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N.02 Giugno 2019
Le buone vibrazioni arrivano dal Punjab
Si chiamano Bhangra Vibes sono figli di famiglie sikh immigrate dall'India e tengono vivo il legame con la terra d'origine attraverso la danza tradizionale che ha i colori della primavera
Si allenano in quella che una volta era una scuola elementare, oggi dismessa come accade in tanti piccoli paesi. Il Comune di Solarolo Rainerio ha però intelligentemente lasciato le aule a disposizione di chi ha bisogno – come questi giovani ragazzi sikh – di un luogo e di spazi per iniziative culturali, sportive, creative ed educative. E i Bhangra Vibes sono tutto questo: un mix esplosivo di fierezza culturale, audacia creativa nel ballo e gioia nel trasmettere una tradizione. Praticano insieme da ormai cinque anni il Bhangra, una danza tipica del loro Paese d’origine: il Punjab indiano. Si tratta, ci raccontano, di uno Stato povero e prevalentemente agricolo dove i sikh lavorano la terra e praticano il sikhismo, una religione monoteista nata circa 500 anni fa in una regione che all’epoca comprendeva molte aree oggi divise tra Pakistan e India. Tre, spiegano i ragazzi, sono i capisaldi della loro fede: l’onestà e l’impegno nel lavoro e nei rapporti umani, la condivisione con gli altri di ciò che si ha e la certezza della presenza divina nella vita di tutti i giorni.
Li abbiamo incontrati durante uno dei loro allenamenti settimanali: Ajay , Harvinder, Maninder, Nirbhay, Mandeep, Ajay Singh , Hazur e Davinder sono i loro nomi. Fuori il tempo ha deciso di non essere clemente e grandina. Loro, invece, di clemenza ne hanno fin troppa quando gli chiediamo di indossare gli abiti tipici per qualche scatto fotografico. Clemenza, dicevamo, perché la preparazione del turbante è lunga e meticolosa e richiede tempo. Una volta indossati i coloratissimi vestiti tipici, l’intervista e gli allenamenti hanno inizio.
È Harvinder a raccontarci le origini di questa danza nata come ringraziamento per il raccolto primaverile e che porta però con sé anche il messaggio religioso del sikhismo. E cioè che non esistono caste o religioni l’una più forte dell’altra, ma solo relazioni di uguaglianza tra gli uomini.
«Siamo giovani – racconta – ma per noi imparare e portare avanti questa tradizione significa mantenere viva la memoria delle nostre radici». Spiega che spesso tra le vecchie e nuove generazioni di immigrati si creano incomprensioni, perché i più vecchi sono legatissimi alla terra natale, mentre i giovani si integrano con velocità e magari tendono a dimenticare l’India, i suoi usi e costumi. Il ballo invece è la sintesi perfetta dell’integrazione: «Ha un valore enorme perché mantiene forti i legami con il Punjab ma allo stesso tempo noi – che qui viviamo perfettamente integrati – lo insegniamo o lo portiamo nelle piazze perché è come presentarsi, dire all’altro: questi siamo noi, non c’è da avere paura».
«Praticando il ballo – spiega invece Mandeep – ho riscoperto la mia cultura e la mia storia. I movimenti che facciamo richiamano la gestualità del raccolto e sono anche un ringraziamento se quest’ultimo è stato ricco. Per questo indossiamo abiti così colorati che ricordano l’esplosione di colori della natura in primavera».
Si muovono ritmicamente, il tempo è scandito da uno strumento chiamato dhol. «La musica e il ballo sono un modo per trasmettere vibrazioni positive e per stare con i miei amici. Balliamo insieme, scegliamo insieme le canzoni su cui inventare passi nuovi per le nostre performance. Danziamo folk su musica moderna. È bellissimo”.
E basterebbe passare qualche minuto con loro per cancellare ore e ore di discorsi sull’integrazione. Parlano italiano e ballano indiano, studiano da ingegneri, da grafici, lavorano nei campi o nei distributori di benzina, ma ognuno di questi ragazzi ha un’incredibile sete di vita.
Tra di loro c’è chi è più tradizionalista e indossa il turbante ogni giorno, portando barba e baffi così come chiesto dai guru del sikhismo e c’è chi invece veste all’occidentale senza curarsi troppo dei simboli esteriori. Qualcuno ancora possiede la simbolica sciabola sikh perché, come spiega Nirbhay (il cui nome significa “senza paura”) «i sikh nascono anche come gruppi di difesa contro le ingiustizie, guerrieri che combattevano con coraggio per poter vivere con onestà».
Ecco perché la domenica, ancora oggi, si ritrovano quasi tutti insieme a pregare nel tempio che è anche un luogo di aggregazione sociale, con una mensa dedicata a chiunque voglia condividere cibo e acqua insieme. E non importa che tu sia cristiano, musulmano o di qualunque altra fede: il posto è per tutti. Il tempio più grande d’Europa si trova proprio a Pessina Cremonese; raccoglie ogni settimana più di 500 persone, perché la presenza sikh in Italia è poderosa. Purtroppo non tutti vivono in condizioni degne, come raccontato nello straordinario documentario “The Harvest” che denuncia lo sfruttamento dei braccianti indiani nelle campagne dell’Agro Pontino e nel quale anche i Bhangra hanno recitato una parte «perché – spiegano – era giusto che si sapesse cosa sono costretti a vivere tanti di noi, ma anche chi siamo. E grazie al docu-musical abbiamo persino incontrato Papa Francesco!», ci raccontano ancora con orgoglio i Bhangra, che sono stati ricevuti a Roma dal Pontefice nell’agosto del 2018 e hanno ballato al Circo Massimo di fronte al Santo Padre e a 70mila giovani italiani. «Le nostre danze sono state però anche un modo per squarciare il velo di indifferenza e ignoranza su un fenomeno, quello del caporalato, che purtroppo esiste ancora in tante parti d’Italia». Ci sono luoghi dove i lavoratori vengono costretti a turni massacranti (fino a 14 ore di lavoro) con paghe da miseria (si va dai 2 ai 4 euro l’ora), per non parlare delle violenze e delle ingiustizie subite da chi non regge questi ritmi disumani.
Ecco allora che ballare e portare “vibrazioni positive” diventa uno dei mezzi per dare voce al messaggio sikh: siamo tutti uguali, possiamo convivere in pace e in prosperità. Basta avere il coraggio di guardarsi negli occhi, di danzare insieme. Di accogliersi.