radici
N.29 Marzo 2022
Scrivere (e rileggere) l’autobiografia per non perdere il filo della vita
Dalle 2026 lettere d'amore del papà dal fronte, alla Libera Università dell'autobiografia. Carmine Lazzarini racconta un metodo «per rivolgere la mente alla ricerca di un senso che permetta di cercare di comprendere chi si è»
«Riordinando la casa ho trovato la foto di quando ero alle scuole medie, proprio il giorno dell’esame di ammissione», racconta con voce pacata Carmine Lazzarini.
«Osservandola bene, mi sono accorto di assomigliare moltissimo a mio nipote Ettore. Mi sono riconosciuto!» conclude ridendo con soddisfazione.
Talvolta, durante le interviste, capita proprio così.
Al termine del colloquio, chiuso il block notes e riposta la biro, giunge inaspettata una frase che evoca, potente e fulminea, il senso di tutto l’incontro.
Possiamo azzardare che l’intervista è stata, essa stessa, parte dell’argomento trattato: il metodo autobiografico. A raccontarci la sua storia personale è stato proprio Carmine, gioviale ottantenne che, da trent’anni, è l’appassionato promotore di una metodologia tanto interessante quanto poco conosciuta.
«Quando mi sono chiesto da dove provenisse il mio interesse per l’autobiografia, è stato molto semplice trovare la risposta. È una passione che, grazie alla preziosa testimonianza di mia mamma, ho da sempre respirato tra le mura di casa».
Mamma Nene che, con pazienza e costanza, aveva tenuto traccia degli avvenimenti della propria vita scrivendo diari e conservando foto. Il vero tesoro era nascosto all’interno di una scatola di latta, «ricordo ancora la scritta Sperlari impressa sul coperchio», aggiunge Carmine emozionato. Al suo interno erano conservate 2026 lettere, «quel che rimaneva del patto di scriversi ogni giorno siglato tra mio padre, giovane militare in partenza per l’Africa, e mia mamma». Una promessa d’amore, mantenuta fino in fondo come testimoniano i pacchi di fogli, cartoline e fotografie di cui solo una piccola parte è andata dispersa «nel viaggio avventuroso di mio padre quando, dopo l’armistizio, è tornato a casa».
Con un atto di generosità, Carmine Lazzarini ha consegnato la scatola e il suo prezioso contenuto alla Fondazione Archivio Diaristico Nazionale, un ente che non solo conserva brani di scrittura popolare ma, soprattutto, consente a quella ricchezza di fruttificare e produrre cultura. Tra gli incontri, le pubblicazioni e i premi che l’hanno caratterizzata, anche l’epistolario proveniente da Isola Dovarese è stato segnalato come il più originale del 2016.
Pieve Santo Stefano, sede della Fondazione, è a una manciata di chilometri di distanza da Anghiari, «dove avvenne la celebre battaglia immortalata da Leonardo», sede della Libera Università dell’Autobiografia. Carmine Lazzarini, nelle sue poliedriche iniziative culturali, negli anni ‘90 era entrato in contatto proprio con il fondatore, Duccio Demetrio. Un incontro che ha rafforzato nel professore cremonese la passione per l’autobiografia.
«La storia di questa metodologia va ricercata nei secoli passati – spiega – partendo da Le Confessioni di Sant’Agostino (398), passando per l’opera autobiografica di Jean Jaques Rousseau». Da allora fino ad oggi si dipana una lunga tradizione che spesso parte dalla stessa domanda, antica quanto l’uomo: “chi sono io?” Un tentativo di rispondervi è quello di cercare di ricostruire, sulle pagine di un taccuino, le fasi della propria vita.
Ma è proprio indispensabile scrivere? Non basterebbe raccontare la propria storia a qualcuno? «Stendere un diario è una attività più riflessiva e lenta della narrazione orale perché devi prenderti il tempo per pensare a ciò che stai per scrivere» – argomenta pazientemente Carmine Lazzarini. Risuonano come ancora più vere le parole della poetessa Maria Zambrano quando scriveva: “Il segreto si rivela allo scrittore mentre lo scrive, non quando lo pronuncia.”
«Inoltre – aggiunge – la possibilità di rileggere regala un ulteriore momento per rivolgere la mente alla ricerca di un senso, di un filo che leghi tutte le azioni in un disegno complessivo che permetta, in qualche modo, di cercare di comprendere chi si è».
Dopo aver adeguatamente considerato il valore di raccontarsi attraverso una pagina scritta, chiediamo quali sono i campi di applicazione di questa metodologia. «Sicuramente serve per prendersi cura di sé, scoprire o ri-scoprire aspetti dimenticati». Per farlo si può iniziare anche ora, prendendo un foglio ed una penna, oppure farsi condurre partecipando ad uno dei numerosi laboratori autobiografici in cui si affronta un percorso ricco di stimoli e suggestioni. «Ad Anghiari – una seconda patria per lo studioso cremonese – si tengono seminari brevi ma anche corsi di formazione biennali in cui approfondire tutti gli aspetti della metodologia».
Chi è formato può lavorare con i ragazzi, per aiutarli a ricostruire la propria infanzia, oppure intraprendere preziosi percorsi con gli anziani, particolarmente importanti «per restituire tutta la ricchezza di una vita vissuta a persone che spesso si sentono inutili e abbandonate», racconta con passione Carmine.
Nella nostra società è facile rimanere disorientati, senza punti di riferimento, in balia delle emozioni e degli stati d’animo. La scrittura autobiografica allora diventa uno strumento efficace non solo di auto-aiuto ma anche per far nascere in noi, a partire dalla rielaborazione delle vicende personali e famigliari anzitutto, un senso di appartenenza, di radicamento alla rete delle relazioni che accompagnano e definiscono in modo unico le traiettorie dell’esistenza di ciascuno di noi.