velocità
N.49 aprile 2024
Sempre più veloci. Ma contro cosa?
Andare veloce per smettere di doversi muovere davvero.
Perdersi nel turbinio delle cose da fare che si impilano una sull’altra per coprirsi la vista davanti alle decisioni di prendere.
Andare al lavoro, fare stories, incontrarsi in quel posto e in quel momento, correre in palestra, cercare l’evento da non perdere, guardare l’ultima serie su Netflix, fare altre stories, mandare mail dopo cena, andare a dormire. Ripetere. Senza ricordarsi bene cosa ci ha detto quell’amica che abbiamo visto per l’aperitivo, senza aver avuto dieci minuti per informarsi davvero, senza il tempo di vedersi e di sentirsi.
Veloci come sembra essere il cambiamento che ci travolge, mentre non vediamo quanti minuscoli granelli di fatti si sono infilati uno dopo l’altro per trasformarci in quello che diventiamo.
Un fiore che si spacca, la mela che si stacca dal ramo, un bimbo che si lancia nel primo passo, un bacio, un mucchio di parole che si fanno poesia, un’intuizione dopo aver letto due righe di un romanzo.
Illuminazioni di bellezza che sembrano accadere in un istante, e che sono invece cesellature covate nel tempo.
Velocità come perdita di controllo. Un girotondo di emozioni che ci lascia ubriachi e incapaci di orientarci in quotidianità stravolte, persi nell’ebrezza dell’inaspettato, dell’inedito.
Liberi per l’aria che ci scorrazza sulla faccia quando pedaliamo veloci sul rettilineo dietro casa, liberati nella frazione di secondo in cui dalla roccia puntiamo diretti a testa in giù il blu del mare, senza fiato nell’accelerata in moto prima della frenata che ci fa mollare la presa della giacca che stingiamo tra le dita sudate.
Forza che rompe i confini e trasforma le linee in un vapore che confonde, mito moderno e idealizzazione futurista.
Veloci, sempre più veloci. Ma contro cosa?