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N.41 Maggio/Giugno 2023

ECOLOGIA

Il nostro futuro in equilibrio tra città e spazi rurali

Intervista all'architetto Maurizio Ori sul dialogo (possibile) tra le aree urbane e quelle meno abitate, tra cementificazione, smart land, nuovi modelli di produzione e di consumo

L’equilibrio tra gli spazi urbani e quelli rurali è quanto mai cruciale per una crescita dei nostri territori che sia omogenea, equilibrata e sostenibile. La cementificazione selvaggia ha fatto il suo tempo e deve necessariamente lasciare spazio ad una gestione del territorio che tenga presenti le esigenze e le aspirazioni delle persone, ma soprattutto la loro coesistenza con l’ambiente e il pieno rispetto della biosfera, senza il quale nessun futuro è immaginabile per l’umanità.

Per capire come sia possibile perseguire una sostenibilità e un riequilibrio delle aree urbane e rurali che non sia soltanto formale o teorica, ma che impatti davvero sul futuro di tutti noi, abbiamo intervistato l’architetto Maurizio Ori, una delle voci più autorevoli del nostro territorio per quel che riguarda la progettazione del paesaggio e l’architettura, che solo nel suo pieno rispetto può davvero esprimersi e prosperare.

L’architetto Maurizio Ori

Le città continuano a crescere e ad espandersi, mentre i media tambureggiano lo spettro dell’inverno demografico e la diminuzione della popolazione. Un paradosso che spesso viene giustificato con l’obiettivo di costruire nuovi edifici che siano molto più efficienti e sostenibili. È davvero questa la strada verso la sostenibilità? Oppure è urgente progettare e attuare politiche che vadano nella direzione di una vera rigenerazione urbana, recuperando edifici storici, ma anche spazi verdi e aree in cui nessuno potrà mai riedificare?
«Alla luce anche degli eventi catastrofici in Emilia Romagna ritengo sia utile e indispensabile ripensare completamente le politiche urbanistiche espansive con una adesione totale allo stop del consumo di suolo. È evidente che l’infrastruttura verde costituita da aree libere agricole, canali, fiumi e parchi dovrà costituire il nuovo valore del progetto urbanistico del futuro. In questo modo alla pianificazione urbanistica tradizionale legata allo zoning si sostituisce l’ecologia urbana che considera il nuovo valore degli spazi aperti anche per la permeabilità dei suoli, captazione delle acque, fissazione della Co2, produzione di ossigeno, laminazione, rinaturalizzazione. Una tale concezione urbanistica avrebbe sicuramente ridotto in maniera significativa i danni connessi all’alluvione dell’Emilia Romagna».

Da anni si parla di agricoltura urbana, di orti condivisi, di apicoltura cittadina e di molte altre attività che potrebbero rendere le nostre città molto più vivibili e compatibili con la natura. Come possiamo raggiungere un equilibrio tra la necessità di crescita urbana e la conservazione delle risorse naturali?

«Una volta riconosciuto il valore strategico ambientale ed ecologico degli spazi aperti rurali, diventa necessario considerare l’agricoltura periurbana e urbana una risorsa. L’agricoltura dovrebbe essere ripensata adottando sistemi propri dell’agroecologia attraverso l’adozione di specifiche modalità di gestione e produzione. Nello specifico è utile sin d’ora ricordare la necessaria adesione all’aumento della biodiversità per favorire gli impollinatori attraverso l’implementazione di filari (secondo la modalità della “piantata padana”) nelle suddivisioni interpoderali, l’aumento delle fasce tampone a verde lungo i canali esistenti (ad esempio i canali La Morta, Cerca, Morbasco), la creazione di aree boschive con funzione di mitigazione ambientale. Tale attività andrebbe condotta a Cremona all’interno del parco sovracomunale del Po e del Morbasco, che dovrebbe sviluppare, come si è detto, per la sua specifica funzione queste attività produttive agricole innovative».

