caos
N.47 febbraio 2024
Noi siamo erbacce. Elogio al caos
Una riflessione di don Bruno Bignami introduce al saggio del sociologo Mauro Ferrari sulla botanica sociale, elogio di chi spariglia le carte, di chi gioca con l’ordine costituito, di chi disegna una società diversa, di chi osa guardare «in direzione ostinata e contraria»
Su gentile concessione dell’editore “Altreconomia”, pubblichiamo la prefazione scritta da don Bruno Bignami, sacerdote cremonese direttore dell’Ufficio della Cei per il problemi sociali e il lavoro, al libro “Noi siamo erbacce, cos’è la botanica sociale”, interessante saggio del sociologo Mauro Ferrari, originario di Piadena.
IL LIBRO
Le erbacce sono spesso considerate come piante inutili o dannose, ma in realtà sono essenziali per la biodiversità e la sostenibilità degli ecosistemi. Allo stesso modo, le persone che vengono considerate come “erbaccia” dalla società dominante sono spesso le più innovative. Ferrari delinea un quadro sociale e politico che associa le erbacce a movimenti e individui che si oppongono alle norme costituite, incoraggiando il riconoscimento della bellezza e del valore della diversità… (altreconomia.it)
SCHEDA
Autore: Mauro Ferrari
Editore: Altreconomia
Collana: Libri, Storie
Anno: 2024
L’elogio del caos è foriero di mal di pancia. Per i maniaci dell’ordine coincide con la confusione. Per i cultori delle regole è vuoto normativo. Per i paladini dell’autorità costituita è mancanza di governo. Per i pianificatori del tempo è eccesso di libertà. Per i razionali è il tripudio del sentimentalismo.
Persino qualche appassionato di Bibbia potrebbe ricordare che il Creatore all’inizio ha messo ordine al caos. Dimentica però che il sesto giorno “Dio fece gli animali selvatici” (Gen 1,25): perché non prevedere solo quelli da allevamento o addomesticabili? Così anche per gli alberi e la vegetazione qualche giorno prima: le ha fatte di ogni specie… Senza diversità non c’è realtà.
La botanica sociale tesse l’elogio di chi spariglia le carte, di chi gioca con l’ordine costituito, di chi disegna una società diversa, di chi osa guardare “in direzione ostinata e contraria” (F. De Andrè) rispetto alla massa. La metafora delle erbacce, al centro di questo libro, è fondamentale per capire il valore dell’imprevedibile, il senso di ciò che appare inutile, la bellezza di ciò che ingombra, destabilizza e dà fastidio. Anche l’ortica nel giardino ha il suo perché! In campo sociale vengono così contestate forme esasperanti di controllo che si fanno sempre più razionali e pianificate. Nelle grandi metropoli del mondo compaiono quartieri recintati, accessibili solo a pochi eletti (il contrario della piazza per tutti). Nelle distese pianure coltivabili ha preso piede il fenomeno del land grabbing, dove le terre sono in mano a multinazionali che ed è diventato mainstream. Il capitalismo conosce il libero movimento di capitali, ma tiene a bada con muri gli spostamenti dei popoli. Le merci sono senza confini e i confini servono a controllare le persone. Le regole diventano facilmente regolamenti di conti. Proprio nella società dell’ordine ecco farsi strada un elemento di rottura.
La botanica sociale tesse l’elogio
di chi spariglia le carte,
di chi gioca con l’ordine costituito,
di chi disegna una società diversa,
di chi osa guardare
“in direzione ostinata e contraria”
Giovani che gridano il loro diritto a un futuro perché non esiste un pianeta B. Mamme che si ribellano all’industria chimica che altera il sangue dei figli. Lavoratori che danno le dimissioni di fronte a condizioni di sfruttamento. Donne che ridisegnano l’urbanistica delle città a misura di passeggini. Imprenditori che aprono pizzerie per dare opportunità a ragazzi autistici. Migranti che pagano le tasse in un Paese straniero contribuendo al welfare di chi li vorrebbe tenere a distanza. Obiettori di coscienza che rifiutano di uccidere in guerra. Contadini che non sottostanno ai dictat delle multinazionali dei semi e dei diserbanti.
Studenti che scendono in piazza per gli affitti delle case. Cittadini che protestano diritti. Navi che rischiano salvataggi di migranti in mare. Famiglie che si aprono all’adozione e all’affido di minori. Persone che adottano un vicino anziano…
La metafora delle erbacce rimanda al suggerimento che san Francesco d’Assisi dava ai suoi frati di lasciare una parte dell’orto del convento “non coltivata, perché vi crescessero le erbe selvatiche, in modo che quanti le avrebbero ammirate potessero elevare il pensiero a Dio, autore di tanta bellezza. Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode” (LS 12).
La metafora delle erbacce rimanda al suggerimento
che san Francesco d’Assisi dava ai suoi frati
di lasciare una parte dell’orto del convento «non coltivata,
perché vi crescessero le erbe selvatiche,
in modo che quanti le avrebbero ammirate
potessero elevare il pensiero a Dio, autore di tanta bellezza»
La citazione di papa Francesco illumina un pensiero sulla biodiversità, sul valore non utilitaristico delle cose, sulla contemplazione come segreto della vita. Lasciare spazio all’inatteso, al dono, all’imprevisto migliora la vita. Del resto, il messaggio di Gen 2,15 invita a «coltivare e custodire». In termini più ampi, possiamo interpretarlo come un lasciapassare per intervenire sulla creazione (coltivare) ma anche una saggezza a fermarsi perché non tutto è disponibile, materiale per le voglie umane (custodire). Non capita così nei confronti della creazione? Possiamo pensare l’Amazzonia e le foreste pluviali dell’Africa o del Sudest asiatico come bene comune dell’umanità oppure vanno derubricate a proprietà statali o private? A chi appartengono i ghiacciai dell’Antartide o della Groenlandia, che sono a garanzia di un equilibrio climatico di tutto il pianeta? Parafrasando Qoelet, c’è un tempo per coltivare e un tempo per custodire, ci sono luoghi da lavorare e luoghi da preservare…
La riflessione di Mauro Ferrari si colloca in piena sintonia con il paradigma dell’ecologia integrale di “Laudato si’”. I problemi sociali e quelli ambientali si prendono per mano. Anzi, sembra suggerirci l’autore, la natura rivela molto del mondo sociale. Le specie aliene fanno comprendere cosa accade nei fenomeni sociali. Queste connessioni sono illuminanti per capire la vita e per allenarci ad assumere uno sguardo diverso sulla realtà. Viene alla mente il geniale cortometraggio di Alice Rohrwacher “Omelia contadina” (2020). La celebrazione del funerale dell’agricoltura da parte dei contadini dell’Altopiano dell’Alfina, al confine tra Umbria, Toscana e Lazio, non chiude quel mondo nella rassegnazione. Un contadino esprime nella dichiarazione conclusiva la sintesi del discorso: “C’avete seppellito, ma non sapevate che eravamo semi!”. In fondo, l’elogio del caos è un inno alla vita che tende sempre a sbocciare, che non si spegne nonostante tutto. Talvolta anche nelle crepe dell’asfalto fa capolino un fiore che sa farsi strada persino in un ambiente inospitale. C’è sempre speranza. Siamo fatti per incominciare, non per (far) morire. Viva le erbacce, germogli di resurrezione.