bontà

N.53 Ottobre 2024

virtuale

Bene o male… resta un (video)gioco

Incontro con Marco Farina, in rete Farenz, youtuber cremonese specializzato in videogames: a lui abbiamo chiesto che differenza c'è tra scelte buone e scelte cattive durante una partita

Che sia da telefono, da un computer o da una console, ha poca importanza. Almeno una volta nella vita è capitato a tutti di provare un videogioco! L’intrattenimento rimane la prerogativa principale, ma forse, dietro a quell’insieme di pixel che cambiano colore sullo schermo, ci potrebbe essere qualcosa di molto più profondo di un semplice passatempo.

I generi sono tanti, le storie un’infinità, ma i personaggi sono ancora più numerosi, ognuno con un background che la maggior parte delle volte viene percepito come qualcosa di positivo o di negativo. Bene o male in parole povere, due estremi di una realtà che raramente è capace di inserirsi in maniera inequivocabile all’interno di uno dei due cassetti morali.

Ad approfondire la questione, qualcuno che del gaming ha fatto il proprio cavallo di battaglia. Youtuber? Da sempre. Streamer? Anche agli orari più strani. Papà? 24 ore su 24. Cremonese? Fino al midollo. Marco Farina, in rete Farenz, dal 2008 è presente su YouTube col suo canale AngoloDiFarenz, nel quale tratta principalmente questioni legate al mondo del gaming in maniera precisa e professionale, ma oggi proviamo a portarlo fuori dalla sua comfort zone, spostando il focus da una visione tecnica del videogame ad una più morale e intricata.

«Tu comandi un protagonista che ha delle motivazioni
e ti porta a capire il perché delle sue azioni.
Arrivati alla fine delle vicende resta la libertà
di condividere o meno quello che si è vissuto nella realtà virtuale,
e resta un messaggio che può far riflettere»

Ma partiamo dall’inizio. Farenz, classe 1981, scopre i videogiochi passando il tempo ai cabinati della sala giochi mentre il papà guardava la partita. Arriva poi in casa la prima console, gli anni passano, ma la passione rimane. Link e Mario lo accompagnano come compagni fidati, due degli eroi più positivi che si possano immaginare. Ma esistono solo protagonisti buoni? A volte capita di interpretare un protagonista antieroico, come per esempio Kratos di God of War. Spiega Farenz che «il fatto che non si interpreti sempre un personaggio positivo è un elemento, nel caso di God of War, inserito in un contesto di spettacolarizzazione che ti mette davanti ad un male superiore rispetto a quello che rappresenta il tuo personaggio. Nel tuo essere cattivo andavi contro qualcuno che lo era di più». Una sorta di visione machiavellica che vuole però dare al giocatore un’esperienza visivamente appagante, senza soffermarsi su tematiche morali complesse.

È anche vero che spesso la scelta morale vien messa direttamente nelle mani del giocatore, infatti «ci sono giochi che richiedono scelte sono articolate, altri dove le decisioni vanno ragionate», riflette lo youtuber cremonese. «Tu comandi un protagonista che ha delle motivazioni e ti porta a capire il perché delle sue azioni. Arrivati alla fine delle vicende resta la libertà di condividere o meno quello che si è vissuto nella realtà virtuale, e resta un messaggio che può far riflettere».

La distinzione tra vita reale e spazio virtuale rende forse più difficile indicare con precisione cosa sia giusto e cosa no. Certo non è il videogioco a condurre la partita, ma il bagaglio emotivo e culturale del giocatore che determina le scelte che verranno fatte giocando. Si ribalta la prospettiva: spetta alla consapevolezza e alla maturità del giocatore riconoscere e distinguere cosa è bene e cosa è male. «Anche per questo i giochi che trattano questioni complesse sono vietati a certe fasce d’età, così da poterli giocare solo quando un ragazzo abbia già un’idea di quale sia il suo carattere, un proprio sistema di valori come riferimento».

Non è il videogioco a condurre la partita,
ma il bagaglio emotivo e culturale del giocatore
che determina le scelte che verranno fatte giocando

Ma come giustificare allora chi, nei videogiochi, decide di percorrere un percorso negativo? Alla luce della sua esperienza trentennale, Farenz sottolinea che «agire in maniera negativa è una questione di curiosità. A me è capitato di giocare facendo scelte sbagliate, ma solo per vedere dove queste mi avrebbero condotto nella dinamica del gioco, avendo però ben chiaro di non condividere le azioni intraprese dal mio personaggio». E ancora: «Le case produttrici di videogiochi vogliono raccontare una storia, e tramite questa fanno sperimentare delle emozioni. E proprio di questo si tratta: una sperimentazione, che fatta attraverso uno strumento non implica di per sé nulla di negativo». La posizione di Farenz è chiara, in un periodo in cui reale e virtuale sembrano essere sempre più collegati, non bisogna confonderli: «Un videogioco non deve essere interpretato come un libro pieno di nozioni, il suo scopo non è quello di prepararti alla vita».

È finzione che non può essere presa come un insegnamento, tantomeno come un modello, ma come un’esperienza di svago, appagante e divertente, che tocca la vita spingendo sulla leva delle emozioni. Come una fiction di cui – però – sei ben più che spettatore.

È, infatti, il giocatore che determina, dove c’è la possibilità, l’andamento della sua storia all’interno del gioco, e questo perché ha un ruolo attivo nelle vicende. Guardare un film chiede al pubblico di ascoltare in maniera passiva, e così si riceve un messaggio. Giocare vuol dire diventare protagonisti, applicando ai fatti narrati il proprio modo di vedere il mondo. «Il grande valore di un videogioco – osserva Farenz – è nella sua capacità di costruire e comunicare delle storie, capaci di coinvolgere anche se sono molto lontane dalla vita normale. È proprio questo il bello dei videogiochi, anzi, secondo me  la cosa più bella». Uscire dalla realtà, oppure guardarla da un punto di vista diverso, unico e personale, staccarsi per qualche ora dal concreto per vivere una storia in cui si ha sempre una seconda possibilità, dove non c’è nessuno che impedisce di essere quello che si vorrebbe diventare, dove l’unico limite è quello della propria immaginazione.

Una realtà virtuale che può essere buona o meno buona, ma che in fondo non impedisce mai a chi gioca di scegliere.