Qual è il ruolo delle politiche pubbliche e della pianificazione urbana nel raggiungimento di un equilibrio tra città e spazi rurali?

«Le politiche territoriali del futuro dovrebbero necessariamente cambiare l’attuale paradigma, e considerare gli spazi aperti come infrastruttura verde con funzioni prioritarie di tipo ecologico, ambientale e paesaggistico, cui tutti gli altri sistemi edilizi si dovrebbero “adattare”».

«Le tecnologie sono il mezzo, non il fine;
un valido supporto
che non può sostituire
un pensiero ambientale più complesso»

La trasformazione digitale e le tecnologie abilitate dalla Rete Internet e dalle nuove opportunità, come quella rappresentata da IoT – Internet of Things, stanno rendendo le città sempre più “smart”. Questo avviene spesso in modo “passivo”, ovvero dotando pali, semafori, edifici e arredi urbani di sensori, telecamere e altri apparati tecnologici per monitorare, sorvegliare, gestire al meglio i servizi. È possibile adottare una prospettiva più ampia, che non si limiti alle città ma copra interi territori migliorando connettività e sostenibilità nella collaborazione tra aree urbane e rurali?

«Innanzitutto bisognerebbe trasformare le Smart-Cities in una Smart Land per adottare una visione generale integrata tra spazi costruiti e spazi aperti rurali. Le tecnologie sono il mezzo, non il fine; un valido supporto che non può sostituire un pensiero ambientale più complesso. L’attività produttiva esistente di tipo agricolo, come ci chiede l’Europa, dovrebbe essere valutata per la sua impronta ecologica tra produzione, consumo di acqua, trasporto e quindi tra impronta ecologica complessiva e consumo finale del prodotto. Su questo nuovo paradigma, che apre il tema della sostenibilità della produzione agricola, la tecnologia può essere un valido strumento di gestione e controllo ambientale della produzione».

Siamo di fronte a cambiamenti epocali che investono non soltanto le città, i territori e il loro sviluppo, ma soprattutto le persone, che sono protagoniste con le loro attività e con la loro quotidianità. Quali sono gli elementi chiave per garantire una buona qualità della vita sia nelle città che nelle zone rurali? Come possiamo promuovere la coesione sociale e l’inclusione in entrambi i contesti?

«Promuovere la coesione sociale e l’inclusione, soprattutto nelle aree rurali, deve necessariamente passare dall’erogazione di servizi con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita di chi vive in campagna attraverso l’organizzazione e la predisposizione dei servizi primari necessari. Tale paradigma era stato ampiamente descritto da una legge nazionale sulle aree interne di Fabrizio Barca (Ministro Per la Coesione Territoriale del Governo Monti) che ha predisposto una specifica pianificazione con progetti ubicati nelle aree interne del Paese, comprendenti soprattutto la dorsale appenninica interessata da massivi eventi di abbandono da parte della popolazione. Tale progettualità andrebbe recuperata e rimodulata anche per le aree meno presidiate della pianura Padana. Favorire la presenza delle persone sul territorio significa infatti mantenere un presidio ecologico e ambientale a garanzia dei sistemi naturali. La sua mancanza accentua i fenomeni di dissesto idrogeologico e il peggioramento dei parametri ambientali e paesaggistici generali».

Una visione ampia e strategica, dunque, che sarà possibile soltanto attraverso un approccio sinergico, che metta agli stessi tavoli le competenze e le professionalità coinvolte nel processo di pianificazione e nella successiva operatività, la politica, gli amministratori, le aziende e le realtà economiche dei territori. Tutte quelle figure che in gergo tecnico vengono definite “stakeholder” e che, in armonia con gli abitanti dei territori siano disposti a riprogettare non soltanto i loro spazi e le loro destinazioni d’uso, ma il senso stesso del vivere e dell’abitare, che finalmente ritrovi l’equilibrio con la biosfera che negli ultimi secoli abbiamo calpestato e smarrito.