piaceri
N.11 Maggio 2020
Pedalando sulle salite di Watopia
L'isolamento non ha cancellato lo sport ma ha dato vita a discipline surreali filtrate da un monitor Aspettando il moviolone per accapigliarci alla riapertura dei bar
In principio, ci siamo sentiti come Gregor Samsa al risveglio. Se non proprio scarafaggi, noi sportivi abbiamo provato la netta sensazione di disagio sulle soglie della quarantena. I nuovi Mennea considerati untori errabondi, gli emuli di Coppi guardati con sospetto anche quando non procedevano affiancati in mezzo alla carreggiata. Persino il pallone è rotolato a valle negli indici di gradimento: recupero o non recupero? Gioco a porte aperte o gioco a porte chiuse?
Ma chissenefrega! Ci sono cose più serie a cui pensare, l’ha detto anche l’allenatore del Liverpool: «Il calcio ora non è importante, pensiamo alla salute».
L’imbarazzo è durato una settimana, il tempo necessario perché si compisse la metamorfosi in un mondo senza sport. Sette giorni per sprangare gli spogliatoi, chiudere a chiave i palazzetti, riporre le racchette nelle sacche, svuotare le piscine, fermare gli impianti di risalita. I runner si sono incatenati al divano come Ulisse con le sirene, i ciclisti hanno nascosto le bici in garage – lontano dagli occhi, lontano dal cuore.
È successo quello che mai era successo in epoca moderna, nemmeno durante i conflitti, quando pure tedeschi e britannici lasciavano le trincee della Grande Guerra per giocare a calcio. È successo che ogni attività sportiva è stata sospesa. Stay at home e andrà tutto bene.
L’ibernazione è durata poco, beninteso. Perché fare sport è un istinto irrefrenabile, come chiudere gli occhi quando si starnutisce. L’uomo è un animale che si annoia rapidamente e deve escogitare in continuazione nuove formule di piacere. Così lo sport, lasciato fuori dalla porta, è rientrato dalla finestra nelle nostre case sigillate, semplicemente adattandosi alla situazione – e agli spazi esigui.
Ecco un florilegio di discipline sbocciate dal terreno della quarantena (avvertenza: il sollevamento della forchetta non è contemplato)
La diretta Instagram
Tappetino in gomma, tuta in lycra Anni 80, iPad appoggiato al mobile con il massimo volume per ascoltare gli ordini impartiti dall’istruttore. Le lezioni sui social hanno smosso le nostre pigre coscienze. Danza, pilates, yoga, aerobica: nel segreto dei salotti siamo diventati dei solitari John Travolta o delle Jamie Lee Curtis del film “Perfect”. Mancavano solo i capelli cotonati, stante la serrata dei parrucchieri.
La challenge
Anche le vostre bacheche si sono riempite di amici in equilibrio sulle braccia, a testa in giù e gambe per aria, o pietrificati per minuti su gomiti e punte dei piedi? Se uno di loro vi ha “nominato” invitandovi a fare altrettanto, ecco: avete scoperto il sadismo digitale della challenge.
Gli eSports
Perché chiamarli “videogame” nel 2020 è old fashioned. Costretti all’inattività, praticamente tutti gli sport professionistici si sono convertiti alle sfide virtuali. I calciatori Leao ed Esposito hanno dato vita a colpi di joystick al derby Milan-Inter (2-2 il punteggio al triplice click). Charles Leclerc ha dominato gran premi facendo rimpiangere ai ferraristi una stagione mai iniziata. Andy Murray ha vinto il Masters1000 di Madrid seduto alla PlayStation. Con 903mila spettatori, la prima gara di eNascar è diventata l’evento di sport virtuale più seguito nella storia della tv americana.
