziali non devono essere per forza invase dal traffico. Ora, però, lo sport deve riscoprire il valore dei rapporti diretti, dei contatti in mischia o nella partitella. E soprattutto dei luoghi fisici dello sport intesi come spazi di relazione. Giordano Nobile, presidente della Polisportiva Corona, una galassia con 62 anni di storia che raggruppa qualcosa come 600 giovani distribuiti tra cinque diverse discipline, testimonia: «I nostri allenatori, che sono principalmente educatori, sono stati i primi ad adattarsi nelle fasi più acute della pandemia: gli allenamenti trasferiti dal campo a Zoom, i ragazzi incasellati in piccoli quadratini negli schermi di smartphone o computer che svolgevano i loro esercizi. Si era creata una realtà parallela, utile per far capire ai ragazzi che non li avremmo abbandonati. Ma era innaturale, non poteva durare per sempre». Il Corona, peraltro, è stato tra i club maggiormente colpiti dagli atti di vandalismo: «La sosta forzata ha generato tanti, troppi scompensi nella crescita psico-motoria dei giovani che hanno perso punti di riferimento. Eravamo esausti, ripartire con gli allenamenti del calcio, del volley, è stato un sollievo. La grande lezione che ci porteremo è che in futuro bisognerà dare più valore ai legami diretti, nello sport e non solo».
Lasciamo Cristo Re e continuiamo il viaggio in provincia. Perché sul Cremonese, una grande spinta alla riscoperta socio-sportiva dei luoghi potrebbe arrivare proprio dagli oratori. Tutt’altro che dimenticati e abbandonati, tutt’altro che retaggio novecentesco. Come dimostrano Castelleone e Soresina, cittadine dove le strutture parrocchiali sono state soggette a poderosi restyling e si sono trasformate in poli multisport pronti ad aprire di nuovo le porte ai ragazzi. Andrea Piana, vicario di Soresina, ci accoglie nel suo ufficio e ci svela la sua visione di oratorio del futuro: «Nel nostro oratorio abbiamo una palestra, tre campi tra basket e calcetto, sia sintetico che in cemento. La pandemia ha facilitato il desiderio di tornare sui campi, fin dal primo lunedì di zona gialla abbiamo ricevuto molte richieste di prenotazioni del nostro sintetico per il calcetto. Abbiamo una polisportiva, la Carlo Acutis, con i suoi pulmini, le sue squadre e la sua sede. Ma anche un bar nel quale i parrocchiani possono fermarsi a bere il caffè in qualsiasi momento della giornata. Il principio è quello di un oratorio aperto che aggreghi ragazzi di qualsiasi estrazione. Credenti e non. Italiani e stranieri. Se costruiamo l’uomo, sull’uomo possiamo costruire i valori cristiani. E lo sport in questo può essere uno strumento formidabile». Don Andrea identifica le sfide del futuro: «La prima sarà unire le culture in oratorio rispettando il luogo e continuare a formare i giovani. Gli oratori non hanno più il monopolio sul tempo libero dei giovani come in passato, tuttavia se investiremo nell’innovazione e nelle qualità delle strutture, anche sportive, gli oratori manterranno la loro centralità. Le parrocchie migliorino le palestre, i campi, le attrezzature, perché laddove c’è cura dei luoghi e organizzazione arriverà anche aggregazione e rispetto».
La digitalizzazione
La riscoperta dei luoghi, infine, può integrarsi con una nuova idea di digitalizzazione per lo sport locale. Professionale, anche se non professionistica. Non frivola o invasiva, ma funzionale a comunicare e valorizzare quello che le piccole realtà sportive creano attraverso un linguaggio al passo con i tempi. Manuele Bassanini, Amministratore Delegato del gruppo IT Impresa (che offre servizi digitali anche a numerosi club sportivi) nonché calciatore dilettante e vice-presidente della Primavera di San Daniele Po, spiega l’urgenza di un cambio di mentalità: «Si fa ancora troppo poco in ambito locale: fino all’avvento del Covid, le risorse venivano spesso sperperate in rimborsi per giocatori di Seconda o Prima categoria quando la vera necessità, anche per i club più piccoli, dovrebbe essere la creazione di un’identità anche digitale che generi maggiore coinvolgimento intorno alle associazioni sportive. E parlo di un coinvolgimento sociale, ma anche della possibilità di comunicare certi valori, di attrarre sponsor, di creare relazioni virtuose con le aziende locali e sviluppare un senso di appartenenza tra i giovani nei paesi. Siamo nel 2021, se non presidi i social media con una strategia è davvero difficile avere una rilevanza: puoi anche organizzare manifestazioni bellissime o vincere tornei, ma senza una comunicazione efficace il traguardo perde valore. E la comunicazione verso gran parte del pubblico, oggi, passa da Instagram, da Facebook, da un sito web curato e aggiornato che generi interazione». Community virtuali che si traducano in rapporti reali, in relazioni antiche e nuove allo stesso tempo. Sicuramente dirette. Le due strade – riscoperta dei luoghi e digitalizzazione – sono lunghe, ma corrono in parallelo e dopo tanta astinenza lo sport giovanile e dilettantistico è pronto a correre veloce. Verso il suo futuro.