stelle

N.04 Ottobre 2019

TECNICA E FILOSOFIA

L’orologio che misura minuti e corpi celesti

Nell'ultima sala del Museo Verticale del Torrazzo c'è l'orologio obelisco: una macchina perfetta che scandisce il tempo della vita quotidiana e intanto punta le lancette al cielo

Il signore del tempo è incline al ritardo. «Gli impegni sono molti, e poi vi svelo un segreto: il tempo non esiste». Non male, come inizio. Alessandro Maianti è presidente del Gruppo Astrofili Cremonesi, angelo custode dell’orologio astronomico del Torrazzo e una delle menti del Museo Verticale, l’esposizione all’interno della torre cremonese dedicata alla misurazione del tempo. Per un giorno è stato anche la nostra guida alla scoperta dell’orologio obelisco: un prodigio di meccanica nato dalle sue precise mani e dal suo ingegno raffinato; una torre nella torre che scandisce i secondi nell’ultima stanza del museo (dedicata all’astronomia, con al centro il gigantesco pendolo di Focault). Per arrivarci si ascende dalle rive del Purgatorio fino all’Empireo, come nella Divina Commedia; e prima di fissare i suoi quattro occhi rotanti è indispensabile conoscere, nelle sale sottostanti, gli stratagemmi inventati dall’uomo per scandire le ore, come è indispensabile per Dante parlare con Catone prima di presentarsi a San Pietro.

La storia della misurazione del tempo è un viaggio affascinante tra eserciti in marcia all’alba e marinai dispersi fra i flutti, tra pastori che scrutano il sole e viandanti in cerca di un riparo per la notte. Sin dall’inizio, per orientarsi nel continuum temporale, l’uomo ha cercato un riferimento esterno che non fossero i segnali inviati dal suo stomaco. L’ha trovato negli astri celesti, nel sole che dipinge le ombre, nella luna che determina settimane e mesi, nelle stelle che indicano la rotta. Poi ha affinato l’arte meccanica per costruirsi un tempo tutto suo battuto dagli orologi. Il primo svegliarino nasce nel XIII secolo in ambito monastico. Il suo scopo: destare i Fra Martino per suonare le campane e chiamare a raccolta i fratelli. È il Tempo della Chiesa, la successione rituale di lavoro e preghiera. Quando, nel Basso Medioevo, subentra il Tempo del Mercante, quello del denaro, dell’usura, dei traffici redditizi, il mondo compie una nuova rivoluzione. Nel Seicento Galileo inventa il pendolo e il tempo inizia ad andare un po’ più a tempo. Col pendolo Focault dimostra che il nostro pianeta ruota, e un pendolo di Focault è quello che oscilla ogni secondo alla base dell’orologio obelisco, appeso a una corda di chitarra. «Di quale nota? Questo è un segreto del mestiere».

È come se i mondi meccanici
dell’orologio obelisco
si fossero liquefatti
al pari degli orologi di Dalì

L’orologio del professore Maianti è un compendio di strumenti di misurazione del tempo, un’enciclopedia astronomica, un manuale di credenze astrologiche dalla forma di antico obelisco. Sopra al pendolo occhieggiano quattro quadranti. Il primo, partendo dal basso, riproduce la Terra vista dal Polo Nord. Ruotando in sincronia con il movimento terrestre, la corona esterna indica l’ora nelle varie parti del mondo. Un’asta curva dal nome sinistro – il terminatore – separa il giorno dalla notte, come Dio nella Genesi. «Ora in Giappone vedono il tramonto, in Sudamerica l’alba» spiega Maianti.

Il secondo occhio riproduce il quadrante originale dell’orologio del Torrazzo, prima del rifacimento del Ravizza nel Settecento: il centro è la Terra, secondo la concezione tolemaica, intorno ruotano il sole e la luna che peregrinano da una costellazione zodiacale all’altra. Quando i due astri si incontrano sotto l’indice del Drago – l’asta che impiega 18,61 anni per compiere una rotazione — da qualche parte del nostro pianeta è visibile un’eclissi.

Il terzo quadrante ha conosciuto Copernico e spostato il sole nel mezzo coronato da Pianeti erranti, nel quarto sono le stelle dell’emisfero boreale a muoversi, disegnando lo stesso spicchio di cielo che osserviamo la notte dalla finestra. Nella cassa di legno è nascosto l’ingranaggio “che move il sole e l’altre stelle”: un inno tecnologico all’intelletto umano. «È composto da una parte elettronica e da una meccanica, con sistemi di riduzione che portano al risultato visibile sui quadranti» racconta Maianti. «Non è un meccanismo “mostruoso”, nel senso che ho voluto realizzare il sistema migliore con il minor numero di componenti possibile. Per farlo, mi sono aiutato nei calcoli con un computer che ha impiegato più di due ore a processare il risultato. La progettazione è durata 5-6 anni, la realizzazione tra i 3 e i 4: il suo cuore ha iniziato a battere nel 2007».

