acqua
N.09 Marzo 2020
Pensare la resilienza prima del 2050
Lo studio cremonese degli architetti Ori e Arienti ha presentato alla Biennale di Pisa l'idea di un parco geotermico immaginato in termini radicali: un "cerchio" nel bosco dove l'acqua è energia, panorama e socialità
Sotto il suolo del monte Amiata ribolle un’intensa attività vulcanica. Per questo una società energetica multinazionale ha commissionato lì, sull’appennino Toscano, tra la Maremma, la Val d’Orcia, la realizzazione di una centrale geotermica. Al progetto sta lavorando lo studio Ori+Arienti di Cremona. «Il punto – spiega l’architetto Maurizio Ori – è l’armonizzazione tra ingegneria, architettura e paesaggio, considerando sempre il piano della sostenibilità sociale, che passa necessariamente attraverso la condivisione con le popolazioni locali». Un’idea, per diventare progetto, deve trovare la sua narrazione. Così come l’energia dell’Amiata, per diventare risorsa, ha bisogno di un canale di trasmissione. «L’Acqua».
Per questo la Biennale di architettura di Pisa ha invitato lo studio cremonese all’edizione 2019 intitolata «Tempo d’acqua». Con una richiesta particolare: immaginare lo stesso progetto nel 2050. «Ci hanno chiesto di prevedere lo stesso impianto geotermico interpretando i principi che lo hanno ispirato in termini radicali».
Perché – spiega l’architetto in un video prodotto per la rassegna toscana – «dedicare tempo significa prendersi cura: e il nostro tempo dell’acqua è urgenza ed è necessità, visti i problemi energetici e le crisi climatiche che siamo chiamati ad affrontare».
Uso-riuso-riciclo: così è nato un… cerchio.
Una grande struttura, costruita su carta in 3D come succede per le ambientazioni di certi film ambientati nel futuro, avvolta da 50 ettari di bosco appenninico, nascosto e fremente nel cuore della penisola. E il cerchio è il simbolo di un ciclo vitale: «Prendiamo l’acqua dal sottosuolo, la trasformiamo in energia termica ed elettrica che alimenta il territorio circostante di luce e teleriscaldamento, poi la rimettiamo in falda per un nuovo utilizzo in un luogo della partecipazione con aree curative, per la socialità e la condivisione dei processi. La copertina del progetto è una suggestiva fotografia della Blue Lagoon, un celebre parco geotermico islandese: in primo piano visitatori che conversano rilassati in costume da bagno tra i vapori benefici della laguna, da cui, all’orizzonte, spuntano le ciminiere di un impianto industriale.
Acqua, energia, condivisione, produzione: nella progettazione le contraddizioni si fondono nello slancio innovativo.
«Resilienza» – definisce l’architetto Ori – che all’armonia tra grandi opere e ambiente dedica il suo studio quotidiano. «La resilienza è capacità di adattamento e richiede una profonda comprensione dei fenomeni ambientali, oltre a un’adeguata programmazione delle strategie per organizzare l’ambiente del futuro».
Ma a che cosa dovremo adattarci? «Ad un ciclo dell’acqua minato dai cambiamenti climatici: nei prossimi anni l’innalzamento delle temperature porterà ad un calo della diponibilità d’acqua, mentre in altri momenti si genereranno ad esempio piogge torrenziali. Così avremo momenti di carenza alternati a situazioni di eccesso d’acqua». Dovremo dunque imparare a stare in equilibrio: «A stoccare l’acqua piovana quando è in eccesso e utilizzare l’acqua falda come acqua tecnica per usi vari. Ad esempio a non usare acqua potabile per lo sciacquone… Al riguardo i nuovi regolamenti edilizi dovrebbero prevedere sin d’ora questi accorgimenti».
La missione dell’architettura è quella di progettare il futuro, di adeguare i sistemi e orientare il cambiamento: «Unendo i principi tecnici – aggiunge – ai fondamenti etici».
E l’acqua è la fonte su cui le civiltà si sono fondate, i sistemi produttivi si sostengono, il paesaggio si definisce. «Nella nostra pianura fluviale, dovremmo porci come primo obiettivo il mantenimento della biodiversità, proprio a partire dalle rive, dal verde delle zone golenali, dalle paludi… La biodiversità è la cura, il presupposto di resilienza».
L’impressione è di trovarsi al confine con un futuro complesso, che non “accade” ma richiede collaborazione, una visione oggi radicale ma destinata a diventare ordinaria. Addirittura indispensabile. «Non si fa dall’oggi al domani – riflette l’architetto – ma i paesaggi cambieranno, i sistemi produttivi a partire da quello agricolo dovranno adeguarsi in termini ecologici. E dovrebbero essere premiati i progetti che accanto alla produzione saranno in grado di offrire servizi ecosistemici». Integrati con l’ambiente.
Perché la natura non smetterà di tenderci una mano e di lasciarsi scoprire. Si tratta di ri-conoscerla, di reinterpretarne i cicli. Di rientrare nel suo cerchio. Con tutta la fantasia e la capacità d’innovazione di cui siamo capaci.