Pedalare a Watopia
Discorso a parte meritano i simulatori, dove il gesto atletico di uno sport non si trasforma in una sequenza di pulsanti da schiacciare, ma viene replicato il più fedelmente possibile. L’esempio principe sono i rulli per ciclisti. Il lockdown è stato accompagnato da un’impennata nelle vendite di smart trainer, moderni strumenti di tortura a cui agganciare le proprie biciclette e pedalare restando fermi, ma avvertendo le stesse sensazioni di un’uscita in strada. Il rullo comunica – ahinoi – con una app: quando il nostro avatar, che zompetta nello schermo del computer, raggiunge una salita, di colpo la pedalata diventa più difficile, come se un burlone ci tirasse di continuo i freni. Il web permette ai ciclisti di pedalare insieme (o contro) sulle stesse strade virtuali. Con questo sistema, i professionisti hanno corso il Giro delle Fiandre e addirittura il Giro d’Italia rimanendo nelle loro camere. Sono tante le applicazioni che simulano la realtà ciclistica con il concorso delle nostre gambe. La più famosa si chiama Zwift ed è riuscita a radunare migliaia di rullatori sull’isola immaginaria di Watopia. Gli sviluppatori evidentemente non abitano a Cremona: a Watopia non c’è un metro di pianura.
Varie ed eventuali
Proprio Watopia ha contribuito a scatenare istinti sacrificali. Dozzine di ciclisti si sono dedicati all’Everesting virtuale andando su e giù dalla salita più dura dell’isola (l’Alpe du Zwift), tante volte fino a totalizzare gli stessi metri di dislivello del monte Everest (8.848). Due inglesi hanno fatto lo stesso, ma a piedi, salendo e scendendo le scale di casa. Un mio amico ha corso avanti e indietro sul balcone per cento chilometri – giuro che è vero! Tra gli sport strani da quarantena rientrano il tennis giocato alla finestra e il bingo urlato dal balcone (i premi saranno stati spediti via posta o scagliati dal terzo piano?). Gli scommettitori in astinenza di sfide alla sorte sono diventati esperti di calcio bielorusso: la Vysshaya Liga è stato l’unico campionato di calcio (insieme alle massime serie di Nicaragua e Tagikistan) a non essersi mai fermato, in un Paese il cui presidente ha spiegato ai giocatori che basta fare tanta sauna e bere molta vodka per uccidere il virus. Decisamente migliore il “rimedio” sperimentato dai sacerdoti e seminaristi della Clericus Cup. Mentre la pandemia ha costretto a rinviare il Mondiale della Chiesa, loro si sono riuniti (a debita distanza) in tenuta da gioco per pregare in favore delle persone colpite dal Covid-19.
Tutto questo fino al 4 maggio, poi la creatività dell’homo sportivus si è arrestata improvvisamente. I ciclisti sono tornati ad avanzare mentre pedalano, i runner a correre senza abbattere soprammobili, i nuotatori a nuotare nel mare (purché non sostino troppo a lungo sulla battigia) e i pescatori a pescare sulle rive. Si sono riaperte le porte e ripopolate le strade. Si è riscoperto un piacere antico eppure nuovo, perché costretto per due mesi a passare attraverso la cruna di uno schermo.
Ho fatto questa esperienza in prima persona. Il giorno 9 maggio, alle ore 11:39, con una temperatura di 22° e un’umidità del 40%, ho inforcato la bicicletta e sono uscito nel mondo reale. All’inizio ci è voluto un po’ di tempo per reimparare a curvare e a impedire all’umore di assecondare la direzione del vento. Poi ci ho preso gusto. L’aria in faccia, l’ombra delle piante sull’asfalto, il saluto al ciclista in senso opposto, persino la litania di buche tra Annicco e Soresina che fa tanto Parigi-Roubaix.
Prima di rinchiudere nuovamente la specialissima in garage, avevo già dimenticato il fitness in streaming e i selfie sudati in camera da letto e mi ero riconciliato con lo sport. Quello vero. Perché la catarsi sportiva sia completa, ora non resta che attendere la ripresa del campionato con i suoi scontri e le sue polemiche.
Che senso avrebbe infatti riaprire i bar, se dentro non ci fosse nulla di cui discutere?