Il suo cuore tecnologico,
la sua anima metallica
invitano a mettere da parte
le nostre certezze
e a meravigliarci dell’ovvio

Da oltre un decennio l’orologio obelisco alterna infallibilmente le albe e i tramonti, spinge avanti i corpi celesti, impone la sua legge ritmica in tutti gli universi, esistenti e inesistenti (come quello tolemaico). Il suo ticchettio ineluttabile è il Dio “orologiaio” di Leibniz che sincronizza i mondi in un’armonia perfetta. Il suo tempo è il nostro tempo, quello che abitiamo con disinvoltura, quello a cui facciamo riferimento quando diciamo “ci troviamo alle 18 per un aperitivo”, persino quello che mette fine alle partite di calcio dopo 90 minuti. Eppure dietro a questo tempo rassicurante – con l’andare del tempo – sono sorti tempi problematici. Il filosofo francese Henri-Louis Bergson, nei primi del Novecento, osa dire che il tempo reale non è quello dell’orologio ma quello vissuto della coscienza: è il tempo “che non passa mai” mentre la professoressa spiega, o “che passa troppo in fretta” quando siamo con l’amico del cuore. Albert Einstein, che conosce Bergson, manda in frantumi il concetto di simultaneità, l’idea che ci sia un “adesso” che valga contemporaneamente per tutti i luoghi dell’universo: il suo tempo si dilata, rallenta più ci si avvicina a un corpo massivo, cioè più il campo gravitazionale si fa intenso, e accelera in caso contrario. Chi vola su un aereo (quindi un po’ più lontano dalla massa del nostro pianeta) invecchia più rapidamente di chi rimane con i piedi ben saldi a terra. Il tempo diventa una schiuma granulare nelle ultime teorie della fisica, oppure il senso dell’uomo e della sua comprensione secondo il filosofo tedesco Martin Heidegger, con buona pace per quel moto sempre uguale e indifferente delle lancette.

È come se i mondi meccanici dell’orologio obelisco si fossero liquefatti al pari degli orologi di Dalì. È come se scienziati, poeti, filosofi e scrittori si fossero fermati a riflettere di fronte alla perfezione dei quattro quadranti, gettandola in crisi. Tutti nel nostro piccolo dovremmo fare lo stesso. «Ogni persona, sin da quando viene al mondo, è presa nelle maglie del sistema scuola-lavoro-famiglia-impegni. Vive alla giornata, frenetica, immediata e irriflessiva come nei social network. Bisognerebbe fermarsi ogni tanto, meditare sul tempo e sul cielo, scendere nel profondo. In ultima analisi l’orologio obelisco serve proprio a questo» confida l’inventore. Il suo cuore tecnologico, la sua anima metallica invitano a mettere da parte le nostre certezze e a meravigliarci dell’ovvio.

Che cos’è il tempo?

Lo percepiamo, lo misuriamo, lo viviamo, ma non sappiamo nulla della sua natura. Se tutti gli orologi obelisco si arrestassero, se tornasse Giosuè a fermare il sole, se l’universo si congelasse sull’orlo di un buco nero, il tempo continuerebbe a fluire o cesserebbe di esistere? E cosa misurano gli orologi? In fin dei conti il passato non esiste più, il futuro non esiste ancora e il presente è un istante fuggente, come un fiume che scorre inafferrabile sotto un ponte troppo stretto per metterci piede. Ciononostante tutti capiscono se diciamo che “le vacanze quest’anno sono durate meno di quelle dell’anno prima” o “domani mi fermerò in ufficio più a lungo del solito”. Il tempo è il nostro compagno di vita, ma quando cerchiamo di conoscerlo si scioglie tra le mani come un fiocco di neve. Forse è un’illusione, l’effetto della presbiopia dell’uomo che non vede le particelle microscopiche della materia e si crede immerso in un mondo di cambiamenti misurabili. Oppure il tempo è interiore, come riteneva Sant’Agostino, e la sua misura non è altro che è un movimento dell’anima: il passato è memoria, il presente è attenzione e il futuro è attesa. L’anima connette le tre dimensioni temporali in un’unità, proprio come l’unità divina comprende nella sua eternità tutto ciò che è stato, è e sarà.

Mentre il pendolo suona la sua melodia misteriosa, mentre l’asta della luna rincorre quella del sole, mentre Giove entra in Sagittario e il Grande Carro fa capolino in cielo, la nostra mente si innalza fino a sfiorare Dio.

Il Museo Verticale non ha soffitto.