città

N.03 Settembre 2019

TRA LE CASE

Le solitudini della porta accanto

La storia di Lucia, sola alle prese con la malattia, finché qualcuno l’ha incontrata e si è preso cura di lei. Con dignità

Giuseppina vive a Cremona, in uno dei quartieri più abitati e complessi della città. E’ una donna vivace, gentile, molto attenta agli altri senza mai essere invadente. È così che un giorno si accorge che Lucia, la sua vicina di casa, ha qualcosa che non va. Stranezze, all’inizio. La luce della cucina accesa a notte fonda, il buongiorno scambiato con un buonasera, e poi quegli strani abbinamenti di vestiti. Lei, Lucia, non avrebbe mai indossato un golfino del colore sbagliato: ci aveva sempre tenuto molto a uscire in ordine e perbene.
Una mattina Giuseppina vede l’anziana signora in piedi davanti alla porta di casa, con lo sguardo perso. Era come se non riconoscesse nulla intorno a lei. E così avverte un’amica che collabora con un gruppo di volontari della parrocchia, legati alla San Vincenzo De’ Paoli e a Caritas. In questo gruppo – e sarà questa la fortuna di Lucia – opera una donna mite ma straordinaria: Barbara. È un’operatrice della Cooperativa cremonese “Altana”, guidata dal presidente Bruno Tira e da oltre quarant’anni una presenza stimata e accreditata sul territorio per i servizi alla persona e alle problematiche sociali delle comunità. È proprio Barbara – come custode sociale – a prendere in cura Lucia. Vengono attivati da subito il SAD (servizio di assistenza domiciliare) e l’assistenza infermieristica perché la donna è sola, non ha più nessuno. Il marito era morto molto anni prima, il figlio ucciso da una dipendenza e poi quel nipote lontano – ormai residente all’estero – che non sente mai… Le rimane solo una malattia silenziosa e bastarda: l’alzheimer.
Comincia così un cammino fatto di sostegno non solo socio-assistenziale, ma anche umano. È l’operatrice stessa a raccontarcelo: «Aveva bisogno di tutto, ma con una malattia del genere bisogna essere delicati. La accompagnavo dal medico, controllavo che in frigorifero ci fosse del cibo e che non fosse scaduto, la sostenevo nei momenti più bui, quando le allucinazioni giocano brutti scherzi e le paure sembrano reali. Una notte ricordo che mi chiamò spaventata, convinta che ci fosse qualcuno di armato nel suo bagno. Non c’era nessuno. Un’altra volta sbagliò giorno e ora dell’appuntamento con il dottore e se ne rammaricò tantissimo. La confusione avanzava e lei non se ne faceva una ragione. Era quasi impossibile aiutarla a lavarsi: in certi contesti anche cose che ci sembrano banali come l’igiene personale, la cura, il mangiare o prendere delle medicine diventano ostacoli che sembrano impossibili da superare».

«Non so cosa fare oggi
non ho da offrire niente a nessuno
Domani, chissà…
Chiedo un po’ di luce»

Agli inizi di questa nuova, strana amicizia, è Lucia a raccontare a Barbara cosa sta vivendo. E Barbara se lo appunta, per non dimenticarsene mai nel suo lavoro. «Quando eravamo giovani eravamo tutti felici perché avevamo la mamma, il papà e i fratelli e una casa dove vivere insieme… Non so cosa fare oggi. Non so cosa fare, non ho da offrire niente a nessuno. Domani, chissà…chiedo un po’ di luce».
Quando ho sentito queste frasi mi sono commossa fino alle lacrime per queste due frasi. «Non ho più niente da offrire, chiedo un po’ di luce». Commossa perché il grido di Lucia è in fondo il grido di ciascun uomo. Tutti desideriamo essere felici, poter essere utili a qualcuno, essere guardati e amati.
E Lucia, a 80 anni, nella solitudine della sua casa popolare, chiedeva solo questo: di essere guardata e di non essere trattata come “un caso da sistemare”, ma come una persona a cui voler bene e che poteva ancora voler bene.
Con Barbara e Giuseppina sarà così. Sono loro due a diventare – giorno dopo giorno – i suoi angeli custodi. Finché la malattia non diventa troppo aggressiva.
«La fase dell’invecchiamento, del decadimento, è forse il periodo peggiore da accettare – racconta ancora Barbara – Nessuno vuole ammettere di essere fragile e ancor più di dover chiedere aiuto. Così noi operatori della Cooperativa accompagnamo queste persone con amore, cercando di far vedere loro che anche se si perdono alcune capacità è possibile reinvestirle però in altro. È una questione di dignità». Per questo l’animazione, l’aiuto nelle faccende domestiche, un rapporto di relazione che cerca di includere anziani, operatori e famiglie e la valorizzazione delle potenzialità di ciascuno sono i capisaldi attorno ai quali ruota l’azione della Cooperativa “Altana”.

Chiedeva solo di essere guardata
e di essere trattata come
una persona a cui voler bene
e che poteva ancora voler bene

Barbara si commuove, ripensando a quell’anziana signora. «È mancata poche settimane fa. Dopo alcuni anni seguita da noi, negli ultimi mesi era stata ricoverata in una casa di riposo, sembrava non capacitarsene, ma al fondo sapeva che era la cosa migliore: lì è stata seguita ancor più da vicino».
Se ne è andata, Lucia. Non più sola questa volta. Anche Barbara e Giuseppina hanno guadagnato qualcosa, dal rapporto con lei: la consapevolezza che – al fondo – tutto questo tempo insieme è stato una ricchezza inestimabile. Storie come queste insegnano tutti noi ad alzare lo sguardo, e forse a essere un pochino più grati ai nostri anziani e a chi si fa carico delle loro solitudini e delle loro difficoltà come fa “Altana”. Perché – come recita un proverbio africano caro alla Cooperativa– “il giovane cammina più veloce dell’anziano, ma l’anziano conosce la strada”.